domenica 26 febbraio 2017

E la cronaca scopre la guerra

di Giorgio Guaiti, Giornalista e scrittore, Milano

Bombe sulle città


Bombe austriache su Treviso (foto trovata in rete)
Si chiamava Giuseppe Crippa. Aveva 31 anni e faceva il calzolaio a Monza. Il suo destino, purtroppo, era quello di passare alla storia come una delle prime vittime di un bombardamento aereo.
La mattina del 14 febbraio 1916, poco dopo le 9, era nella sua bottega, a due passi dalla chiesa di San Biagio, quando un solo aereo austriaco cominciò a lasciar cadere le poche bombe che gli apparecchi dell’epoca erano in grado di trasportare: un paio finirono fra orti e campi, una sulla caserma dei Carabinieri, senza però provocare grandi danni, una nel recinto della Cappella Espiatoria e una proprio sull’edificio in cui si trovava il giovane artigiano, uccidendolo sul colpo.
La sua storia è raccontata dalle pagine de II Cittadino, storico settimanale monzese, che il 17 febbraio, sotto il titolo “Vandali!” diede voce all’indignazione di Monza e di tutta la Lombardia per le bombe, che, nella mattina di San Valentino, avevano colpito anche Milano, Bergamo e Treviglio. “Non bastavano alla malvagità dei nostri avversari - si legge sulla prima pagina – i lutti profondi che le moderne e potenti armi disseminano nelle file degli eserciti combattenti, occorreva far sentire la brutalità della guerra pur  rammezzo alla popolazione civile: fra questa popolazione che non aveva fin qui ansie che pei figliuoli e fratelli lontani”. “E sia. La popolazione monzese, come quella di Milano e come le altre già provate, non si è affatto lasciata sgomentare dalla minaccia che per una buona mezz’ora le incombeva, ma è accorsa  remurosa e solidale, in uno slancio di fraterna solidarietà, laddove più gravi erano le notizie dei danni”.
La notizia era già stata riportata il 15 febbraio sulle prime pagine di tutti i giornali italiani e da molti  quotidiani stranieri (New York Times compreso): 12 morti a Milano (saliranno a 18 nei giorni successivi), due a Monza (a Giuseppe Crippa, dopo una breve agonia, si aggiunse Maria Galliani, di 36 anni), decine di feriti a Bergamo e a Treviglio. Per una volta a raccontare il dramma della guerra non erano però i corrispondenti dal fronte, ma i giornalisti fino ad allora impegnati nelle normali cronache cittadine. “lncursione di areoplani austriaci sulla Lombardia. Bombe su Milano, Monza Treviglio e Bergamo. Morti e feriti fra la popolazione civile” titola in prima pagina il Resto del Carlino. E nel testo si assiste ad una originale (forse unica) collaborazione fra tre testate normalmente in aspra concorrenza. “Il Secolo e il Corriere della Sera - scrive il quotidiano bolognese - pubblicano i seguenti particolari sull’incursione degli aeroplani austriaci.
Questa mattina verso le 7 e 30 venivano segnalati dai posti di osservazione due apparecchi nemici. Un Albatros e un Taube che si dirigevano sulla città” e “si librarono anche su Greco, Turro, Sesto San Giovanni e Monza”. Le bombe cadono a Porta Volta, Porta Romana e Porta Venezia. “Nelle scuole comunali e alle medie - scrive ancora il cronista - furono fatti uscire immediatamente gli alunni e le alunne dalle aule e fatti rifugiare nei piani inferiori. I maestri e i professori mostrarono un contegno ammirevole”. Poi spazio ai nomi dei morti e dei feriti, al discorso del sindaco Caldara e alla denuncia di un’azione dal chiaro sapore  strategico: colpire le città non tanto per provocare danni materiali, quanto per seminare il panico.
Le bombe sui centri urbani non erano una novità assoluta: dall’inizio dell’anno erano già state colpite città del Veneto e della costa adriatica, che continueranno ad essere gli obiettivi privilegiati degli aerei imperiali. Rimarranno però casi piuttosto rari nell’intero corso del conflitto. Così, all’indomani del bombardamento, le prime pagine dei giornali tornano ad essere occupate dalle cronache dal fronte, a cominciare dai resoconti della battaglia di Verdun.
Tre mesi dopo a prendere spazio sono gli articoli su quella che passerà alla storia come Strafexpedition. Le prime notizie compaiono sul Corriere della Sera del 17 maggio con il titolo: “L’offensiva austriaca s’inizia nel Trentino” e soltanto il 27 maggio si comincia a parlare di “Austriaci respinti a Coni Zugna e in Valsugana”, ma si dà anche notizia di una “Accanita lotta sull’Altipiano di Asiago”. Il 3 giugno sono i “Sanguinosi scacchi inflitti al nemico” a tenere banco, per lasciare posto,  il 4 giugno, ad un più definitivo “L’offensiva austriaca nettamente arrestata”. La conclusione vera arriva però il 27 giugno con un titolo a tutta pagina: “Gli  austriaci costretti a ripiegare su tutta la fronte dalla Vallarsa alla Valsugana”.
L’Altipiano di Asiago torna ad essere protagonista delle cronache dal fronte circa un anno dopo, all’inizio della Battaglia dell’Ortigara. Il primo segnale dell'offensiva italiana arriva sul Corriere il 12 giugno con il titolo: “Le truppe italiane attaccano sull’altipiano di Asiago riconquistando il passo dell’Agnella e parte del monte Ortigara”. Una conquista che viene raccontata in tutta la sua drammaticità da Gino Piva (giornalista, poeta e scrittore) sulla prima pagina del Resto del Carlino del 13 giugno: “La battaglia diventò, in un momento, infernale. Per ogni varco aperto la fanteria scelta si gettava avanti e non retrocedeva contro ad alcuna insidia nemica. Brillavano delle mine, ma come si aprivano nei punti di scoppio dei crateri, questi erano improvvisamente occupati da mitragliatrici nemiche che contendevano il passo ai nostri che si slanciavano all’attacco arditamente. A loro volta i nemici facevano brillare delle altre mine e, mentre avevano fatto quasi tacere i loro cannoni, sullo spazio degli urti ricomparivano con tutta la loro violenza. La guerra ormai è tale: la caverna ha sostituito la trincea e non è più il superamento di linee ben demarcate sul terreno che costituisce lo sforzo degli attaccanti, ma una penetrazione terribile onde strappare il nemico dalle viscere della terra”. Difficile rendere meglio la violenza dello scontro rispettando le regole della censura: la morte, bandita per ordine superiore da ogni corrispondenza, è presente in ogni riga della narrazione.
La guerra, dunque, viene raccontata dal fronte, ma nelle pagine dei giornali ci sono anche cronache politiche, notizie sportive, spettacoli e pubblicità che continuano a disegnare una quotidianità lontana dai combattimenti, dal pericolo, dalla morte. Quella che ne esce è l’immagine di un Paese in ansia per le sorti dei propri cari e per l’andamento del conflitto, ma che riesce tutto sommato a proseguire una vita normale.
Tutti i giorni, ma non in quella mattina di San Valentino, quando la guerra arrivò dal cielo, sulle città.

lunedì 20 febbraio 2017

Ortigara: sacrificio annunciato ed inutile - seconda parte

52° divisione.
Ore 1. Il generale Di Giorgio informa i comandanti in sottordine: col. brig. Probati. col. Ragni, col. Stringa, ten. col Cavandoli, c.te l'artiglieria del 22° Gruppo da montagna, che l'attacco inizierà alle ore 6, con qualunque tempo.
Ore 4. Il Generale espone al collega Como Dagna i dubbi dei comandanti di reparto sulla riuscita dell'azione. Como Dagna ritiene che i dubbi siano frutto di *Tormento morale e fisico”. La cima dell'Ortigara sarà presa solo un'ora dopo l'inizio dell'attacco, (pag. 227).
Ore 6.1 battaglioni ‘Valtellina' e ‘Monte Saccarello*. della colonna Gazagne, partono dal Costone dei Ponari e investono L’Ortigara a ondate. Nell'attacco il ‘Monte Saccarello’ perde 22 ufficiali. 162 alpini ed il comandante stesso, maggiore Firmino Favaro. Un anonimo alpino del ‘Valtellina* ha lasciato scritto: “...Si preparava intanto la gran prova contro M. Ortigara iniziata il 19 giugno 1917. Rimarrà per lungo tempo nelle memoria nostra quest'azione. Il “Valtellina” fermò la prima ondata d'assalto. Partì dalle posizioni di difesa alle ore 17 del giorno 18 per raggiungere Costone dei Ponari, punto di partenza per l'assalto. L’ordine venne. E Monte Ortigara, che sembrava inespugnabile, dovette cedere di fronte allo slancio, alla calma, all’audacia dell’alpino. Partirono le ondate una dopo l'altra, con precisione e ordine da piazza d'armi ed il nemico, sebbene annidato in caverne, dovette arrendersi. Con poche parole si narra l'azione di M. Ortigara. Altre parole sono inutili. Vi sono cose inenarrabili e tentandone la narrazione si deturpano la grandiosità e la bellezza. Tutti in questa giornata si distinsero: ufficiali, caporali, soldati, tutti, nessuno escluso.
Gloria a tutti, a tutti i caduti, feriti, illesi, usciti miracolosamente da quell'inferno. Ottocento furono i militari posti fuori combattimento''. (Pieropan. pag 227)
Ore 7. Il ‘Valtellina' prende il costone ovest dell'Ortigara; lo ‘Stelvio' conquista la vetta: in sequenza arrivano in vetta le compagnie: 137a, 113a e 89“. Il maggiore Faglia, comandante lo ‘Stelvio* ricorda: “Non è una'avanzata, è una corsa verso q. 2.105” . Gli alpini non si curano del micidiale fuoco nemico.
Ore 7. Dal fianco orientale della montagna avanza il ‘Verona', seguito dal ‘Sette Comuni', il cui comandante Milanesio, è gravemente ferito e ricorda. “Alle prime luci dell'alba il Sette Comuni è ammassato sotto i roccioni dell'Ortigara, alle ore 6, secondo l'ordine, i battaglioni riprendono risolutamente ma calmi la marcia verso l'aspra salita ..." (Pag. 229-230) La 145a Compagnia conduce la prima ondata con tale veemenza che il nemico in parte si ritira verso il Passo di Val Caldiera e in parte si arrende. Ricorda ancora Milanesio: “...dense colonne di prigionieri scesero sollecite nel vallone dell'Agnellizza... in quei primi momenti la fucileria nemica non dava segni di eccessiva reazione... i nostri alpini al massimo dell'entusiasmo per la conquista dell'agognata posizione... erano pronti a seguire i capi con irrefrenabile trasporto, avanti, avanti...” (Maggiore Ettore Milanesio. Battaglione Sette Comuni, a cura del 10° reggimento alpini. Roma 1934, in Pieropan, op cit. pag. 230)
Presa quota 2.105. la battaglia sembra finita.
Ore 6. Il battaglione ‘Monte Baldo*, alla destra del ‘Verona*, attacca: “Savoia!... è un urlo, un grido rombante col fragore dei grossi calibri... è un ondeggiare fantastico di baionette avanzanti, un formicolio di giovinezze italiche correnti alla vetta agognata.
L'Ortigara è presa...". Così il tenente Rigo.
(Tenente Rigo Firmino Gustavo, Il battaglione Monte Baldo nella guerra 1915-1918, Verona 1919; in Pieropan pagg. 230-231).
A sostegno del ‘Monte Baldo* giunge il ‘Bassano*.
Anche la brigata ‘Piemonte* registra “lo sbalzo magnifico*' delle sue tre colonne di testa, che giungono contemporaneamente su quota 2015. Si ha notizia che tra le ingiustamente rarissime decorazioni, è concessa la Medaglia d’Argento al Valor Militare al capitano Parolari. comandante la 137* compagnia, (pag 232) Secondo l'italico vizio della recriminazione, anche per questa medaglia si polemizzò su chi fosse arrivato veramente per primo. Tuttavia, il tumultuoso momento dell'arrivo su quella piatta sommità, salva la buona fede di ogni soldato, (cfr gen. Faldella in Pieropan. pag. 232) Il generale Cablati crede alla motivazione della decorazione che così si conclude: “...la conduceva |Parolari) di slancio alla conquista di importante posizione nemica, giungendovi per primo”, (pag 232) Secondo la Relazione ufficiale italiana le tre teste di colonna giunsero contemporaneamente sulla vetta. (Pieropan pag. 232) Presa la cima, catturiamo: 74 ufficiali e 944 soldati. Sono in nostre mani anche 5 cannoni e 14 mitragliatrici; in pratica il 11/4° Kaiserjàger, pur valoroso, non esiste più. (pag. 233) Mentre procedeva l'azione sull'Ortigara.
il colonnello Porta da quota 2101, conduceva le sue forze alla presadel Passo di Val Caldiera, fallita il 10 e li giugno, (pag 233). La prima ondata è fermata dagli Imperiali in posizione elevata. Il ‘Val Stura* perde quasi tutti gli ufficiali. Seguono gli altri battaglioni già provati. L'azione non riesce. Ore 9. Secondo Cabiati tutto finisce a quest'ora.
Ore 10,30. Secondo Como Dagna la colonna Probati ha perso 32 ufficiali e 1.033 fanti, (pagg. 234 -235)
Non c'è respiro. I reparti già colpiti: ‘Valtellina', ‘M. Stelvio', ‘M. Saccarello* etc.. vengono rischierati. L’artiglieria nemica li decima e poi inizia a spazzare quota 2.105. Gli alpini non schiodano: la 137" dello ‘Stelvio’ non lascia la vetta: intanto continua il tiro nemico dall'Altopiano e dalla Valsugana. Dello ‘Stelvio’, si constaterà il 20, mancano 7 ufficiali su 22 e 280 alpini su 600. Qui notevole l'impegno del sottotenente Bevilacqua, sacerdote, ma combattente, che al posto di medicazione proprio di questi alpini si occupa. Il maggiore Faglia ricorda che gli alpini: “sotto il fuoco dell’artiglieria e presi d'infilata da fitto fuoco di mitragliatrici che, da M. Campigoletti,
facevano scempio nelle file del battaglione. Anche qualche colpo troppo corto del nostro fuoco d'interdizione arrivava nella schiena della 137“ compagnia che coronava la vetta. Due, tre volte parve che la linea dei nostri uomini oscillasse sotto le mazzate dell’artiglieria e sotto la gragnuola delle mitragliatrici che falciavano e facevano rotolare i corpi dei soldati colpiti giù per la ripida china del monte; ma subito si riprendeva alla vista degli ufficiali che, magnifici e ovunque presenti, in quel vero cataclisma... ispiravano la fiducia che rinfresca e sprona fino all’eroismo.” «Lo “Stelvio” tenne duro.» (6)
I resti dei morti nemici erano frammisti ai nostri. Confusione e concitazione non impediscono agli alpini di fermare il nemico che arriva da Monte Campigoletti e Castelnuovo, anzi, secondo il generale Faldella la 113* compagnia che punta su Campigoletti, viene richiamata.
Non sapremo mai il perché di questo ordine assurdo, che permise agli Imperiali di chiudere la falla tra quota 2.060 e il Campigoletti. (pagg. 238-240) Il momento prezioso svanisce così. (pag. 241-243)
La sostanza è questa: l’Alto Comando della VI Armata, sistemato a Monte Bertiaga era troppo lontano e defilato dall’Ortigara, mentre quello austriaco era opportunamente vicino. Quelli non conoscevano il terreno, questi ultimi sì.
Ore 9,55. Il generale Di Giorgio ordina al col. brig. Probati di riordinare i reparti sull'Ortigara per proseguire l'azione.
Ore 11,42. Probati obbedisce ma presenta, con risposta tramite portaordini, le sue osservazioni circa le difficili condizioni dei reparti e sulla necessità di un nuovo intervento di artiglieria, né sa quando potrà riprendere l'avanzata, (pag. 245).
Ore 15. Di Giorgio risponde e consiglia di rinviare la ripresa dell'avanzata. .Stranamente il generale Montuori. comandante il Corpo d’Armata, si assenta dal suo comando, ma lascia al suo sottoposto Como Dagna. l'ordine di trasferire sull'Ortigara tre batterie da montagna. I messaggi sono affidati ad un portaordini che riesce nell'impresa. Spesso però ci lasciava la pelle.
Ore 12. Una ricognizione iniziata alle 6 da alcune pattuglie conferma a Como Dagna che le mitragliatrici del Campigoletti ci colpiscono da quota 2.105. Secondo un nuovo rapporto le difese nemiche del Campigoletti sono tanto malconce da non poter resistere ad un nostro attacco. In più la brigata ‘Regina' potrebbe attaccare guidata da alpini della zona. Il Comandante del Corpo d* Armata nega il permesso: bastava l'artiglieria a neutralizzare il Campigoletti. Siamo ormai sulla difensiva.
Ore 16. Il Di Giorgio dispone l’avvicendamento dei battaglioni più prov ati con tre del 10° fanteria, col. Pizzarello.
Ore 16,30. Como Dagna comunica che la ‘Regina' è a disposizione della 52'*. Ma il movimento era già avvenuto alle 16! Ciò la dice lunga sulla collaborazione tra i comandi, (cfr Pieropan. Pag 246-249) Il comandante della ‘Regina’, col. brig. Biancardi. Informa che i suoi fanti da due mesi “marciano e dormono per terra e non sono in grado di operare in alta montagna."
Ore 20,45. Mambretti con il fono n°. 456 informa Cadorna che non prevede progressi sull'Altopiano; pertanto sospende le operazioni offensive. Solo alle 17,15 del 20 giugno Cadorna risponderà: “Prendo atto approvo disposizioni comunicatemi con fonogramma 456 data ieri”. (Pieropan. pag 252) Mambretti. invece, ordina all'ala destra del XX Corpo, cioè alla 52a divisione, di continuare con attacchi locali. Contraddizione.
Ore 22. Como Dagna risponde al fono di Di Giorgio delle 16: prigionieri informano circa un imminente contrattacco nemico, il 10° fanteria sostituirà i battaglioni alpini più provati; Di Giorgio chiede l'elenco delle perdite.
Ore 23. Il generale Di Giorgio, con fono recapitato da un portaordini, informa il collega d'aver suddiviso la linea di difesa di quota 2.105 in tre settori, (pagg. 249-251) A fine giornata le perdite: Caduti 28 ufficiali e 450 alpini: feriti 115 ufficiali e 326 alpini.
51“ divisione. Conduce solo inteneriti d'artiglieria; le sue truppe essendo mancata l’occupazione di Passo Caldiera, da parte della 52a, non si muovono.
Balletto di responsabilità. L'offensiva, nel suo complesso, deve procedere o no? Né Mambretti né Montuori né Cadorna decidono. I soldati restano in mezzo al guado. (Pieropan. pag 252-253)
Gli Imperiali.
Il 19 giugno se lo ricorderanno anche loro, ma per ragioni opposte alle nostre: quasi annientati come forza organica sul terreno, improvvisamente si trovano di fronte soldati fermati dai loro stessi comandanti. Cronologia essenziale dei mov ¡menti del nemico.
Ore 7,30. Osservatorio di Monte Campigoletti.
Il VII Feldjäger informa i comandi sulla nostra avanzata. Preoccupa la ‘Colonna Porta’, diretta a Passo Caldiera. A Cima Ortigara occupata, il Comandante della 6a div isione, teme che gli italiani oltrepassino il monte e dilaghino nell'Altopiano. Egli chiede rinforzi dall'osservatorio Como di Campov erde. Il generale comandante il III Corpo d'Armata invia tre reggimenti di fanteria ed uno di Schützen.
Ore 10. Krautvvald comunica al Comando dell* 1 la Armata che 5-6 battaglioni italiani sono a 500 metri da Monte Castelnuovo e una parte di loro dirige su Campigoletti. La 6a divisione si sta dissanguando, la 22" .Schützen è allo stremo, priva di riserve. Krautvvald “...per rimediare i danni dell'irruzione italiana, e poter poi mantenere la nostra posizione, non vi è altro mezzo che un contrattacco tendentea ripristinare la situazione iniziale. Le previsioni per questo contrattacco sono oggi migliori che dopo il primo attacco italiano del giorno 70”. (Pieropan, pag. 254). Donde nasce questa certezza? Forse il Generale conosce l'arte div ¡natoria? No: l’osservatorio di Campoverde gli ha comunicato che gli italiani presa quota 2.105, si sono fermati. Ma il pericolo resta: se le fanterie italiane procedessero?
Ore 12. Il generale Conrad von Hötzendorff, comandante il gruppo eserciti del Tirolo - sede a Bolzano -, è richiesto di nuove fanterie e artiglierie poiché: “Il consumo delle forze all'ala sinistra della 6° divisione è enorme; i battaglioni ritirati da quell'inferno sono ridotti a scorie”. Così il generale Scheuchenstuel. comandante l'11° Armata. Per esempio il 111/14° era rimasto con circa ottanta fucili ed il 11/4° Kaiserjäger, come abbiamo visto, non esisteva più. Conrad ottiene la 73a divisione di fanteria nella quale ripone molta fiducia; infatti, si tratta di esperti soldati di montagna comandati da un generale altrettanto esperto, Ludwig Goiginger. che aveva fermato gli italiani sulle Dolomiti; in riserva la II brigata di fanteria.
Ore 15. Il III Corpo d* Armata approva il contrattacco proposto da Krautvvald. A sera sono rimpiazzate le truppe ad ovest dell'Ortigara. (pag. 255) La Relazione ufficiale austriaca pone in evidenza tre punti a favore degli italiani: - la superiorità numerica. - l'apporto dell’aviazione. - lo sforzo della divisione alpini. La lotta a “15 - 20" passi dai reticolati austriaci tenuti dal 14° ovvero il reggimento della città di Linz. (pag. 258) Stoccata finale. Il col. brig. Von Sloninka così opina in una sua memoria: “Quali possibilità di successo si sono lasciati sfuggire gli italiani!” Gli italiani si accontentarono di un “... successo iniziale di per se stesso insignificante... essi dimostrarono di essere padroni del mestiere delle armi, ma non dell'arte della guerra”. (in Pieropan. pag 258) Per il nemico ed in parte anche per noi i comandi italiani non vedono oltre il proprio naso.
Mambretti.
La giornata non è ancora finita. A Monte Bertiaga al gen. Mambretti. gli echi della lotta giungono ovattati, quando giungono.
Ore 19. Gli attacchi alle difese austriache sono respinti con gravi perdite sia sul Monte Forno sia sull’Ortigara. Mambretti, con una riserva intatta di 36.000 uomini ed altri 12.000 poco provati e non impiegati, come se la battaglia fosse altro da sé. emana questo ordine: “Mentre tutti gli altri Corpi d'Armata passeranno ad una salda difesa, il XX Corpo si sistemerà come meglio crede opportuno per quello che riguarda l’Ortigara”, (cfr. Pieropan pag 260).
Mambretti e Montuori stanno vedendo un film?
Ore 21. L'ordine è diramato, ma lo scontro durerà sino al 29.
Conclusione.
Dalla Relazione Ufficiale austro-ungarica:
«La 52° divisione perse da sola 660 ufficiali e 15.000 uomini; sul resto del fronte le altre divisioni persero 350 ufficiali e 7.000 uomini.
Con 1.000 ufficiali e 22.000 uomini (i dati ufficiali italiani ancora non erano stati pubblicati), le perdite italiane raggiungevano così quelle di una battaglia dell’Isonzo; i 2 terzi peri) furono contati su un fronte lungo soltanto 2 Km. Bisogna aver presente questo particolare per capire il dolore e l'orrore per il sangue inutilmente versato soprattutto dagli alpini; questi sentimenti hanno sempre contraddistinto in Italia il nome di Ortigara.» (Pieropan, pag 350) .
In Italia si tacque e si tace.
Michele D ’Elia

Bibliografia
(1) Peter Ilari. la grande storia della Prima Guerra Mondiale, Ed. Newton Compton, Roma 2014, pag. 425. Titolo originale: The Great war.
(2) Peter Hart, op cit. pag. 429
(3) Peter Hart, op cit. pag. 429
(4) National Archives: cab 2522. CN Buzzard. Italian Army: Impressions of Lt Col. Buzzard, RN p.4. In Peter Hart, op cit. pag. 430
(5) Enrico Caviglia, la dodicesima battaglia - Caporetto, Ed. A. Mondadori, Verona XI-1933 XII pagg. 39-41)
(6) Umberto Paglia, Battaglione Stelvio, a cura del 10° Alpini, Roma 1935, in Pieropan pag. 136
* In col. A. Bronzuoli La guerra e la vittoria
Tip. A Matteucci - Roma 1934 - XIII - pag. 114

venerdì 10 febbraio 2017

Ortigara: sacrificio annunciato ed inutile - prima parte

di Michele D'Elia

31 luglio 1916
: fine della Strafexpedition.

8 agosto 1916: prendiamo Gorizia. Gli Austroungarici si attestano sulle alture a nordest della città. È il momento di andare avanti; via obbligata: la conquista dell’Ortigara; obiettivo ultimo: la poderosa testa di ponte di Tolmino, ancora più a nordest.
Ragioni tattico-strategiche: 1 - aggirare da nord il sistema difensivo nemico, incombente sull’Altopiano dei Sette Comuni e sulla Valsugana; 2 - sbarrare al nemico la strada per le valli sottostanti.
Questo il corretto pensiero del Capo di Stato Maggiore, generale Luigi Cadorna. Disastrosa ne sarà l’attuazione.
Domenica 10 giugno 1917, ore 5 del mattino. Dopo la settima, ottava, nona e decima battaglia dell’Isonzo, la neocostituita VI Armata, gen. Ettore Mambretti, attacca. Sono il XXII Corpo d’A., gen. Capello; il XX, generale Montuori ed il XVIII, gen. Etna.
Martedì 19 giugno la 52a divisione, interamente di alpini, prende la cresta dell’Ortigara; il nemico si ritira sulla corona di cime circostanti. Bisognerebbe andare avanti: né Mambretti né Cadorna impartiscono l’ordine; e nemmeno quello di ritirarsi. Su quell’acrocoro i nostri diventano bersaglio fisso per l’artiglieria nemica.
“L’on. Bissolati afferma che la sospensione di ulteriori azioni offensive nel Trentino, dopo la sanguinosa esperienza dell'Ortigara, fu dovuta a un discreto intervento di re Vittorio Emanuele III”. (Pieropan, pagg. 357-358)
La nostra narrazione sceglie come paradigma la giornata del 19 giugno 1917, nella quale fu conquistata l’Ortigara.
Seguiamo la traccia segnata da Gianni Pieropan, nel suo volume Ortigara 1917, seconda edizione, Mursia, Milano 1976.

19 giugno. Martedì.
Premessa.
L’inizio degli attacchi non è simultaneo, perché dipende dalle posizioni di partenza delle diverse unità. Da sud a nord dello schieramento:
12a divisione. Gli Arditi del 27° fanteria scendono sull’Assa per penetrare in Val Gabro e in Val Martello. Vengono respinti.
30a divisione. Alba. Il 21° e il 22° reggimento riprendono gli assalti falliti lunedì 18. Uguale risultato.
57a divisione. Azione dimostrativa in contrada Bosco.
25a divisione, XXII Corpo d’Armata.
Ore 14. Cessa il tiro di preparazione per i deludenti risultati. Da Monte Catz parte all’attacco del M. Rotondo il 112° fanteria, ma il reggimento è fermato davanti alle trincee nemiche dal fuoco d’interdizione, che si allunga anche sui rincalzi.
La brigata del col. brigadiere Conti e i bersaglieri del 5° reggimento giungono d’impeto alle trincee di quota 1.626 di Monte Zebio, ma le mitragliatrici da nord li colpiscono d’infilata.
Ore 13,30. Inutile il trasferimento in zona del 14° bersaglieri.
Ore 16,30. Stallo.
Ore 17,45. Fallisce un ulteriore attacco della 25a.
Perdite: caduti 6 ufficiali e 97 fanti; feriti 33 ufficiali e 513 fanti; dispersi, 151. Il sistema difensivo è ancora più che solido, ma si continua a prenderlo a testate.

13a divisione. Il 1/256° parte dalla Lunetta, di Monte Zebio, tra quota 1.626 e 1.673, alla testa vi è il suo comandante, col. Cavarzerani, poi creato dal Re, Conte di Nevea per l’azione di Sella Nevea. La prima ondata del I e III battaglione è infranta, così le successive, dal fuoco combinato delle Swarzlose (nome delle mitragliatrici austriache) e dell’artiglieria. Scrive il sottotenente Castelli del 256°: “«... il tiro ben centrato di mortai e un nutrito lancio di bombe a mano da parte dei fucilieri nemici, balzati fuori dai rifugi blindati, fanno subito paurosi vuoti e gravi perdite infliggono ai miei uomini, mentre tre mitragliatrici vengono prese in pieno da bombe e messe fuori uso.
Nel contempo le batterie avversarie volgono il loro fuoco micidiale sul nostro battaglione di prima schiera che ha iniziato il suo lento movimento su per le pendici del monte; compietamente allo scoperto, è preso ancora d’infilata dal fuoco delle mitragliatrici, di fucileria e di altre batterie avversarie in posizione ad occidente e ad oriente del possente loro sistema difensivo». Tuttavia l’eroico comportamento dei pochi uomini disponibili, che il Castelli chiama «giapponesi» perché tutti bassi di statura e piuttosto maturi d’età per essere stati a suo tempo riformati, gli consente di porre in azione le tre armi rimaste efficienti, costringendo così gli avversari a rintanarsi nei loro rifugi.
Ciò che naturalmente non arresta il tiro della loro artiglieria, una vera e propria cortina di fuoco calata sulle pendici del monte. I battaglioni avanzati, ormai decimati dalle forti perdite, rimangono fermi, inchiodati sul terreno; il battaglione di rincalza ancora su posizione sul vecchio trincerone, viene quasi annientato dal fuoco di repressione di altre batterie entrate nel frattempo in azione. In un momento di tregua. .. ispeziono la linea per trovare in qualche nicchia munizioni che cominciano a scarseggiare. .. sono come un automa che va... Scorgo invece con mia meraviglia il colonnello Cavarzerani e un trombettiere, unica persona del suo seguito... Egli mi parla, mi conforta con parole buone e con tanta affettuosità che mi commuove: mi sento scuotere, rivivere, riempire il cuore e l’anima di calore, di energia e di coraggio nuovo. A sera un colonnello, un sottotenente, una ventina di fanti... presidiano la prima linea di M. Zebio ormai divenuto ombra muta, tomba di tanti umili eroi...”, (in Pieropan pag. 224)
Ore 15,30. Arriva il 11/239°, che migliora la situazione.
Perdite: caduti 10 ufficiali e 337 fanti; feriti: 52 ufficiali e 1.126
fanti; dispersi, 1 ufficiale e 121 fanti. Nella maggior parte dei casi,
disperso vuol dire morto.
29a divisione. Generale Caviglia.
Ore 6. Il 214°reggimento punta su Monte Forno: I, II e III battaglione. Il I battaglione raggiunge e supera la prima linea di resistenza e nota che i pezzi in caverna, hanno resistito all’artiglieria italiana.
Il II è fermato dall’artiglieria, che spara da Monte Colombara e dal Corno di Montebianco. Il III li sostiene alle spalle, interverrà in un secondo momento.
Ore 7,45. Il generale Caviglia sale a quota 1.791 e si rende conto della situazione.
Ore 9. Il nemico si rafforza; arriva, però, la notizia che gli alpini hanno preso e superato l’Ortigara. Ciò impone alla 29a di persistere nell’attacco.

Ore 12-13,30. Nostro tiro di preparazione
Ore 13,30. Il 214° riparte all’assalto. Il I battaglione perde il suo comandante, capitano D’Auce, lo sostituisce il maggiore Asinari di Bemezzo. Nell’azione il reggimento perde 700 uomini.
Ore 15,30. Il generale Caviglia sospende l’azione.
Perdite: morti 9 ufficiali; 176 fanti, feriti 33 ufficiali; 1.092 feriti; dispersi 150. Il Monte Forno resta in mano austriaca. (Pieropan, op.cit. pagg. 225-226)
I nostri fanti.
Un antico detto ricorda: ‘La fanteria è la regina delle battaglie’. Ma sempre per le ragioni di modaiola correttezza politica, tale massima pare applicarsi solo ai soldati stranieri, alleati o no; non anche agli italiani. Peter Hart afferma ambiguamente “L’esercito italiano era numeroso... ma aveva gravi problemi sia di equipaggiamento sia di addestramento... gli ufficiali erano reclutati ancora su base regionale relativamente ristretta e in genere mancavano di professionalità.
Formalmente il Comandante in Capo era Re Vittorio Emanuele, ma... il comandante de facto era il generale Luigi Cadorna... un teorico di strategia militare, molto rispettato anche se non aveva esperienze di rilievo come comandante sul campo. I ranghi inferiori dell’esercito erano in gran parte reclutati fra i contadini, dove il livello di analfabetismo era molto elevato, un fatto che ostacolò la formazione di sottufficiali competenti. Avrebbero comunque dimostrato una forte capacità di resistenza sia alle difficili condizioni, sia alle pesanti perdite del servizio attivo” P
Una spigolatura di coraggio viene riconosciuta al nostro soldato quando vengono lanciate la 6a, 7a, 8° e 9a offensive dell’Isonzo: “Nell’insieme Cadorna stava spingendo avanti i suoi uomini, fissando per le operazioni offensive un ritmo più elevato di quello previsto dai generali inglesi, francesi o russi. Le unità venivano impiegate in battaglia con frequenza molto più regolare, anche nel corso dell’inverno, cosa che favoriva ben pochi momenti di respiro a causa dei rigori del clima. Cadorna era un rigido fautore della disciplina e sosteneva con entusiasmo l’uso della minaccia della pena di morte per mantenere i suoi uomini all’altezza delle prestazioni richieste. Il 12 maggio 1917 le operazioni ripresero con un bombardamento in occasione della decima battaglia dell’Isonzo” (2)
Su nostra richiesta gli Alleati inviarono altri pezzi di artiglieria e al loro arrivo gli inglesi scoprirono che, per loro, il soldato italiano era una enigma ”.
(3) Infatti, così lo vede il ten. col Charles Buzzard: “Direi che, di tutti gli eserciti, lo standard più difficile da valutare è quello degli italiani. Ci si trova sempre di fronte a qualche sorpresa. L’italiano è capace di fare tutto, ed è un maestro del far niente. Quanto al fisico penso che, nonostante sia insuperabile in quanto a bassa statura, abbia una forza notevole. Può infatti trasportare più di un soldato inglese o francese. Si potrà anche vedere la fanteria sparpagliarsi lungo una strada... ma camminerà tutto il giorno nutrendosi di poco. Praticamente non è mai ubriaco e, seppur analfabeta, è estremamente abile e ingegnoso. Non ha idea di cosa sia la puntualità... Quando lavora, però, lo fa eccezionalmente bene. Il morale degli italiani è facilmente influenzabile. Come mi disse un ufficiale italiano: «Gli dica che è coraggioso e lo diventerà!». Quindi i reggimenti di buona tradizione sono eccellenti, quelli privi di tradizioni o con una cattiva reputazione sono pessimi...”(4)
Delle nostre fanterie così scrive il gen. Enrico Caviglia: “Le truppe sottoposte a gravi sacrifìci, senza corrispondenti successi, si convincono dell’inutilità dei loro sforzi e mal si prestano a nuovi olocausti. Nell’ultima grande guerra nessun esercito ha portato le sue fanterie a dar di cozzo per anni contro le stesse posizioni, soffrendo gravissime perdite, senza il sorriso visibile della vittoria, come noi facemmo sulla fronte giulia. I nomi di alcune località del Carso e dell’Isonzo onorarono altamente, ma solamente il valore delle truppe.
Il principio dell’economia delle forze ci può fare ammettere che nelle prime battaglie dellTsonzo si potessero lanciare all’attacco le nostre fanterie con generosa larghezza, se si sperava di sfondare la fronte nemica e venire ad una vittoria decisiva. Ma uguali sacrifìci non erano più militarmente giustificati, quando l’impostazione del concetto direttivo, l’impiego delle truppe e lo svolgimento dell’azione miravano a piccole conquiste territoriali... In molti tratti della nostra fronte orientale, sul Carso, intorno a Gorizia, intorno a Tolmino i nemici vedevano le nostre trincee sotto di loro, contavano i nostri uomini, conoscevano le nostre abitudini, sorvegliavano i nostri movimenti, mentre essi se ne stavano a loro agio in trincee dominanti e non visti da noi. In quelle loro trincee essi dovevano spendere poco più delle energie necessarie alla vita nelle seconde linee. Se si fossero ritirati, non avremmo potuto accorgercene. Le nostre fanterie erano invece immerse nella peggiore vita di guerra.
Si trovavano in condizioni materiali di inferiorità rispetto ai nemici, e dovevano sopportare e vincere i disagi e le sofferenze morali e fisiche d’ogni genere che la guerra crea e addensa sui combattenti per abbattere la volontà di lottare. Esse dettero prova di possedere le vecchie qualità della razza: di pazienza, di sopportazione dei disagi e delle privazioni, di resistenza fisica e morale a tutti i fattori deprimenti naturali e bellici”.(5) E in altro suo testo: ”... si è detto che la nostra fanteria non era manovriera. Invece si può affermare che, con i nostri metodi tattici d'ali ora. non v'era la possibilità di manovrare per i reparti di frontiera in linea. Chi non ne è convinto, deve aver visto la guerra col cannocchiale. Le nostre trincee erano in generale a meno di un ettometro da quelle nemiche, talvolta a pochi metri, e lo spazio intermedio conteneva due linee di reticolati.
Tuttavia la manovra consisteva nel lasciare la nostra trincea per andare in quella austriaca nel più breve tempo possibile, quando era venuto il momento dello scatto, il quale momento non era mai stabilito dagli ufficiali di fanteria. Né vi era la possibilità di manovrare. Quando nell'avvicinamento alla prima linea si insaccavano le truppe in camminamenti, conosciuti e battuti dall’artiglieria nemica, dove le nostre belle brigate erano demolite nell'attesa del momento dello scatto. Eppure anche in quelle condizioni la nostra fanteria, per riuscire ad avanzare, studiava numerosi artifìci ed ingegni, che certamente nessun regolamento o trattato di tattica aveva mai consigliato. Talvolta da lontano furono visti dei nostri battaglioni rimanere a terra immobili sotto il tiro dell'artiglieria nemica che li decimava, e pareva agli osservatori e critici che, se quei battaglioni si fossero spostati, avrebbero potuto evitare quelle perdite.
Ma gli osservatori non sapevano che, se i battaglioni si fossero alzati, sarebbero stati falciati dalle mitragliatrici nemiche, e che solo per questa essi rimanevano a terra immobili... resistenti alle fatiche ed alle privazioni, e convinti che la loro vita valga meno della nostra, e si possa spendere come moneta corrente. Ed attaccati, come essi sono, alla loro terra, sentono istintivamente la necessità di sacrificarsi per difenderla, senza nessuna speranza di premio, senza nessun diritto ad un premio. Nulla di più generoso esiste al mondo!
(Enrico Caviglia. La battaglia della Bainsizza, Ed A. Mondadori, Milano 20 febbraio 1930. pagg. 42-44).