giovedì 12 aprile 2018

L’ATTIVISMO DEGLI ARTISTI NEL CONTESTO INTERVENTISTA


Le tensioni che portarono, in Italia, fra il luglio 1914 e il maggio 1915, alla costituzione di un frastagliato ed eterogeneo schieramento interventista coinvolsero inevitabilmente anche il mondo dell’arte. Ciò avvenne però con due modalità profondamente diverse. Da una parte vi fu l’immediato pronunciamento pubblico a favore dell’intervento, con i toni spesso enfatici desunti da una retorica dell'azione che si andava costruendo
nell'ambito di un settore dell'intellettualità italiana tendente ad amplificare le tematiche risorgimentali in una prospettiva nazionalistica e per alcuni aspetti addirittura colonialista. 1 primi e i più diretti rappresentanti di tale opzione nel modo della letteratura e dell'arte furono, sia pure in modi diversi, D'Annunzio, i Futuristi e i redattori della rivista fiorentina “Lacerba", tutti sostenitori di un’estetica che esaltava “l’amore del pericolo”, “l’abitudine alla temerarietà”, “il coraggio”, “l'audacia”, “il carattere aggressivo”, “il violento assalto”, espressioni riprese testualmente dal Manifesto del Futurismo stilato da Marinetti nel 1909; in particolare per i Futuristi la partecipazione dell'Italia a quello che si stava rivelando come il primo conflitto mondiale,
avrebbe consentito di tradurre in pratica concreta quanto asserito nel famosissimo punto nono del già citato Manifesto: "Noi vogliamo glorificare la guerra - sola igiene del mondo - il militarismo, il patriottismo, il gesto distruttore dei libertari, le belle idee per cui si muore e il disprezzo della donna collettività, in questo caso rappresentato dal popolo italiano. Per molti di questi artisti l’opzione interventista non ebbe dirette ricadute sulla pratica artistica in termini di temi e di soggetti delle loro opere ma spesso ebbe come diretta conseguenza la scelta dell'arruolamento volontario fin dal giugno 1915, mese immediatamente successivo alla dichiarazione di guerra da parte dell'Italia.
Non stupisce il fatto che quasi tutti gli artisti del gruppo protofuturista (Marinetti, Boccioni, Piatti, Russoio, Sant’Elia) e i loro più prossimi interlocutori (Bucci, Erba, Sironi) decisero di arruolarsi, fra l'agosto e il dicembre 1914, nel Battaglione Lombardo dei Volontari Ciclisti e Automobilisti per poi passare nelle file regolari del Regio Esercito Italiano; indubbiamente meno prevedibile fu la scelta dell'arruolamento volontario intrapresa da artisti come Giorgio De Chirico e Alberto Savinio, Ubaldo Oppi, Ottone Rosai e Cipriano Elìsio Oppo, pittorintellettuali la cui attività segnerà in modo indelebile i decenni successivi alla conclusione della guerra. Fra chi scelse lo schieramento interventista vi furono anche Giulio Aristide Sartorio, nome prestigioso nell’ambito della pittura europea dell’epoca, arruolatosi volontario a 55 anni, e Ludovico Pogliaghi, insegnante presso l’Accademia di Brera e arredatore-decoratore di alcuni fra i più importanti palazzi milanesi (tra cui il Palazzo Turati e il Museo Poldi-Pezzoli), partito volontario per il fronte all’età ragguardevole di 59 anni. Fra gli artisti sostenitori della scelta interventista risultarono particolari le situazioni dei pittori Tullio Garbari,Umberto Moggioli e Massimo Campigli. 11 primo, nato a Pergine Valsugana in Trentino, e dunque di nazionalità austriaca, emigrò clandestinamente in Italia nell’agosto del 1914 per sottrarsi alla chiamata alle armi nell’esercito austro-ungarico, si stabilì a Milano dove “secondo la testimonianza di Carrà” organizzò una sorta di quartier generale dell’irredentismo nella saletta superiore del Caffè Campari in Galleria, frequentata anche da Cesare Battisti; dopo aver falsificato i propri documenti personali, si arruolò volontario nel Quinto Reggimento Alpini nel maggio 1915. Umberto Moggioli, nato a Trento ma trasferitosi a Venezia nel 1911, si arruolò volontario proprio grazie alla fraterna amicizia con Cesare Battisti che gli consentì di entrare nel Regio Esercito Italiano nonostante la sua cittadinanza austriaca, per essere poi trasferito, nel 1917, nella Legione Trentina, associazione di supporto ai molti volontari trentini impegnati sul fronte italiano. Infine Massimo Campigli, pseudonimo di Max Ihlenfeldt, nato a Berlino nel 1895 da una ragazza madre tedesca poi sposatasi con un cittadino britannico, vissuto fin dall’infanzia in Italia (Firenze e Milano), divenne sostenitore della causa interventista dopo essere entrato in contatto con Papini e Soffici e con l’ambiente culturale gravitante intorno alla rivista “Lacerba”; nel maggio 1915 si arruolòvolontario nel Regio Esercito avendo fatto domanda per ottenere quella cittadinanza italiana che gli venne concessa solo nel 1918, alla fine della guerra, per meriti al valor militare. La storia personale di Campigli potrebbe fare supporre una motivazione patriottica molto forte e un culto della guerra altrettanto salda. In realtà Campigli nelle sue memorie, scritte presumibilmente dopo il 1950 e pubblicate postume nel 1995 col titolo “Nuovi scrupoli”, ci fornisce una visione disincantata del suo arruolamento volontario, tutta articolata sulla necessità interiore di superare la dimensione dell’individualità a favore della relazione con gli altri; una scelta a cui giunge con un misto di sollievo e di sofferenza perché Io porta, lui così riservato al limite dell’introversione, a un impegno in cui il patriottismo assume la sfumatura della condivisione della propria esperienza di vita con quella del popolo italiano.
Le chiassose manifestazioni futuriste, le loro opere grafiche e pittoriche, le loro azioni nella vita quotidiana furono spesso all’insegna di una provocazione scientemente perseguita per  scuotere l’opinione pubblica e orientarla in una prospettiva filobelligerante.
Un’altra parte dell’ambiente artistico italiano sviluppò una posizione interventista con una maggiore gradualità nel tempo e con toni meno plateali e meno trionfalistici; questa posizione scaturiva da motivazioni molto diverse che a volte si integravano completandosi a vicenda: spesso si trattò di una scelta patriottica di stampo più emotivo che razionale, influenzata da una propaganda che usava con indiscussa abilità il linguaggio visivo (cartoline e vignette satiriche, in particolare quelle falsamente infantili diBertiglia e le due prime serie della “Danza macabra europea” di Alberto Martini); in alcuni casi lo stimolo iniziale fu una sorta di imperativo morale che induceva l’artista alla lotta contro le forze oppressive e liberticide incarnate nell’immagine degli Imperi austro-ungarico, tedesco e ottomano; in altri casi all’origine della scelta interventista vi fu una maturazione personale, anche di tipo introspettivo, della propria dimensione esistenziale che sfociava nella necessità di un impegno concreto del singolo a favore della “Sono anni, quelli della guerra, che rappresentano per me una netta sospensione della vita intima, della vita profonda, una sospensione della mia individualità, ma il trionfo, finalmente, dell'uomo sociale. (...) Guarigione dunque dalle mie aberrazioni, dalla mia introversione?
E’ chiaro che no. Fu una lunga inutile sospensione. Fu dapprincipio un occasione che mi parve meravigliosa di essere uno fra tanti: non si dimentichi il mio latente senso sociale. Entravo in una grande famiglia di uguali e di
poveri. Con slancio imitai i compagni, pensai come gli altri, non pensai nulla. Ebbe peso il mio odio dei tedeschi? Non credo. Gli austriaci non erano ancora i tedeschi. Ma intervenne certo la passione di sentirmi interamente italiano, ciò che nessuno mi contestava ma che qui diveniva lampante per me. Mi comportai normalmente, forse meglio di altri, non lo dico per vantarmi: sono pacifista a un punto da non sopportare gli eroi (...) ”.
Salvatore Paolo Genovese

Liceo Sc. St. “Vittorio Veneto", Milano