sabato 21 marzo 2015

LA SOCIOLOGIA E LA PRIMA GUERRA MONDIALE

di Roberto  Cipriani


Premessa

La sociologia in quanto studio scientifico della società non trascura affatto la fenomenologia dei conflitti, quale che sia la loro natura. Anzi. sulla base del principio dell'avalutatività (1) come assenza di valutazione secondo quanto sostenuto dal sociologo tedesco Max Weber ( 1864-1920). Essa tende ad evitare in linea di principio un giudizio sui fatti e sulle loro conseguenze Ma questo non  significa affatto una atarassia di ogni genocidio, massacro,  atto distruttivo di massa.Anzi uno dei massimi scienziati sociali di tutti i tempi, il sociologo francese Emile Durkheim (1858-1917), in un primo tempo si è domandato quali fossero le matrici reali del conflitto mondiale tra il 1914 ed il 1918 (vedi Emile Durkheim Enest Denis  Chi ha voluto la guerra?  Le origini della guerra secondo i  documenti diplomatici: studio critico.Traduzione dal francese di Giovanni Mazzoni, Paris, Colin 1915) e poi ha dovuto soffrire  in modo fatale - appunto fino a morirne  egli stesso      mesi dopo – la perdita del carissimo figlio André, andato a combattere nei Balcani.

La sociologia della guerra.

L'inizio stesso della storia come procedura conoscitiva viene quasi fatta coincidere - da qualche studioso - con i primi contrasti bellici. Ed in fondo anche il De Bello Gallico di Caio Giulio Cesare, è una sorta di embrionale sociologia della guerra a carattere descrittivo, applicata ai Galli, ai loro usi e costumi, ai loro riferimenti socio-culturali. Nel Nuovo Dizionario di Sociologia, Raimondo Strassoldo scrive: Il criterio distintivo della guerra rispetto alle altre forme di violenza collettiva è la legittimità: la società nel suo complesso deve riconoscere come legittimo l'uso della forza armata quale modo di interazione sociale da parte di un sottogruppo o dell'intero gruppo sociale. Ciò comporta a sua volta l'identificazione della società e di soggetti legittimati a pronunciarsi in suo nome". Per di più "i conflitti tra società si sono sempre condotti anche con mezzi diversi dalla violenza strettamente intesa, cioè la forza armata" (2)

In particolare, però, "la guerra del 1914 è il primo esempio di una moderna guerra totale.(3)
Si è osservato - in qualche saggio di storia militare - che agli esordi della prima guerra mondiale i militari francesi avevano dei calzoni di colore rosso, ben visibili e bersagli piuttosto facili, nonostante la lontananza fra gli eserciti in lotta, che comportò pure il ricorso all'arma aeronautica ed al gas. Le caratteristiche del conflitto furono piuttosto di difesa ad oltranza delle posizioni, costasse quel che costasse, in termini di esistenze umane dall'una e dall'altra parte.

Anche il sociologo tedesco Georg Simmel (1858-1918) si interessò al tema, con il suo saggio Sulla guerra (Armando, Roma, 2003), traduzione italiana del testo", La guerra e le decisioni spirituali, edito nel 1917. La maggior parte dell'intellettualità tedesca era favorevole al conflitto. visto come una sorta di selezione per la sopravvivenza e per l'acquisizione di nuovi territori, insieme con l'affermazione di una pretesa “civiltà" degli eroi tedeschi contro i mercanti inglesi. E Simmel scriveva pure che la guerra si potesse immaginare come possibilità di guarigione. Tale tema si riproporrà nella seconda guerra mondiale.

Il discorso di fondo è quello del      contrasto – per riprendere il titolo di m libro famoso (Krieg und  Kapitalismus Bunker & Humblot  Munchen 1913) di Werner Sombart - tra  inglesi pragmatici e tedeschi difensori della civiltà.      Erano anche i nuovi principi volti al superamento  degli ideali rivoluzionari del 1789 francese. Ma soprattutto va detto che il conflitto 1914-1918 fu davvero totale. In essa confluirono in modo contrastante e contraddittorio elementi di modernità e razionalità e altrettanti di irrazionalità: ci fu un'irruzione della tecnologia ma anche uno spreco - inutile ed oltre ogni misura - di tante vite umane.

I sociologi italiani vissero sulla propria pelle quei momenti cruciali, presi letteralmente tra due fuochi, fra interventisti da una parte e non interventisti dall'altra. Altrove gli schieramenti furono più netti. In Francia Durkheim fu assolutamente contrario all'idea stessa di guerra. In Germania Weber e Simmel presero posizione a favore dell'idea tedesca di supremazia della nazione (Deutschland uber alles). Mentre Durkheim considerava la guerra una deriva "barbara" della civiltà, in Germania invece si voleva irrinunciabilmente il conflitto.

Weber fu uno strenuo sostenitore della guerra, invitando altri studiosi a sostenere il suo punto di vista in favore della Kultur tedesca: egli appariva come un conflittualista in senso pieno, per il quale la guerra diventava un esito scontato. Simmel, dal canto suo, intendeva garantire gli alti e nobili ideali civili, culturali e spirituali del suo Paese. La guerra per lui era insita nelle società, ne sosteneva l'identità e serviva a sormontare situazioni di difficoltà.

Il sociologo italiano Vilfredo Pareto (1848-1923) descriveva la guerra come conseguenza degli istinti umani, i cosiddetti "residui", promotori dell'agire umano. A fronte di tali spinte. secondo Pareto non vi erano istituzioni statali in grado di reggere l'impatto. E la guerra poteva essere anche una soluzione atta a superare le difficoltà incontrate dai sistemi democratici(5). Di altro avviso era Joseph Schumpeter

1883-1950) che attribuiva l'insorgere della guerra ad un ritardo storico-culturale delle nazioni belligeranti(6). E Norbert Elias (1897-1990), lungimirante, già prevedeva il tracollo della civilizzazione .. a seguito di processi auto-distruttivi ed etero-distruttivi, senza vincitori e neppure vinti.

A proposito di guerra giusta

Per Gaston Bouthul “la guerra è la lotta armata e sanguinosa fra gruppi organizzati(8). Però non si conosce quale sia la condizione normale della società, cioè se quella della pace o quella della guerra. Molti si sono divisi fra l’una o l’altra soluzione. Si tratta solo di preferenze personali (9). Inoltre torna utile conoscere quali condizioni devono essere rispettate perché aumentino le probabilità di durata della pace"(10). "Le civiltà hanno tentato di rispondere a questo quesito, con la pratica e con la teoria. Ogni volta che si instaurò la pace, governanti e popolo tentarono di consolidarla, di preservarla e di difenderla con misure d'ordine politico. Sul piano teorico ogni civiltà, in ogni epoca, ha elaborato dottrine di pace, talune filosofiche o religiose, altre giuridiche, altre infine basate sulla propaganda e l'insegnamento"(11). Ancora secondo Bouthoul, la guerra produce importanti mutamenti sociali. In particolare è anche dalle conseguenze della prima guerra mondiale che nacquero il fascismo prima, in Italia con Benito Mussolini, ed il nazismo poi, in Germania con Adolf Hitler. Osserva tuttavia Carl Schmitt: "il concetto di guerra finora in vigore, grazie al suo carattere non discriminatorio e alla sua valutazione paritaria di entrambi i contendenti, rende possibile che il conflitto armato possa essere considerato un concetto unitario di diritto internazionale. Presupposto di una tale unificazione è la non estensione del concetto a Stati terzi, in altre parole la rinuncia a una distinzione giuridica determinante per i terzi. Non appena si prendono decisioni con effetto sui terzi che riguardano la legittimità o l'illegittimità, la liceità o l'illiceità di una guerra, il carattere unitario del concetto di guerra si incrina e nel diritto internazionale troviamo una 'guerra' giusta e lecita, distinta dall'altra considerata una guerra ingiusta e illecita. Queste sarebbero in fondo due guerre diverse, ognuna delle quali però, dato che giustizia e ingiustizia non possono essere giuridicamente collegate al medesimo concetto, significherebbe qualcosa di totalmente differente e opposto rispetto all'altra; quindi non potrebbero essere ricomprese nel medesimo concetto giuridico"(12).

Per concludere, conviene fornire almeno un ulteriore riferimento bibliografico che possa contribuire a comprendere meglio quanto è avvenuto un secolo fa: Maria Luisa Maniscalco in Sociologia e conflitti: dai classici alla peace research, Altrimedia. 2010, si è soffermata sui contributi offerti dagli autori classici al tema della guerra.
Da ultimo. va segnalato che proprio di recente si è tenuto a Roma un convegno dal titolo -Le guerre e i sociologi a cent'anni dallo scoppio del primo conflitto mondiale". Organizzato dall'AIS (Associazione Italiana di sociologia), sezione Teorie sociologiche e trasformazioni sociali,  presso la Libera Università Maria SS Assunta di Roma, il 26 ed il 27 giugno 2014.
           

Roberto  Cipriani Università Roma Tre


(1) Cfr. M. Weber, Die 'Objektivitát sozialwissenschaftlicher und sozialpolitischer Erkenntnis, in Gesammelte Aufsátze zar Wissenschaftsleltre (1904), Mohr, Tùbingen, 1922, pp. 146-214 (tr. it., Woggettività conoscitiva della scienza sociale e della politica sociale, in Il metodo delle scienze storico-sociali, Einaudi, Torino, 1958, pp. 53-141).

(2) R. Strassoldo.”Guerra”. in F. Demarchi, A. Ellena, B. Cattarinussi (a cura di), Nuovo Diionario di Sociologia, Edizioni Paoline, Cinisello Balsamo, 1987, p. 954.

(3) G. Ritter, I militari e la politica nella Germania moderna. La prima guerra mondiale e la crisi della politica tedesca 1914 -17, Einaudi, Torino 1973, p. 11

(4) G. Simmel, La guerra e le decisioni spirituali, Armando, Roma, 2003

(5) V Pareto, Trattato di Sociologia Generale, UTET, Torino, 1988, 4 voll., nn. 439, 1945-1958, 2052, 2068-2068.1, 2146, 2178, 2193-2194, 2223-2225, 2254, 2307. 1, 2316, 2328-2328.1, 2427, 2440.1. 2454.3, 2475.1, 2556, 2611.2,

(6) J. Schurnpeter, Sociologia dell'imperialismo, Laterza, Bari, 1972.

(7) N. Elias, Humana Conditio, Il Mulino, Bologna, 1987.

(8) G. Bouthoul, Le Guerre: elementi di polemologia: metodi, teorie e opinioni sulla guerra, morfologia, elementi tecnici, demografici, economici, psicologici, periodicità delle guerre, Longanesi, Milano, 1982, p. 43.

(9) G. Bouthoul, L'uomo che uccide, Longanesi, Milano. 1969.


(10) G. Bouthoul, L'uomo che uccide, Milano, Longanesi, 1967, p. 34. (11) Ibidem. (12) C. Schmitt Il concetto discriminatorio di guerra, Bari, Laterza, 2008, pp. 66-67.

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