sabato 7 giugno 2014

CITTADINO E RE - V parte

La Luogotenenza.

Tra il 10 e l'11aprile 1944 le pressioni degli Alleati, tramite Murphy, Mac Millan, Sir Noel Charles e Mac Farlane sul sovrano perché si faccia da parte, si fanno intollerabili, ma raggiungono l'obiettivo. Il 12 aprile da Radio Bari il Re si congeda dal popolo italiano: "Il popolo italiano sa che sono sempre stato al suo fianco nelle ore gravi e nelle ore liete. Sa che otto mesi or sono ho posto fine al regime fascista e ho portato l'Italia, nonostante ogni pericolo e rischio, a fianco delle Nazioni Unite, nella lotta di liberazione contro il fascismo. L'Esercito, la Marina, l'Aviazione, rispondendo al mio appello, si battono intrepidamente da otto mesi contro il nemico fianco a franco con le truppe alleate. Il nostro contributo alla vittoria sarà, progressivamente, più grande. Verrà il giorno in cui, guarite le nostre profonde ferite, riprenderemo il nostro posto, da popolo libero accanto a nazioni libere. Ponendo in atto quanto ho già comunicato alle autorità alleate ed al mio governo ho deciso di ritirarmi dalla vita pubblica nominando Luogotenente Generale deI Regno mio figlio Umberto Principe di Piemonte. Tale nomina diventerà effettiva, mediante il passaggio materiale dei poteri, lo stesso giorno in cui le truppe alleate entreranno in Roma. Questa mia decisione, che ho ferma fiducia faciliterà l'unione nazionale è definitiva e irrevocabile.
E’ chiaro ciò a cui solo il Re non voleva credere: non gli sarebbe mai stato consentito di tornare nella Capitale.

Scrive Puntoni: “Sua Maestà cercava di convincermi che il mestiere del Re è difficile e pesante, «Non si può dire - ha esclamato ad un certo punto - che da quando si è formata l'Italia le cose siano andate proprio bene per la mia Casa! Solo mio nonno ne è uscito bene, Carlo Alberto dovette abdicare, mio padre fu assassinato. Non avevo nessuna íntenzione di succedere a mio padre e l'avevo quasi convinto ad accogliere il mio proposito di rinunciare alla Corona. Ma fu ucciso e io. in quell'ora tragica, non potei rifiutarmi di salire al trono, Se l'avessi fatto avrebbero detto che ero un vile!» ".
Bastava? No. C'era ancora un prezzo da pagare. La figlia Mafalda sarebbe stata catturata nell'Ambasciata tedesca di Roma ad opera di Herbert Kappler, deportata a Buchenwald e alloggiata nella baracca delle prostitute. Morirà il 29 agosto 1944, in seguito alle ferite riportate durante il bombardamento americano del campo.

18 aprile, Badoglio si dimette, il Re lo reincarica; De Nicola ha rifiutato di entrare nel governo, si vede che la coerenza non è il suo forte.

Con questo atto il Re pone fine, almeno temporaneamente, al teatrino creato dai partiti a dai rappresentanti anglo-americani, che stanno soffocando la Corona.

Il 18 maggio il Re visita il Comando del Corpo Italiano di Liberazione (C.I.L.) comandato dal gen. Utili. Subito dopo si spinge sino a Cassino, dove torna il 23.

5 giugno 1944. Gli Alleati entrati a Roma vietano al Re di tomare nella Capitale. Di più: alle ore 15, "Mac Farlane si reca dal Re - in pantaloni corti e in maniche di camicia - con Badoglio per far firmare al Re il Decreto sulla Luogotenenza. Il Re conferma di voler firmare a Roma, ma non c'è nulla da fare, egli ottiene solo che la richiesta venga messa per iscritto. Alle ore 17 il re firma.

7 giugno, Badoglio si dimette, come prassi; Il Luogotenente lo reincarica ma egli non riesce a formare il suo terzo governo. Viene incaricato Ivanoe Bonomi, che forma il nuovo governo l'11 giugno.

Il 27 giugno, i ministri vorrebbero giurare di "essere fedeli al Paese", invece che al Re. La Marina si ribella: "Noi eseguiamo solo gli ordini che ci vengono impartiti in nome di Sua Maestà".

Vittorio Emanuele III, nonostante tutti i tentativi di delegittimarlo, è ancora riconosciuto dai militari di ogni grado, Capo delle Forze Armate.

30 luglio, per l'arrivo di Re Giorgio VI a Napoli a Vittorio Emanuele III viene imposto di lasciare immediatamente Villa Maria Pia.

11 agosto, Sforza ha proposto di epurare, secondo la stampa, 109 senatori su 420. Il Re osserva: "Questo dimostra che, funzionando, anche il Senato era favorevole al fascismo. Si può dire lo stesso per il resto delle Organizzazioni statali... Stando così le cose, quale garanzia di appoggio avrei potuto avere nel caso che mi fossi deciso ad agire prima? ". [del 25 luglio, ndr]

8 settembre 1944, in questo primo significativo anniversario il Re commenta: "Da dodici mesi sono sulla strada. E la mia via crucis non è finita".

1945. 23 febbraio. Si ha notizia di paracadutisti che attenterebbero alla vita del Re. Come mai? Evidentemente il Re va eliminato perché scomodo protagonista di fatti che, per i posteri, devono essere "aggiustati".

26 febbraio, il gen. Puntoni a Roma incontra casualmente il nuovo Ministro della Real Casa, Falcone Lucifero, il quale gli dice: "Sua Maestà dovrebbe abdicare subito e andare all'estero. La situazione del Principe verrebbe così chiarita e il suo difficile compito verrebbe facilitato".

Puntoni replica: 'L’abdicazione equivarrebbe alla rottura del compromesso e della cosiddetta tregua... ho l'impressione che si cerchi di staccare il figlio dal padre e la cosa creerà altre amarezze per il Re".

Il Ministro Lucifero davvero crede che Umberto e la Monarchia possano salvarsi offrendo agli oppositori la testa del vecchio Re?

Il 4 dicembre, alle 3,30, il Luogotenente incarica Alcide De Gasperi di formare il nuovo governo.

Orlando e Bonomi rifiutano dì fame parte. Il vizio di nascondersi è vecchio: criticano il Re ma non assumono le responsabilità che potrebbero salvare la situazione.

Il 28 dicembre a Mosca i ministri Molotov, Bevin e Byrnes dichiarano: "L'Italia sarà trattata come gli altri paesi ex nemici ".

A che cosa sono serviti il 25 luglio e l'8 settembre?

1946. 16 febbraio, osserva il Re "Gli uomini politici hanno nove vite come i gatti. Se ne servono a seconda delle circostanze. La loro preoccupazione è quella di rimanere sempre a galla. Purtroppo sono come i sugheri"; l'occasione di questo sfogo è la morte dell'on. Rodinò della D.C. divenuto, dopo il Congresso di Bari, avversario della Monarchia.

Il 25 aprile. Gli eventi precipitano.

Vittorio Emanuele spiega a Puntoni: "Gli Alleati d'accordo con il Luogotenente e i Capi dei partiti dì centro e di destra, hanno manifestato l'opinione che io debba abdicare prima del 2 giugno--- dicono che l'abdicazione consoliderà la posizione del Luogotenente e renderà più probabile una vittoria della Monarchia nel referendum ... dopo tutto è bene che siano loro a decidere".

Affossavano la Monarchia dicendo di volerla salvare. Il Luogotenente fu ingenuo? Di sicuro inesperto e malconsigliato; tuttavia, fece bene il suo dovere.

L'abdicazione.

9 maggio ore 15: "Abdico alla Corona del Regno d'Italia in favore di mio figlio Umberto di Savoia Principe di Piemonte".

Dopo la firma il Re si rivolge al suo Aiutante di Campo: "Ha visto? E’ successo più presto di quello che credevamo! Ho adoperato la stessa formula usata da Carlo Alberto nel 1849". Ore 19. L'incrociatore 'Duca degli Abruzzi' arriva a Napoli. Ore 19,40. I Sovrani s'imbarcano per Alessandria d'Egitto.

Epilogo: schiodiamo il pregiudizio.

10 settembre 1943. L'Ammiraglio Oliva, succeduto a Bergarmni, inabissatosi con la 'Roma' il giorno prima, segnala alla squadra in navigazione verso Malta: "Sua Maestà il Re ordina di eseguire lealmente le clausole dell'armistizio che escludono la cessione delle navi a stranieri". La Regia Marina ubbidisce. E l'obbedienza più amara ma questo ordinava il Re.I Marinai, individualmente liberi di vivere o morire, combattendo per un personale problema di onore, non erano liberi di farlo come Corpo dello Stato. La disubbidienza della Regia Marina avrebbe manifestato agli occhi dello straniero, alleato o nemico che fosse, l'inesistenza dello Stato. Ubbidienza al Re dimostrava l'esatto contrario: Il Re di Pescara è il Re di Peschiera.

Gli Alleati capirono che potevano disporre non solo di quel potente complesso, che era la nostra flotta, ma anche di tutte le strutture del Paese, solo attraverso l'obbedienza al Re e per questo essi dovevano rispettare i cittadini e lo Stato Italiano. Le coscienze nei primi momenti si lacerarono, ma poi ognuno trovò la sua strada. Il Regno del Sud è forse la più grande metafora della nostra Storia. La sua onda lunga ci lambisce, superando di molto le date in cui cronologicamente possiamo racchiuderlo, 9 settembre 1943-5 giugno 1944 o, più correttamente, 9 maggio 1946. Vittorio Emanuele III ne rimane la figura centrale. Gli uomini che lo definirono 'Re fuggiasco', vollero dimenticare che essi stessi erano Ministri e uomini liberi proprio in virtù di quella fuga.

Quel veleno è diventato un pregiudizio sul quale l'Italia, dopo settant'anni, stenta ad interrogarsi con obbiettività, ma veniva smentito nel momento stesso in cui il Regno del Sud nasceva, veniva smentito dall'Esercito, dalla Marina, dall'Aviazione, dai soldati che, prigionieri nei lager (l.M.I.), preferirono quel rischio di morte al tradimento della fedeltà al Re, che coincideva con la fedeltà alla Patria e, soprattutto, a se stessi. Cosi pure agirono migliaia di partigiani, autonomia e no, vale a dire coloro che seppero guardare oltre le insegne di partito. Lo smentirono le decine di migliaia di soldati che, pur potendo salvarsi in un'Italia spezzata in due, riattraversarono le linee da Nord a Sud, riaffluendo nel ricostruito Regio Esercito.

Più volte gli Alleati umiliarono Vittorio Emanuele, ma la sua resistenza silenziosa e ostinata, li costrinse a concedere allo Stato italiano la "cobelligeranza", formula ambigua e strumentale, inventata per non conferire all'Italia lo status di 'alleato', ma pur sempre un riconoscimento.

L’ltalia aveva un Capo ed un Governo con i quali il mondo fu costretto a confrontarsi

Tuttavia, si continua a malignare: l'amministrazione del Regno non ebbe poteri: e quali? Questa illazione è smentita dal fatto stesso che l'antico Regno si perpetuava nelle quattro province del Re e gradatamente nella ricomposizione del territorio nazionale.

Quando tutti si nascosero dietro di lui, " Il Re che fu Re", salvò l'unità, la libertà, l'onore del nostro popolo e soprattutto il suo futuro, "con affetto di padre e lealtà di Re", come chiedeva lo Statuto Albertino.


Michele D'Elia