giovedì 29 maggio 2014

CITTADINO E RE -IV parte

"L'11 mattina, lo Stato italiano iniziava la sua fragile vita nella nuova e incerta capitale. Come scrisse un giornalista americano, il maresciallo Badoglio, con poco più di una matita ed un pezzo di carta, si accinse, assieme ai suoi collaboratori a salvare lo Stato italiano" (degli Espinosa).

Proclama del Re agli Italiani.

L'11 sera, da radio Bari, Vittorio Emanuele si rivolge alla Nazione: "Per il supremo bene della Patria che è stato sempre il mio primo pensiero e lo scopo della mia vita, e nell'intento di evitare più gravi sofferenze e maggiori sacrifici, ho autorizzato la richiesta di armistizio. Italiani, per la salvezza della Capitale e per poter pienamente assolvere i miei doveri di Re, col Governo colle Autorità Militari mi sono trasferito in altro punto del sacro e libero suolo nazionale. Italiani, faccio sicuro affidamento su di voi per ogni evento, come voi potete contare sino all'estremo sacrificio sul vostro Re. Che Iddio assista l'Italia in quest'ora grave della sua storia".

Italiani, tedeschi, americani, inglesi ed il mondo intero sapevano, senza ombra di dubbio, dove il Re fosse e che cosa facesse. Il Re-soldato svolge i suoi compiti sul campo

Due giudizi sul trasferimento del Re e del Governo.

Ernesto Ragionieri: "La teoria di berline nere che aveva lasciato Roma aveva portato in salvo la continuità dello Stato attraverso una guerra perduta, un cambiamento di regime ed un rovesciamento di alleanze: non era un risultato di poco conto!"

Augusto Del Noce: "La tesi della «fuga ignominiosa» è calunnia priva di fondamento: era proprio, invece, il dovere del Sovrano a esigere la «fuga di Pescara» per la salvezza della continuità dello Stato. Quel dovere che può talvolta esigere da un Re la morte eroica, può tal'altra richiedere di salvarsi, magari nelle vesti di fuggiasco e col rischio di essere giudicato tale.
Gli stessi Alleati avevano più volte insistito presso il Re perché lasciasse la Capitale, come documenta Vanna Vailati.
L’11 settembre sera, Vittorio Emanuele III lancia un messaggio agli Italiani; spiega perché ha lasciato Roma e comunica dove si trova. Tutto avviene alla luce del sole. Dov'è la "fuga ignominiosa"?

Il Regno del Sud.

Re e Governo a Brindisi hanno un solo compito: ricostruire di fronte al mondo l'immagine dello Stato e del Paese; e lo devono fare giocando le poche carte che hanno in mano. Essi sono l'unica difesa non tanto del presente, quanto del futuro della Nazione ma giuridicamente era legittimo questo governo?

".. Questa legittimità giuridica [del Governo dei Re]... era stata affermata e comprovata dall'ubbidienza degli uomini dello Stato che la prolungavano: ove questo non fosse avvenuto, e la flotta invece di ubbidire si fosse affondata nei porti, e le forze di polizia si fossero sbandate e i funzionari si fossero dispersi al primo silenzio di radio Roma, o disanimati da un insorgere di popolo, gli Alleati avrebbero semplicemente preso atto del venir meno dell'altro contraente per dichiarare nullo l'armistizio, e governare l'Italia come più tardi avrebbero governato la Germania. Così Manlio Lupinacci.

Il 22 febbraio 1944 Churchill, in un importante discorso pronunciato ai Comuni. riconobbe il Regno del Sud come realtà imprescindibile. Citiamo:  “Abbiamo firmato l'Armistizio con l'Italia, stella base della resa incondizionata, con Re Vittorio Emanuele III e il Maresciallo Badoglio che costituivano e costituiscono finora, il governo legittimo dell'Italia... d'altra parte non sono convinto che si potrebbe formare, attualmente in Italia un qualsiasi altro governo capace di ottenere la stessa obbedienza dalle Forze Armare italiane”.

A questo nobile riconoscimento non seguiranno comportamenti coerenti né da parte degli anglo-arnericani. né dello stesso Churchill. Anzi si verificherà una loro costante doppiezza. Non solo, ma il 13 ottobre 1943, il Governo è costretto dagli Alleati a dichiarare guerra alla Germania. Il Re si era opposto inutilmente, prevedendo le tragiche conseguenze della decisione. Gli Alleati vogliono sfruttare l’Italia sotto ogni profilo. Sono liberatori o conquistatori?

La politica estera.

Il 14 marzo 1944, la Presidenza del Consiglio dei Ministri comunica: "In seguito al desiderio a suo tempo ufficialmente espresso da pane italiana, il Governo dell'Unione delle Repubbliche Socialiste Sovietiche ed il Regio Governo hanno convenuto di stabilire relazioni dirette tra i due Paesi. In conformità a tale decisione sarà proceduto tra i due Governi senza indugio allo scambio di Rappresentatiti muniti dello statuto diplomatico d'uso".

Questo successo diplomatico acuisce l’antagonismo tra Unione Sovietica e Potenze occidentali, tanto che il 14 marzo 1944 il Times pubblica il fondo "Russia and Italy" nel quale il suo corrispondente diplomatico accusa i governi alleati di non aver saputo elaborare un progetto politico per l'Italia, mentre Stalin l'aveva pensato per tempo.

La politica interna.

A Bari il 28 e 29 gennaio 1944, i partiti che costituiscono l'Esarchia celebrano il loro primo ed ultimo congresso antifascista.

La discussione s'incentra subito sulla necessità di 'defascistizzare lo Stato', che significava prima di tutto cacciare il Re fascista. Infatti sotto la regia del conte Carlo Sforza, il Congresso divenne un processo al Re, sostenuto anche dal professor Omodeo, il quale “dalla radio invitava cortesemente Vittorio Emanuele a spararsi un colpo per farla finita". Nel consesso, De Nicola, appoggiato da Croce, escogitò la “luogotenenza del Regno” da affidare al Principe ereditario. Il Re fece sapere che avrebbe delegato i suoi poteri solo in Roma liberata.

Togliatti smentiva l'Esarchia nell'intervista al giornale comunista algerino 'Liberté': "... La politica dei comunisti italiani è una politica di unità nazionale nella lotta per la liberazione e per la rinascita del Paese... "
Anche per i comunisti il Re restava il Re. Opportunismo, come il riconoscimento sovietico? Forse, ma i due fatti restano.

Il Regio Esercito e l'attività di Vittorio Emanuele III

Secondo l'articolo 5 dello Statuto Albertino, il Re " ... è il Capo supremo dello Stato: comanda tutte le forze di terra e di mare; dichiara la guerra..." Per i Savoia questo articolo non è mai stato mera petizione di principio.

27 settembre 1943 - San Pietro Vernotico

Nasce il primo nucleo del ricostruendo Regio Esercito, dericiminato "Primo raggruppamento motorizzato". In tutto 5.000 uomini. Gli Alleati non concedono di più. Loro comandante fu designato il generale di brigata Vincenzo Cesare Dapino.

Il 18 ottobre il Re passa in rassegna il 67' Reggimento di Fanteria, che entrato in linea il 7 dicembre, l'8 dicembre a Montelungo si sacrificherà quasi interamente. L’operazione fu preceduta da un volo di ricognizione del Principe Umberto. Nei primi giorni di novembre, di ritorno da Napoli, tra Mesagne e San Vito, il Re vedendo un "colossale deposito di munizioni" degli Alleati, esclama: "con tanta dovizia di materiale non fanno [gli Alleati] un passo avanti. Sembra che abbiano paura di farsi male". Le nuove Forze Armate svolsero anche una fondamentale funzione di coesione sociale: perché non erano di parte: gli ultimi soldati del Re furono borghesi, nobili, persone dei popolo, che si riconoscevano in una sola bandiera e collaborarono con i Partigiani delle diverse formazioni. Il 14 marzo 1958 Cesare Degli Occhi, deputato del P.N.M., ricordò alla Camera: 'L’esercito regio, l'esercito fedele che risalì di tappa in tappa verso la capitale d'Italia perché la Patria venisse liberata anche dalla paurosa antitesi civile".

6 gennaio 1944 Vittorio Emanuele III riceve Badoglio il quale gli riferisce che, a Napoli, De Nicola ha insistito nuovamente sull'abdicazione del Re, per il quale sostiene che l'atto deve maturare "in un clima di estrema lealtà ... soltanto dopo la riconquista di Roma". li Re si illude..

Il 20 gennaio 1944. La 'Gazzetta del Mezzogiorno pubblica l'intervista rilasciata a Cecil Sprigge, corrispondente della 'Reuter', dal sottosegretario repubblicano Oronzo Reale, che dichiara: "l'abdicazione non si può compiere se non a Roma, con l'aiuto di tutti i partiti nazionali ... si dica quello che si vuole della Monarchia ma è indiscutibile che la Marina naviga, che l'Aviazione vola, che l'Esercito, sia pure in piccola parte e non per colpa sua, si batte in nome del Re. Io credo che ogni discussione indebolisce questi sforzi".

Il 27 gennaio il Governo firma, con gli Alleati, l'accordo per il quale i territori liberati tornavano all'Amministrazione italiana. Il 2 febbraio, il Re visita i militari rientrati dall'Albania e ricoverati nell'ospedale "Acanfora” di Taranto.


L’11 febbraio Badoglio si insedia nel municipio di Salerno, nuova capitale del Regno, è questa la 'svolta di Salemo'. Poco tempo dopo il Re si trasferirà a Ravello; forse è giunto il momento di formare un governo politico. Il Re chiede a De Nicola di accettarne la presidenza; ma l'8 aprile questi rifiuta. il giorno dopo il Re confida a Punton: "La situazione, ormai, è senza vie d'uscita. Per di più sono costretto a constatare che molti uomini per viltà, al primo sentore di pericolo m'abbandonano. Non so più in chi credere ".

lunedì 26 maggio 2014

CITTADINO E RE - III parte

Il 25 luglio 1943: cambio di prospettiva.
22 luglio, il Re convoca il Duce. Così Puntoni riporta la sintesi del colloquio fattagli dal Re: "Ho tentato di far capire al Duce che ormai soltanto la sua persona bersagliata dalla propaganda nemica e presa di mira dalla pubblica opinione, ostacola la ripresa interna e si frappone a una definizione netta della nostra situazione militare. Non ha capito o non ha voluto capire. E’ come se avessi parlato al vento. Nessuna "congiura di palazzo", come Mussolini scriverà.

25 luglio - 8 settembre: Il Re nomina e revoca i suoi ministri." Art. 65 dello Statuto Albertino.
Venti minuti bastano al cittadino-Re per liquidare Mussolini nel rispetto delle regole, vale a dire per fare quello che una pletora di oppositori ed opportunisti non era riuscita a fare in vent'anni. Maturato il momento propizio, fu "il solo che agì". (Einaudi)
Destituito Mussolini, bisogna dare immediatamente al Paese un governo. Alle ore 18 del 25 luglio, il Re convoca Badoglio, il quale così descrive la sua investitura a Presidente del Consiglio: Il Sovrano era in piedi, in mezzo alla stanza. Ho fatto arrestare Mussolini! Stamani mi ha fatto chiedere un'udienza che io ho fissato qui, alla villa, per le 16. E venuto puntuale e mi ha comunicato che aveva avuto luogo la seduta del Gran Consiglio nella quale era stato votato un ordine del giorno a lui contrario, ma che egli riteneva non fosse valido...» Badoglio continua: "La voce del Re, piatta e senza lumi, del tutto priva di retorica, descriveva con rara efficacia, richiamando la scena in quarta dimensione dinanzi al Maresciallo. «Perché, aveva obiettato Vittorio Emanuele a Mussolini, ritiene questo voto non valido?
Il Gran Consiglio è un organo da lei creato e approvato per legge dal Senato e dalla Camera dei Deputati. Funziona, quindi, in piena legalità». «Ma in tal caso io dovrei dare le dimissioni...». «...Che io accetto!». Mussolini era parso afflosciarsi. «Allora il mio crollo è completo». «Sembrava che avesse ricevuto un colpo da 305 in pieno petto!», commentò il Re... «adesso bisognerà sostituire Mussolini... - riprese il Re - lo sostituirà lei». «Ma io non ho mai fatto questo mestiere» «Imparerà a farlo». Il Re... aveva pronta la lista dei nuovi ministri".
Alle 22,45 del 25 luglio la radio trasmette il famoso messaggio di Badoglio: "Sua Maestà il Re Imperatore ha accettato le dimissioni dalla carica di capo di governo, Primo ministro, segretario di Stato, di Sua Eccellenza Cavaliere Benito Mussolini e ha nominato capo del governo, Primo ministro, Segretario di Stato, il Cavalier Maresciallo d'Italia Pietro Badoglio".
Il maresciallo Caviglia, pur devoto al Re, ne contesta la decisione:
Con la giornata del 24 luglio 1943 il Re ha accettato la sua decadenza.
Anch'egli crede che, abdicando, Vittorio Emanuele salvi la Dinastia. E' un'illusione.
Il 26 la Milizia non si muove per difendere il suo Duce. Puntoni riferisce che molte personalità si recano a fare atto di devozione al Re, che sbotta: "Tutta gente che è buona soltanto di far parole". Aveva torto? Il Governo giura il 27.
Rovesciamo la prospettiva: 25 luglio, 8 settembre, Regno del Sud, Luogotenenza, abdicazione e partenza per l'esilio non sono macchie, ma vanto del Re e dell'Italia.

28 luglio 1943, scrive Puntoni a pag. 148: "La situazione si aggrava... Sua Maestà mi dà ordine di predisporre tutto per una eventuale partenza da Roma. Dice il Re «Non voglio correre il rischio di fare la fine del Re del Belgio. Desidero mettermi in condizione di continuare a esercitare le funzioni di Capo dello Stato in assoluta libertà. Non ho alcuna intenzione di cadere nelle mani di Hitler e di diventare una marionetta di cui il Fuhrer possa manovrare i fili a seconda dei suoi capricci ... »
Questo l'imperativo: non cadere nelle mani dei tedeschi, per esercitare liberamente le prerogative di Capo dello Stato e rappresentare l'Italia di fronte al mondo.
Re Leopoldo III non seguì il suo Governo a Londra, restando così prigioniero di Hitler. Per questo perse il trono. La Monarchia italiana sarebbe caduta per la ragione opposta. Altri Capi di Stato avevano lasciato la loro capitale, come Stalin, o il loro Paese, come Guglielmina d'Olanda ed altri per riparare a Londra e sottrarsi ai tedeschi. Per tale decisione furono acclamati.
Tra il 30 e il 31 luglio il Re ordina al gen. Carboni di schierare a difesa della Capitale il Corpo d'Armata Corazzato.
3 agosto. "Il Governo ha deciso di comportarsi in maniera di far credere alla Germania che continueremo lealmente la guerra al suo fianco" (Puntoni).
Decisione peggiore Badoglio non avrebbe potuto assumere. Questa ambivalenza costerà all'Italia l'infamante accusa di tradimento da parte dei tedeschi e degli anglo-americani. Questi ultimi pretendono dall'Italia la resa senza condizioni; il 7 bombardano Napoli, l'8 Torino, Genova e Milano.
Il 13 agosto anche Roma è bombardata. il 14 è dichiarata città aperta.
Verso Pescara e Brindisi. 8-11 settembre.
Il Re vuole evitare la guerra civile, pericolo che aveva sventato nel 1922.
L'imminente trasferimento del Capo dello Stato e del Governo a Brindisi, rimane un atto di suprema responsabilità e coraggio: non di viltà. Saranno i repubblichini a parlare di "fuga di Pescara' e non i partiti. Questi ultimi, più avanti nel tempo, non faranno che ripeterla ed ingigantirla. "Alle 17 dell'8 settembre un dispaccio dell'Agenzia inglese Reuters annuncia al mondo: l'Italia si è arresa agli Alleati senza condizioni "Questa mossa anticipata degli Alleati che comunica al mondo la resa senza condizioni, mette l'Italia nella situazione peggiore possibile.
E con inaudito disprezzo. Il Re alle 18, dello stesso giorno, convoca il Consiglio della Corona al Quirinale per decidere il da farsi. La discussione è troncata alle 18.30 dalla risposta di Eisenhower. "Se I' armistizio non viene accettato ne seguirebbe di conseguenza la dissoluzione del vostro governo e della vostra Nazione ".
9 settembre. Anche questa volta Caviglia è in contrasto con il Re, infatti scrive: «Se fossi stato presente non avrei lasciato partire il Re. Milioni di uomini hanno affrontato la morte gridando Savoia! Ora tocca al Re e a noi gridare Savoia!, ma non mi sorprendo di nulla. Badoglio ha indotto il Re a tagliare la corda, così la responsabilità della propria fuga è diminuita se non annullata da quella del Re».
Caviglia telegrafa al Re chiedendo i poteri che gli consentano «data l'assenza del Presidente del Consiglio, di far funzionare il Governo». Immediata e positiva la risposta del Re.
I fatti si svolgono come segue: '71 radiogramma, che risulta spedito da Supermarina alle 6,10 del 10 settembre è captato regolarmente a bordo della 'Baionetta'. La risposta, dettata personalmente dal Sovrano, viene scritta a matita dal Duca Acquarone sul retro di una busta della Corvetta Partigiana, vecchio nome della 'Baionetta'. Ecco il testo: «Maresciallo Caviglia - Roma -In risposta suo telegramma Vostra Eccellenza è da me investita poter mantenere funzionante il governo durante temporanea assenza Presidente del Consiglio che si trova con me e con ministri militari. Vittorio Emanuele.». Questo telegramma parte regolarmente da bordo della nave. Come ha confermato in una lettera l'allora Tenente di Vascello Franco Mercogliano, di Napoli che prestava servizio sull'incrociatore 'Scipione Africano'. Racconta: «mattina del 10 settembre 1943 mi trovavo di guardia, in plancia, di scorta al 'Baionetta'. Riconobbi all'alba gli alti personaggi che sostavano su sedie a sdraio in coperta. Sentii della intercettazione del telegramma da Supermarina,ne conobbi il testo fui informato della risposta del Re e fui testimone della trasmissione a Roma. Risposta che, a richiesta del 'Baionetta', trasmettemmo noi dello 'Scipione'perché avevamo migliori radiotrasmittenti. Avemmo assicurazione di avvenuta ricezione». Peccato che quel telegramma Caviglia non lo abbia ricevuto. Lo avrebbe bloccato Badoglio che non gli garbava di essere sostituito dal rivale e di trovarselo magari davanti al suo rientro a Roma".
Lo stesso Maresciallo così scrive a pag. 471 del suo Diario: '71 mio telegramma rimase senza risposta. Pensai che fosse stato intercettato da altri ".E' palese: il Re non abbandonò Roma al suo destino.

Brindisi e la protoresistenza delle Forze Armate.

" Venerdì, 10 settembre 1943, nelle prime ore del pomeriggio, la R. Nave 'Baionetta' penetrava nelle acque della Piazza [di Brindisi] ... nessuno aveva segnalato l'arrivo del Re... appena egli apparve, dai marinai accorsi si alzò  il grido di Viva il Re. Il Sovrano sorrise, contenendo        l'emozione.     Giunge intanto notizia che il giorno prima il gen. Bellomo aveva cacciato il presidio tedesco da Bari. Possiamo ritenere quest'azione la protoresistenza del Regio Esercito, insieme con la difesa di Roma.

giovedì 22 maggio 2014

CITTADINO E RE - II parte

La Monarchia e la Prima Guerra Mondiale.

Il Re aveva in testa una sola idea: completare l'Unità d'Italia. Non aveva stima dei tedeschi, ben ricambiato da Guglielmo II, che lo aveva già definito “Il piccolo ladro " .

Il proclama ai soldati.
Dal Quartier generale, il 24 maggio, il Sovrano indirizzò ai soldati questo proclama:

"Soldati di terra e di mare. 
L'ora solenne delle rivendicazioni nazionali è suonata. Seguendo l'esempio del mio grande Avo, assumo oggi il Comando Supremo delle forze di terra e di mare, con sicura fede nella vittoria, che il vostro valore, la vostra abnegazione, la vostra disciplina sapranno conseguire.
Il nemico che vi accingete a combattere è agguerrito e degno di voi. Favorito dal terreno e dai sapienti apprestamenti dell'arte, egli vi opporrà tenace resistenza, ma il vostro indomito slancio saprà, superarla.
Soldati, a voi la gloria di piantare il tricolore dell'Italia sui terreni sacri che natura pose a confini della Patria nostra, a voi la gloria di compiere, finalmente, l'opera con tanto eroismo iniziata dai nostri padri.

Il Re al fronte.
Il Re, è noto, dimostrò nei quattro anni di guerra, competenza tecnica, coraggio fisico ed umiltà. Il Maresciallo Enrico Caviglia nel suo Diario, sotto la data del 31 marzo 1933, annota: " ... Il Re mi disse in un colloquio l'anno scorso che egli aveva visto l'aggiustamento del tiro delle batterie austriache e l'aveva segnalato a Cadorna. " Non fu ascoltato.
Dopo il convegno di Peschiera, l'11 novembre Vit-
torio Emanuele esortò gli italiani con queste parole: "Siate un esercito solo. Ogni viltà è tradimento, ogni discordia è tradimento, ogni recriminazione è tradimento. Questo mio grido di fede incrollabile nei destini d'Italia suoni così nelle trincee come in ogni più remoto lembo della Patria; e sia il grido del popolo che combatte e del popolo che lavora".
Vittorio Emanuele rifiutò la Medaglia D'Oro al Valor Militare, così motivando: «Mentre tanti episodi di eroismo e di sacrifici o rimangono oscuri e mentre tanti nostri valorosi chiudono nei cimiteri e nelle corsie degli ospedali il segreto di atti che, non conosciuti, non potrebbero ricevere alcuna ricompensa, non credo di poter accettare per quello che era mio dovere fare, come re e come soldato, la più alta distinzione al valor militare.»

Ritorno a casa
Il 14 novembre il Re Vittorioso torna a Roma. Nonostante la vittoria, il ritorno fu infelice per tutti.
Al Sovrano il compito di incanalare gli elementi patogeni. Indica alla classe politica le linee da seguire. Lo  fa con stile impersonale, nei Discorsi della Corona. L'l dicembre 1919 si svolge la prima seduta post bellica del Parlamento: ".. Al di sopra della vittoria stessa è la giustizia, umana clemenza e virtù ... L'Italia desidera considerare con la più viva simpatia l'ascensione delle classi popolari..."

L' 11 giugno 1921, apertura della XXVI legislatura.
Ricordati i doveri dei contribuenti, il Re afferma: “... Gli organismi statali debbono dimostrarsi pronti a tutte le semplificazioni e riduzioni, adottando ordinamenti più snelli e più decentrati... occorrerà che il parlamento rivolga la attività propria all'ordinato ascendere delle classi lavoratrici così delle officine come dei campi... Sarà vanto di quest'Assemblea... rafforzare gli istituti cooperativi... "
Rilevante, l'attenzione del cittadino-Re alla cultura ed alla scuola: "L'educazione intellettuale e morale del popolo è la virtù che preserva le democrazie dal cadere nell'errore delle demagogie. Giova quindi che la scuola abbia le cure più assidue, amorose, infaticabili del Parlamento ... " La seduta fu tumultuosa, i socialisti gridarono "viva la Repubblica", la classe politica, tutta o capì e finse di non capire o non capì; del resto, il parafulmine era bell'e pronto.

Il Fascismo.
Né i politici né gli uomini di cultura capirono il pericolo. Uno per tutti: Benedetto Croce, che definì il fascismo: "Malattia morale, smarrimento di coscienza..." così anche pensatori stranieri come il Meinecke.

Il Sovrano non firma lo stato d'assedio.
Penosi furono i rifiuti a catena, dell'incarico proposto dal Re ai politici di maggior spicco, di formare un qualsiasi governo, che impedisse a Mussolini di andare al potere.
«Il 28 ottobre [1922 n.d.rj, alle 6 del mattino, il dimissionario e dormiente Presidente del Consiglio, Facta, decise di proclamare lo "stato d'assedio", per impedire ai fascisti la Marcia su Roma. Lunare!
L'onorevole Facta, Presidente per la seconda volta, presentò al Re il decreto. Vittorio Emanuele rifiutò di firmarlo, proprio perché proposto da un Presidente e da un Governo che si erano già dimessi e che, proprio per questa ragione, non godevano né dell'autorità né dell'autorevolezza indispensabili per proporre e tanto meno attuare misure straordinarie.
Quella stessa mattina il Re chiese a Salandra, dopo il no di Giolitti, di costituire il nuovo governo, ma ottenne un altro rifiuto. Sappiamo come andò a finire.
In ogni caso, il Re impedì a Mussolini di sciogliere la Camera. Chi accusa il Re di avere favorito Mussolini vuole ignorare le affermazioni di alcuni uomini illustri: il liberale Giovanni Amendola: « ... Ci voleva anche un Minimo di soluzione politica» ; il 7 novembre 1922, lo stesso uomo politico, sul dovere inderogabile di accordare la fiducia al governo di Mussolini, scrive a Carlo Cassola: «E’ necessario che la Camera dia il voto al nuovo Ministero ... ».
Tagliente Luigi Einaudi sul Corriere della Sera, il 27 ottobre 1922 «Il Ministero Facta è finito. Non vi sono le dimissioni, perché i Ministri hanno creduto di salvare le apparenze limitandosi a mettere i loro portafogli a disposizione del Capo del Governo ... di questa obbligata libertà l'on. Facta non può usare che presentando al Re le dimissioni del Ministero. L'ipotesi di un rattoppo non è neanche degna di essere presa in considerazione ... ».

Risolta la crisi di governo, il Re confidò a Solaro del Borgo: «Ho molto pensato ma anche il mio grande avo Vittorio Emanuele II avrebbe fatto così. Io ho rifiutato due volte di sancire quell'atto imbecille e criminoso dello stato d'assedio, steso solo per salvare appena dieci poltrone governative». E all'on. Schanzer: «Ho inghiottito tutto, capisce Schanzer, in quello sciaguratissimo tempo [Nitti-Facta], sempre per non venire alla sciabola. Io per primo non ci credo: i generali sono un salto nel buio». In epoca recente ha scritto, Carlo Ghisalberti: «Né la Corona, né l'Esercito legato alla dinastia potevano offrire alla sovversione fascista quella resistenza che sostanzialmente il Governo, il Parlamento e la classe dirigente non erano stati capaci di esprimere». Mussolini si dimostra monarchico fraudolento, già dal discorso di Udine del 20 settembre 1922. Il Re convivrà con il fascismo per evitare che questo si impadronisca completamente dello Stato; condurrà da solo una silenziosa e ininterrotta battaglia affrontando il delitto Matteotti, l'Aventino, le leggi razziali e la loro abolizione.


Il 15 maggio 1943, secondo il Cognasso, il Re consegnò a Mussolini un appunto scritto nel quale lo esortava a sganciare "le sorti dell'Italia dalla Germania".

venerdì 16 maggio 2014

CITTADINO E RE - I parte

Prima parte

di Michele D'Elia

Il giovane sovrano si presenta cosi:

Italiani!
il secondo Re d'Italia è morto! Scampato per valore di soldato dai pericoli delle battaglie, uscito incolume per volere della Provvidenza dai rischi affrontati con lo stesso coraggio a sollievo di pubbliche sciagure, il Re buono e virtuoso è caduto vittima di un atroce misfatto, mentre nella sua tranquilla e balda coscienza partecipava alle gioie del suo popolo festante.
A me non fu concesso di cogliere l'estremo respiro del Padre mio. Sento però che il mio primo dovere sarà quello di seguire i paterni consigli e dì imitare le sue virtù di Re e di primo cittadino d'Italia.
In questo supremo momento di intenso dolore, mi soccorre la forza che mi viene dagli esempi del mio augusto genitore e del Gran Re che meritò di essere chiamato Padre della Patria. Mi conforta la forza che ricevo dall'amore e dalla forza del popolo italiano.
Al Re venerato e rimpianto sopravvivono le istituzioni che Egli conservò lealmente e giunse ad essere incrollabili nei ventidue anni del suo Regno intemerato. Queste istituzioni, sacre a me, per le tradizioni della mia Casa e per amore caldo di italiano, prometto con mano ferma ed energica, da ogni insidia o violenza, da qualunque parte esse vengano, assicureranno, ne sono certo, la prosperità e la grandezza della Patria.
Fu gloria del mio grande Avo l'aver dato agli Italiani l'unità e l’indiperidenza, fu gloria del mio genitore l'averle gelosamente custodite. La meta del mio Regno è segnata da questi imperituri ricordi. Così mi aiuti Iddio e mi consoli l'amore del mio popolo perché io possa consacrare ogni cura di Re alla tutela della libertà e alla difesa della Monarchia, legate entrambe, con vincolo indissolubile, ai supremi interessi della Patria.
Italiani!
Date lagrime e onore alla sacra memoria di Re Umberto I di Savoia, voi che l'amaro lutto della mia Casa dimostraste di considerare ancora una volta come lutto domestico vostro; codesta solidarietà di pensieri e di affetti fu e sarà sempre il baluardo più sicuro del mio Regno, la migliore guarentigia dell'unità della Patria, che si compendia nel nome augusto di Roma intangibile, simbolo di grandezza e pegno d'integrità.
Questa è la mia fede, la mia ambizione di cittadino e di Re.
Dato a Monza, il 2 agosto 1900

VITTORIO EMANUELE.

SARACCO, VISCONTI-VENOSTA, GIANTURCO, CHIMIRRI,
RUBINI, PONZA DI SAN MARTINO, MORIN, GALLO, BRANCA,
CARCANO, PASCOLATO.

Questo messaggio è il manifesto rivoluzionario del nuovo Re: cittadino il Re, cittadini gli Italiani; per loro: diritti civili, riforme istituzionali, diritto al lavoro, diritti della Donna... alle enunciazioni seguì la legislazione sociale all'avanguardia rispetto al resto del mondo, dalla sanità pubblica alla scuola.
Emilia Sarogni, sottolinea: "La donna, anche in stato interessante, venne impiegata in lavori pericolosi e insalubri, con orari che raggiungevano a volte le 16 ore sino al 1902, anno in cui venne approvata la legge n. 242, del 19 giugno1902, varata dal governo Zanardelli. La legge fisserà a 12 il massimo delle ore lavorative, vieterà finalmente l'impiego di bambine e bambini di età inferiore ai 12 anni e il lavoro notturno delle donne.
Fallirono, invece, i diversi tentativi di riconoscere il diritto di voto alle donne; e, nel 1905, l'esortazione del Re al Parlamento ad approvare una legge sul divorzio.

Asceso ad un trono insanguinato, Il nuovo Re venuto dal mare"(Turati) non ha di che rallegrarsi. Austero e concreto, Vittorio Emanuele con la Regina Elena, devota e forte, specie nei momenti peggiori si stabilisce fuori Roma. Non sopporta il Quirinale, ci va la mattina e torna a casa la sera.
E' il primo servitore dello Stato ed anche il primo pendolare. Il Re imprime alla Monarchia italiana quel moto rivoluzionario che resterà unico nel Novecento.
Chi volle capire capi: per primi i socialisti.
Il primo agosto 1900 "Critica Sociale" pubblica un editoriale di Filippo Turati: "La Successione", nel quale l'uomo politico scrive: " ... noi pensiamo che una cosa il paese aspetti da lui... cancelli... dalla carta dell'Italia ufficiale la stridente vergogna delle Siberie italiane..."

La Monarchia amministrativa

Vittorio Emanuele III è il displuvio tra un'idea di monarchia rappresentativa, umbertina, pur a suo tempo utile, che aveva concluso la propria parabola socio-politica; ed un'idea di monarchia amministrativa, funzionale alle nuove esigenze del popolo.
Nel 1906. a Torino, viene fondata la Confederazione Generale del Lavoro (C.G.L.) riconosciuta dallo Stato come interlocutrice.

Il fatto socialmente più importante fu, nel 1912, l'estensione del diritto di voto "a tutti i cittadini che abbiano compiuto i 30 anni o abbiano prestato servizio militare", ancorché analfabeti.
Gli elettori salirono di colpo da tre a otto milioni. I partiti dovettero adottare simboli di riconoscimento da stampare sulla scheda elettorale ma soprattutto il voto, così diffuso, spezzò i potentati.
La funzionalità del sistema, la riservata vita dei Sovrani e la loro discreta ma costante presenza tra il popolo, fece scrivere al direttore de "L'Avanti:" Vi sono monarchie più liberali di certe repubbliche".

Il 14 marzo l914, a Roma, durante la commemorazione di Umberto I, l'anarchico D'Alba sparò due colpi di pistola contro il Re, ferendo il maggiore dei corazzieri Lang. Incerti del mestiere", tagliò corto il Re.