Certi giornali di regime, che non potevano
ignorare la morte di Umberto di Savoia, per l'ondata di interesse spontaneo,
che si è levata dal popolo, hanno scritto tutto su di lui, a patto che fossero
considerazioni meschine, e negative: dalla frivolezza galante al sospetto di
omosessualità artificiosamente propalata dai repubblicani di Salò ed al suo
essere "straniero”. Gli uomini politici, sempre di regime, salvo le poche
e sincere eccezioni liberali, hanno recitato la parte contrita di chi si e si
arrendere alle lungaggini procedurali e burocratiche sulla questione del
rientro in Italia; mentre proprio essi, con volute diatribe sono i responsabili
del ritardo inammissibile. E, comunque, per pensarci avevano avuto trentasette
anni d'esilio. La Repubblica ha così perso un'altra occasione per dimostrare la
sua pretesa superiorità.
Non conobbi di persona Re Umberto.
Tuttavia, egli fu presente direttamente nella mia vita due volte: come mio
testimone di nozze per delega all'avv. Sodano e quando mi fece cavaliere della
corona, su proposta di un comune amico, militante socialista. Ma la sua vera
dimensione mi sfuggiva: non volendo intrupparmi nei numerosi gruppi di Italiani
che andavano a trovarlo in Portogallo, nè potendo permettermi di andarci da
solo, per i soliti motivi economici, rimandai sempre quel viaggio che avrebbe
dovuto avere un significato politico e non di semplice visita di saluto. Ora
che il Re è morto e ha donato allo Stato repubblicano tutto quanto poteva, ed
alla Chiesa la Sacra Sindone, intuisco la sua dimensione storica e giustifico i
giornalisti che nelle pieghe della sua vita hanno voluto trovare solo appigli
per dirne male: il suo distacco dalla polemica e dalla miseria che investe
tutti i giorni gli uomini era tale da non consentire altro che parlarne male. E
più semplice e non si rischia di passare per servi di corte. Inoltre è meno
faticoso, perché non ci sono ricerche storiche da fare sul personaggio.
Si affollano, allora, nella mente di un
monarchico giovane i pensieri più disparati e all'apparenza insignificanti.
dalla cartolina del Re alle polemiche nell'UMI, alle cariche della polizia
durante le nostre manifestazioni, di anni ormai lontani, in cui in piazza
sventolavamo la Bianca Croce.
Non ci sono libri che insegnino a fare il
Re, come non ce ne sono che insegnino, più modestamente, a fare il dirigente
statale, o il capo di un'azienda o il capo di partito, ma il principio dev'essere
lo stesso: il continuo sacrificio del proprio io e dei propri sentimenti perché
gli altri che dal capo aspettano qualcosa stiano sempre meglio. Ma, se nella
gerarchia comune è concesso a tutti di rivolgersi a chi sta più in alto e su
questi far ricadere anche colpe non sue, il Re non può e non deve parlare con
nessuno, Egli si carica delle colpe di tutti. Ai Savoia . a si può rimproverare
tutto; meno che non abbiano saputo fare il Re, quando è stato necessario. Per
questo Umberto non fece mai distinzioni tra monarchici e repubblicani: quelli
con cui parlava erano italiani e basta, e la scelta del partito era affare
loro. Non così per i Presidenti di Repubblica che proprio dai partiti traggono
i voti per l'elezione e quindi non hanno in sé il fondamento della suprema
magistratura dello Stato.
Umberto fu vicino ai giovani sin da
quando, Luogotenente del Re, aprì il Quirinale ai piccoli mutilati di guerra,
agli sfollati ed ai reduci dal fronte e mi raccontano che anche nei suoi
incontri di Cascais preferiva far aspettare i dignitari e gli anziani piuttosto
che i ragazzi.
Ai dolori familiari si aggiunsero per lunghi
anni-quelli causati dai monarchici, che proprio quando la Nazione li premiava
con milioni di voti, si divisero e chiesero al Re un'investitura che egli
rifiutò di concedere perché assurda. Vennero con la scissione di Lauro e
Covelli e la nascita di gruppetti e personaggi sempre più squalificati
politicamente, che del nome dei Savoia si servono senza servirlo.
Accusato ora di non aver contrastato il
verdetto del due giugno, ora di aver lanciato al Paese un messaggio troppo
polemico, Umberto troncò la rissa partendo per l'esilio e rendendo all'Italia
ed alla stessa Repubblica un servigio di cui non si è ancora capita la
profondità e la grandezza e di cui si tace opportunamente dovunque, poiché a
nessuno conviene dire che questa seconda “fuga” evitò la guerra civile. E’ questo,
appunto, un altro aspetto della regale dimensione, che anche alle analisi più
obiettive e approfondite.
Noi monarchici democratici crediamo che
egli abbia fatto bene a partire per l'esilio anche in presenza di risultati
elettorali quanto mai incerti e discutibili, se non per le manipolazioni
difficili da smentire, quanto per il momento in cui fu chiesto al popolo di
pronunciarsi, come riconosce lo stesso Romita, nel suo libro Dalla Monarchia
alla Repubblica. La vittoria risicata della Repubblica è una macchia per
questa, non per la Monarchia.
Umberto ha consegnato agli Italiani un
capitale di onestà e lealtà al quale essi potranno sempre ispirarsi nelle loro
azioni solenni, come in quelle quotidiane.
Oggi è certo un fatto: la statura morale
del Re, cui forse non fu dato di spiegarsi completamente negli anni della
luogotenenza e nel solo mese di regno, si è rivelata nella sua completezza
durante trentasette anni di esilio, nei quali egli fu Custode dello Statuto e
Sovrano al servizio dei suo popolo, che lo ha ricambiato con un attaccamento
tale da superare le menzogne e la propaganda di regime, ciò che anche i più
arrabbiati nemici della Monarchia hanno dovuto riconoscere.
Il comunista Trombadori ha così commentato
la morte di Umberto : «Pace alla anima sua: adesso siamo sollevati dal problema».
Ecco: la Repubblica ha regalato all'Italia, culla del diritto e della civiltà,
una di quelle frasi e di quelle azioni che in un attimo cancellano tremila anni
di storia, invidiata da tutto il mondo. Noi crediamo che i più sinceri
repubblicani se ne dolgano quanto noi, che senza mezzi ci batteremo sino a
quanto tutti i Savoia non saranno tornati in Italia con la pienezza dei loro
diritti civili, che non si negano nemmeno agli assassini pentiti. Ma il Re non
può pentirsi di essere Re, perché dovrebbe anche pentirsi di essere Uomo.
Il principe non fa le rivoluzioni, ma se
ne mette a capo quando queste, in atto, aprano al popolo nuovi orizzonti di
democrazia e progresso. Umberto lo capì e negli anni più duri della guerra e
del referendum seguì con attenzione quelle forze politiche che al nuovo si ispiravano;
ma non rinnegò la tradizione, che lungi dall'essere qualcosa di pietrificato e
stucchevole, come vorrebbero certe mummie monarchiche è la linfa che innerva di
sé il futuro.
Chi accusò ieri come oggi il figlio di non
essersi ribellato al padre e di avre con lui preso la strada di Pescara, non
vuole capire che "la lunga teoria di berline nere portava con sa la
continuità dello Stato” come ha riconosciuto lealmente il Ragioniere, storico
marxista, nella Storia d'Italia di Einaudì. Il resto sono sciocchezze di cui la
storia farà giustizia.
E' stato scritto da chi
monarchico non è: « Nessuna dinastia, neanche quella Hoenzollern, ha avuto un
epigono che all'impegno di onorarne il nome e il ricordo abbia saputo fare
tanto sacrificio della propria vita, e con piena coscienza della sua assoluta
inutilità». Speriamo che almeno i monarchici sappiano trarne insegnamento. Non
possiamo dire che Re sarebbe stato Umberto, ma da come è vissuto e da come è
morto possiamo immaginarlo. Il sette dicembre 1943, un piccolo e disarmato
aereo da ricognizione volò senza scorta sulle posizioni tedesche di Montelungo,
riportandone preziosi dati per gli imminenti attacchi delle nostre truppe, che
da li a poco avrebbero conquistata la posizione, lo pilotava Umberto con un
coraggio e una umiltà barattati per paura. Negli anni della pace, Egli inviava
sempre un messaggio ai superstiti di quella battaglia. Ma il suo pensiero
andava ai Caduti. Adesso li ha raggiunti e con loro starà molto meglio che con
i vivi. Come il padre, che amò più di ogni altro abito la dimessa uniforme dei
fanti.
E' un articolo prciso,toccante, bellissimo e commovente ... vorrei sapere chi l'ha scritto. Io l'ho persino stampato e lo conservo gelodamente tra le cose che mi sono più care ! L'ho anche condiviso di cuore su Facebook! Grazie di avermi dato questa opportunità
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