Il Duca Tommaso Fulco Gallarati Scotti Dal sitro http://www.ambrosiana.eu |
Tommaso
Fulco Gallarati Scotti (1878-1966) apparteneva all’alta nobiltà lombarda,
figlio primogenito di Gian Carlo, Principe di Molfetta, e di Maria Luisa Melzi
d’Eril dei Duchi di Lodi. Cattolico liberale, vicino al modernismo ma
ossequiente all’autorità del Papa, in coerenza con la sua posizione ispirata all’interventismo
democratico ma anche a quello del Direttore del Corriere della Sera Luigi Albertini,
vide nella Grande Guerra l’occasione di una conciliazione tra coscienza
religiosa, unità nazionale e senso dello Stato. Nell’imminenza del conflitto,
si presentò quindi volontario, ottenendo il decreto di nomina a Sottotenente di
Fanteria il 9 maggio 1915.
Assegnato
al 5° Reggimento Alpini (il cui Battaglione Morbegno fu il primo a sperimentare
nel 1907 la divisa grigio-verde poi adottata da tutto il Regio Esercito),
tradizionalmente legato alla città di Milano, su richiesta del Sottocapo di
Stato Maggiore Generale Carlo Porro dei Conti di Santa Maria della Bicocca,
amico della famiglia di Antonio Fogazzaro al quale il Duca era assai
vicino,
e del Col. Andrea Graziani, fu però subito chiamato al comando del V corpo
d’armata, prestandovi servizio come ufficiale ricognitore dal giugno 1915 al
giugno 1916. Partecipò ad azioni belliche ottenendo una promozione a Tenente
per meriti di guerra e un Encomio solenne. Dal giugno all’ottobre 1916 fu
ufficiale di collegamento presso il Comando del XXII Corpo d’Armata. Il 23
settembre 1917 il Generale Luigi Capello gli concesse direttamente la medaglia
d’argento al Valor Militare per le azioni del 12-17 maggio precedente. Il
Decreto del 20 giugno 1918 recita: «Nei giorni che precedettero e seguirono la
conquista di Monte Cucco, in accompagnamento di un autorevole personaggio [il
Generale Cadorna] portava alle truppe, nelle zone avanzate, sotto violento
bombardamento, il contributo di fede: animatore delle truppe stesse e
sprezzante del pericolo, si spingeva sino alle prime linee, dando esempio di
coraggio personale e chiare virtù militari» (1).
Forse
su suggerimento del Generale Porro, Cadorna lo chiamò come proprio Ufficiale
d’Ordinanza al Comando supremo, dove prestò servizio dal 26 novembre 1916 al 9
novembre 1917. Il Duca era vicino a Cadorna anche per la sua amicizia con la
figlia Carla, «donna di superiore carattere e di forte cultura», già simpatizzante
per il movimento modernista. Al Comando Supremo Gallarati Scotti svolse un
ruolo sicuramente assai importante. Si legge nel Rapporto personale a lui
relativo stilato da Cadorna il 22 giugno 1918: «Il Tenente Gallarati-Scotti
Tomaso (sic) ha prestato servizio presso di me circa un anno e mezzo quale Ufficiale
d’ordinanza. Egli è persona di molta intelligenza, di vasta coltura, noto in
Italia come distinto scrittore. Per questa sua qualità nella quale l’ho
largamente impiegato, per la signorilità dei modi, per il tatto, per la devozione
che mi ha costantemente dimostrata, io non posso che esprimere la più larga ed
ampia soddisfazione per il servizio a lui prestato. Egli si è guadagnata una medaglia
al valor militare, e, son certo che nel suo nuovo servizio presso le truppe
Alpine, farà largamente onore al suo nome».
Dopo
Caporetto, Gallarati Scotti segui Cadorna, destinato a Versailles come
rappresentante italiano presso il Consiglio Supremo di guerra interalleato, dal
novembre 1917 al febbraio 1918. Quando il 17 febbraio Cadorna fu sostituito in
tale ufficio dal Sottocapo di Stato Maggiore Gaetano Giardino, Gallarati Scotti
dal 5 giugno al 18 settembre prestò servizio nel Battaglione Alpino sciatori
Monte Ortler (così era chiamato allora l’Ortles), poi fino al congedo il 17
dicembre nel Battaglione Alpino Val d’Orco, entrambi del 5° Reggimento Alpini.
Decorato nel 1919 di Croce al Merito di Guerra e nel 1931 della Medaglia di benemerenza
per i volontari della guerra italo-austriaca 1915-18, promosso Capitano nel
1929, Maggiore della riserva nel 1934 e infine Tenente Colonnello nel 1939.
Dalle
lettere di Cadorna emerge un rapporto assai affettuoso con il suo Ufficiale
d’ordinanza, alla cui madre, scriveva il 25 ottobre 1918: «A Tommasino mi legano
vincoli indissolubili di affetto e di riconoscenza per tutto ciò che ha fatto
per me nelle fortunose vicende che si son svolte da un anno in qua». Ancora
alla stessa il 22 aprile 1922: «Il bravo suo figlio Tommasino non deve
nulla
a me. Sono io, invece, che debbo molto a lui, il quale, negli “indimenticabili
giorni” mi dimostrò tanto interesse ed amicizia, nel momento in cui, a disdoro
dell’umanità - ma senza sorpresa alcuna - dovetti assistere a tanti tradimenti!
Sono quelli i momenti, “quando si cangia in tristo il lieto stato”, in cui si
distinguono i falsi dai veri amici. Fu allora che mi affezionai vivamente al di
lei figliolo e che lo annoverai fra i miei migliori amici».
Il
rapporto stretto e affettuoso tra i due si costruì sulla base delle comuni idee
che per brevità definirò cattolico-liberali, si rafforzò nel periodo in cui
Gallarati Scotti fu collaboratore prezioso al Comando Supremo e divenne ancora
più forte quando dopo Caporetto egli si schierò fermamente a fianco di Cadorna,
collaborando attivamente alla difesa della sua immagine e del
suo
operato. Tale difesa non verteva tanto sulla condotta militare della guerra,
campo nel quale Gallarati Scotti non aveva evidentemente particolare
competenza, anche se nei suoi taccuini non mancano acute osservazioni, quanto
sul carattere del Generale, sulle sue doti di Comandante, sul suo chiudersi in
uno sdegnoso silenzio senza entrare pubblicamente in polemiche, atteggiamento
molto apprezzato dal Duca, sulla sua sobria e virile
personalità
aliena da compromessi: «maschia figura ascetica con una impronta tra militare e
sacerdotale», lo aveva definito in un appunto del 16 maggio 1916.
Gallarati
Scotti si offrì di dare la sua testimonianza alla Commissione d’inchiesta su
Caporetto. 11 Duca riferì tra l’altro queste parole dettegli dal Comandante
Supremo: «Io non voglio commissari civili in zona di guerra; se hanno fede in
me mi tengano, altrimenti mi mandino via, ma non tollero che un ministro incompetente
venga a controllare l’opera mia e a lavorare nascostamente contro di me».
Domenica 10 aprile 1921 un lungo articolo di Gallarati Scotti dal titolo
Cadorna comparve su La Perseveranza, il vecchio quotidiano conservatore di
Milano, ancora pregevole per qualità ma di modesta diffusione, che traeva spunto
dalla pubblicazione dell’opera di Cadorna La guerra alla fronte Italiana fino
all’arresto sulla linea della Piave e del Grappa (24 maggio 1915-9 novembre
1917). «Tacque. Dolorosamente, fieramente si impose silenzio. - scriveva il
Duca riferendosi a Cadorna - Non parlò nelle ore amare in cui dopo gli
esaltamenti senza misura, le classi dirigenti, che hanno un fondo idolatrico e alzano
sugli altari con onori divini quando la fortuna è propizia, concentravano tutte
le ire e tutte le responsabilità sul suo nome.
Non
parlò di fronte agli ambigui accorgimenti degli uomini politici che, temendolo,
per allontanarlo lo pregarono in nome degli interessi supremi del Paese di
rappresentare l’Italia nel Consiglio supremo di guerra di Versailles, e lo
consegnarono, pochi giorni dopo, come un accusato, nelle mani di una
Commissione d’inchiesta. Obbedì tacendo, [...] e il suo silenzio fu pieno di
una dignità austera che impose rispetto ai suoi stessi avversari». Ora finita
la guerra, ha pubblicato: Gallarati era stato tra quelli «che più dubitarono
dell’opportunità che il suo silenzio fosse rotto», tuttavia «dobbiamo subito
convenire che la sua parola è degna del suo silenzio perché ispirata da uno
stesso sentimento dell’onore nazionale». «È una rivendicazione appassionata e
convinta» della sua opera nei tre anni di Comando Supremo, evitando «salvo qualche
eccezione per l’estero, qualsiasi accenno polemico che non sia strettamente
indispensabile all’esatta comprensione dei fatti”». «Cadoma deve giustificare
sé (sic) stesso, non tanto di fronte ai critici militari, agli uomini politici,
alla stampa e all’opinione pubblica italiana ed estera; quanto a ciascuno dei
vivi e dei morti, di cui tenne il destino nelle sue mani». Lo definiva «un uomo
nato per i supremi cimenti». Passate in rassegna le principali fasi della
neutralità e della guerra, Gallarati Scotti concludeva che Cadorna «può in
coscienza affermare che la sua azione nella guerra non finisce a Caporetto, ma
al Piave».
Gallarati
Scotti fu poi oppositore del Fascismo, mentre il fratello Gian Giacomo fu
Senatore del Regno (2)e Podestà di Milano dal 1938 al 1943. Nel dopoguerra fu
Ambasciatore a Madrid (1944-46) e a Londra (1947-51) e successivamente uno dei
protagonisti della vita intellettuale (3) e pubblica milanese, ricoprendo tra
l’altro gli incarichi di presidente dell’Ente Fiera (1954-58) e del Banco
Ambrosiano (1954-65).
Massimo
De Leonardis
Università
Cattolica, Milano
1 Salvo altra indicazione, le citazioni sono da documenti dell’Archivio Tom-
maso Gallarati Scotti, presso la Biblioteca Ambrosiana di Milano.
maso Gallarati Scotti, presso la Biblioteca Ambrosiana di Milano.
2 Alla sua morte nel 1983 era l’ultimo rimasto, come pure, alla vigilia
della
scomparsa, fu tra gli ultimi insigniti dal Re Umberto II del Collare dell’Or-
dine Supremo della SS. Annunziata.
scomparsa, fu tra gli ultimi insigniti dal Re Umberto II del Collare dell’Or-
dine Supremo della SS. Annunziata.
3 Tra le sue opere principali: La vita di Antonio Fogazzaro, Milano 1920,
Storie dell’amore sacro e dell’amore profano, Milano, 1924, Vita di Dante,
Milano 1957, Interpretazioni e memorie, Milano 1961, La giovinezza del
Manzoni, Milano 1982.
Storie dell’amore sacro e dell’amore profano, Milano, 1924, Vita di Dante,
Milano 1957, Interpretazioni e memorie, Milano 1961, La giovinezza del
Manzoni, Milano 1982.
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