lunedì 25 giugno 2018

LA SOCIOLOGIA ITALIANA DAI SUOI INIZI SINO ALLA FINE DELLA PRIMA GUERRA MONDIALE


Roberto Ardigò
Uno degli intellettuali di riferimento del positivismo italiano fu Roberto Ardigò (1828-1920), autore del libro Sociologia (1886). Probabilmente era stato all’epoca lo studioso italiano più acuto e tra i più noti a livello internazionale: grazie a lui un lavoro cruciale nella storia delle scienze sociali, quello di William James dal titolo Le varie forme dell’esperienza religiosa, pubblicato negli Stati Uniti nel 1902, venne tradotto in italiano, nel 1904. William James era uno dei padri del pragmatismo americano e, pertanto, uno dei principali sostenitori delle scienze empiriche. Ardigò, che non aveva mai voluto leggere Comte e leggeva invece solo alcuni scritti di Herbert Spencer, sostenne fortemente il carattere empirico della conoscenza sia del mondo fi sico che di quello psichico, secondo la prospettiva di un passaggio crescente dall’indistinto al distinto, e lasciò un gran numero di pubblicazioni, raccolte in Opere fi losofi che, in 11 volumi, pubblicati tra il 1882 e il 1918. 
Proprio in quest’ultimo anno Ardigò tentò il suicidio una prima volta, perché già depresso ma per di più anche addolorato a seguito della disfatta di Caporetto e della perdita di molte giovani vite. Un secondo tentativo ebbe luogo il 27 agosto 1920 nella sua casa di Mantova, già abitata da Ippolito Nievo (1831- 1861), patriota ed autore del romanzo Le confessioni di un italiano (pubblicato postumo nel 1867 con il titolo Le confessioni di un ottuagenario e riecheggiato di recente da Achille Occhetto in Pensieri di un ottuagenario). Roberto Ardigò morì qualche giorno dopo, il 15 settembre 1920. Il primo insegnamento della sociologia in un’università italiana si era avuto, per quanto ne sappiamo, nel 1874 grazie a Giuseppe Carle, seguace di Giambattista Vico (1668-1744), presso l’Università di Torino. 
Un altro corso sociologico risale all’anno accademico 1878-1879 presso l’Università di Bologna: si trattava di sociologia teorica, insegnata dal professor Pietro Siciliani. Il riconoscimento uffi ciale della sociologia da parte del ministro del settore (Guido Baccelli) si ebbe nel 1898 con la cattedra assegnata a Errico De Marinis (nel 1901) – un socialista vicino al pensiero dell’evoluzionista darwiniano Ernst Haeckel – presso l’Università di Napoli, nella Facoltà di diritto. Prima di allora, alcuni corsi non uffi ciali erano stati impartiti da Alfonso Asturaro a Genova, dall’economista socialista Achille Loria a Padova, dal fi losofo Icilio Vanni a Perugia, dall’economista Salvatore Cognetti de Martiis a Torino. Altri insegnamenti sociologici erano stati attivati a Siena (Filippo Virgilii), Messina (Ferdinando Puglia), ma anche a Roma (Enrico Ferri) e Catania (Giuseppe Vadalà-Papale). Il pensiero di Saint-Simon (1760-1825) e quello del suo allievo Comte (1798-1857) avevano in gran parte infl uenzato il positivismo italiano. Ciò che è rimasto, tuttavia, è la tendenza a considerare la realtà come un dato di fatto con un proprio signifi cato evidente e immediato. 
Come ha scritto Filippo Barbano (1922-2011), i presupposti fi losofi ci e metodologici della prima sociologia italiana, oltre il fatto di non essere abbastanza “critica”, non erano neppure completamente aderenti al pensiero di Comte. In tali condizioni l’affermazione della sociologia in Italia si è avuta in modo vivace e tumultuoso, ma anche incerto. La sociologia non era collegata ad alcuna struttura culturale, per cui la maggior parte delle sue energie è stata spesa per difendere la sua autonomia dalla fi losofi a. In realtà, neppure il tentativo fatto da Enrico Ferri (1894) di far confl uire insieme il socialismo e la sociologia può essere ignorato. Ferri è stato allievo di Roberto Ardigò e docente di diritto penale a Bologna, così come in altre università europee e sudamericane. 
Un altro dato di fatto è quello degli sviluppi nel campo della ricerca etnografi ca e antropologica. In proposito la scuola italiana ha offerto notevoli contributi. L’iniziatore di tali studi è considerato Paolo Mantegazza (1831-1910), medico ed antropologo, seguace delle teorie darwiniane e fondatore, nel 1870, della Società Italiana di Antropologia ed Etnologia (SIAE) e della rivista Archivio per l’Antropologia e l’Etnologia. Il suo lavoro anticipava analoghe iniziative in sociologia. La Rivista di Sociologia venne fondata nel 1894 e fu pubblicata fi no al 1896, diretta dal sociologo Giuseppe Fiamingo, dall’avvocato Giuseppe Vadalà-Papale e dallo statistico Filippo Virgilii. La pubblicazione citata sopra non mostrava un particolare interesse per la sociologia internazionale, a differenza della posteriore Rivista Italiana di Sociologia, molto più attenta ai lavori di Durkheim (1858-1917), Weber (1864-1920) e Simmel (1858-1918). La sua linea rimaneva in gran parte basata su posizioni di natura biologica e psicologica. Ma c’era anche un interesse per la metodologia storica. 

Tuttavia l’approccio teoretico era principalmente organicista, sostenuto da Giuseppe Fiamingo. Un altro contributo veniva, con un punto di vista biologico, da Giuseppe Sergi che riteneva la sociologia solo «un’appendice della biologia umana». Di questa stessa idea era De Marinis (che fu poi attivo nella Rivista Italiana di Sociologia). Il fi losofo morale Alfonso Asturaro era orientato verso il materialismo storico, ma anche verso il positivismo. L’evoluzionista Vincenzo Tangorra aveva un punto di vista diverso: per lui la sociologia non derivava da premesse psicologiche. Vadalà-Papale invece forzava la sociologia di Simmel sino a farla rientrare nella struttura dell’evoluzionismo di Spencer. Ancor meno facile da capire era la dura critica di Giuseppe Fiamingo al testo di Durkheim su Le regole del metodo sociologico, che egli riteneva un fallimento e troppo confuse e piuttosto vicine alla metafi sica. Il tentativo di conferire alla sociologia il ruolo di una scienza onnicomprensiva, entro una prospettiva evoluzionistica basata sulla continuità e differenziazione tra il biologico ed il sociale, era un elemento comune e piuttosto omogeneo negli scritti pubblicati dalla Rivista di sociologia. Il vero intento era però quello di legittimare la dimensione scientifi ca della sociologia e darle autonomia rispetto alle altre scienze. Non fu solo un caso se Rivista di sociologia fu pubblicata solo per tre anni fi no al 1896. L’eredità fu presa dalla Rivista Italiana di Sociologia, appena un anno dopo. 
Questa rivista ha prodotto, nella sua durata di 25 anni, una straordinaria quantità di scritti sociologici. Per ogni numero vi era una media di 350 titoli di libri e articoli annunciati. Vennero pubblicati 102 numeri, per un totale di 17.421 pagine. 232 autori vi hanno scritto un totale di 658 articoli. Il promotore della rivista era un esperto della pubblica amministrazione e docente presso l’Università di Roma, Guido Cavaglieri, la cui morte nel 1917 non portò alla sospensione della pubblicazione, almeno fi no al 1921. Nel 1899 il primo congresso italiano di Sociologia si tenne a Genova e nel 1908 un’altra pubblicazione fu fondata con il titolo di Rivista di Sociologia e Arte. Scienze Sociali e Estetica. La Società Italiana di Sociologia fu fondata a Roma nel 1910 (e ricostituita nel 1937), con Raffaele Garofalo come primo presidente, Giorgio Arcoleo, Errico De Marinis, Enrico Ferri e Giuseppe Sergi come vicepresidenti, nonché Giuseppe Fiamingo come segretario. 
La Società organizzò a Roma l’ottavo congresso dell’Institut International de Sociologie. In data 25 aprile 1893 Pareto era stato nominato docente presso l’Università di Losanna. Rimase in Svizzera per 30 anni. Pareto è l’unico appartenente alla tradizione italiana ad avere raggiunto un livello così alto ed un riconoscimento unanime. La sensazione di disagio da parte di Pareto per la discussione sull’autonomia della sociologia è stata per lo più indirizzata verso l’Accademia Reale delle Scienze Morali e Politiche, a Napoli nel 1905. Si trattava dell’ampliamento di un precedente dibattito sulla “questione sociale” promosso da Pareto e Croce, tra il 1900 e il 1901, su quattro numeri del Giornale degli Economisti. 
Alla fine degli incontri napoletani, si decise di non chiedere le cattedre di sociologia nelle università. Nondimeno lo stesso Pareto più tardi, nel 1916, pubblicò il suo Trattato di sociologia generale, ribadendo così il ruolo primario della sua disciplina scientifica.

Roberto Cipriani Emerito dell’Università Roma Tre

Nessun commento:

Posta un commento