Premessa
La sociologia in quanto studio scientifico della società non
trascura affatto la fenomenologia dei conflitti, quale che sia la loro natura.
Anzi. sulla base del principio dell'avalutatività (1) come assenza di valutazione
secondo quanto sostenuto dal sociologo tedesco Max Weber ( 1864-1920). Essa
tende ad evitare in linea di principio un giudizio sui fatti e sulle loro
conseguenze Ma questo non significa
affatto una atarassia di ogni genocidio, massacro, atto distruttivo di massa.Anzi uno dei
massimi scienziati sociali di tutti i tempi, il sociologo francese Emile
Durkheim (1858-1917), in un primo tempo si è domandato quali fossero le matrici
reali del conflitto mondiale tra il 1914 ed il 1918 (vedi Emile Durkheim Enest
Denis Chi ha voluto la guerra? Le origini della
guerra secondo i documenti diplomatici:
studio critico.Traduzione dal francese di Giovanni Mazzoni, Paris, Colin 1915)
e poi ha dovuto soffrire in modo fatale
- appunto fino a morirne egli stesso mesi dopo – la perdita del carissimo figlio
André, andato a combattere nei Balcani.
La sociologia della
guerra.
L'inizio stesso della storia come procedura conoscitiva viene
quasi fatta coincidere - da qualche studioso - con i primi contrasti bellici.
Ed in fondo anche il De Bello Gallico di Caio Giulio Cesare, è una sorta di
embrionale sociologia della guerra a carattere descrittivo, applicata ai Galli,
ai loro usi e costumi, ai loro riferimenti socio-culturali. Nel Nuovo
Dizionario di Sociologia, Raimondo Strassoldo scrive: Il criterio distintivo
della guerra rispetto alle altre forme di violenza collettiva è la legittimità:
la società nel suo complesso deve riconoscere come legittimo l'uso della forza
armata quale modo di interazione sociale da parte di un sottogruppo o
dell'intero gruppo sociale. Ciò comporta a sua volta l'identificazione della
società e di soggetti legittimati a pronunciarsi in suo nome". Per di più
"i conflitti tra società si sono sempre condotti anche con mezzi diversi
dalla violenza strettamente intesa, cioè la forza armata" (2)
In particolare, però, "la guerra del 1914 è il primo
esempio di una moderna guerra totale.(3)
Si è osservato - in qualche saggio di storia militare - che
agli esordi della prima guerra mondiale i militari francesi avevano dei calzoni
di colore rosso, ben visibili e bersagli piuttosto facili, nonostante la
lontananza fra gli eserciti in lotta, che comportò pure il ricorso all'arma
aeronautica ed al gas. Le caratteristiche del conflitto furono piuttosto di
difesa ad oltranza delle posizioni, costasse quel che costasse, in termini di
esistenze umane dall'una e dall'altra parte.
Anche il sociologo tedesco Georg Simmel (1858-1918) si
interessò al tema, con il suo saggio Sulla guerra (Armando, Roma, 2003), traduzione
italiana del testo", La guerra e le decisioni spirituali, edito nel 1917.
La maggior parte dell'intellettualità tedesca era favorevole al conflitto.
visto come una sorta di selezione per la sopravvivenza e per l'acquisizione di
nuovi territori, insieme con l'affermazione di una pretesa “civiltà" degli
eroi tedeschi contro i mercanti inglesi. E Simmel scriveva pure che la guerra
si potesse immaginare come possibilità di guarigione. Tale tema si riproporrà nella
seconda guerra mondiale.
Il discorso di fondo è quello del contrasto – per riprendere il titolo di m libro famoso (Krieg
und Kapitalismus Bunker & Humblot Munchen 1913) di Werner Sombart - tra inglesi pragmatici e tedeschi difensori della civiltà. Erano
anche i nuovi principi volti al superamento
degli ideali rivoluzionari del 1789 francese. Ma soprattutto va detto
che il conflitto 1914-1918 fu davvero totale. In essa confluirono in modo
contrastante e contraddittorio elementi di modernità e razionalità e
altrettanti di irrazionalità: ci fu un'irruzione della tecnologia ma anche uno
spreco - inutile ed oltre ogni misura - di tante vite umane.
I sociologi italiani vissero sulla propria pelle quei
momenti cruciali, presi letteralmente tra due fuochi, fra interventisti da una
parte e non interventisti dall'altra. Altrove gli schieramenti furono più
netti. In Francia Durkheim fu assolutamente contrario all'idea stessa di
guerra. In Germania Weber e Simmel presero posizione a favore dell'idea tedesca
di supremazia della nazione (Deutschland uber alles). Mentre Durkheim
considerava la guerra una deriva "barbara" della civiltà, in Germania
invece si voleva irrinunciabilmente il conflitto.
Weber fu uno strenuo sostenitore della guerra, invitando
altri studiosi a sostenere il suo punto di vista in favore della Kultur
tedesca: egli appariva come un conflittualista in senso pieno, per il quale la
guerra diventava un esito scontato. Simmel, dal canto suo, intendeva garantire
gli alti e nobili ideali civili, culturali e spirituali del suo Paese. La guerra
per lui era insita nelle società, ne sosteneva l'identità e serviva a
sormontare situazioni di difficoltà.
Il sociologo italiano Vilfredo Pareto (1848-1923) descriveva
la guerra come conseguenza degli istinti umani, i cosiddetti "residui",
promotori dell'agire umano. A fronte di tali spinte. secondo Pareto non vi
erano istituzioni statali in grado di reggere l'impatto. E la guerra poteva
essere anche una soluzione atta a superare le difficoltà incontrate dai sistemi
democratici(5). Di altro avviso era Joseph Schumpeter
1883-1950) che attribuiva l'insorgere della guerra ad un
ritardo storico-culturale delle nazioni belligeranti(6). E Norbert Elias (1897-1990),
lungimirante, già prevedeva il tracollo della civilizzazione .. a seguito di
processi auto-distruttivi ed etero-distruttivi, senza vincitori e neppure
vinti.
A proposito di guerra giusta
Per Gaston Bouthul “la guerra è la lotta armata e sanguinosa
fra gruppi organizzati(8). Però non si conosce quale sia la condizione normale
della società, cioè se quella della pace o quella della guerra. Molti si sono
divisi fra l’una o l’altra soluzione. Si tratta solo di preferenze personali
(9). Inoltre torna utile conoscere quali condizioni devono essere rispettate perché
aumentino le probabilità di durata della pace"(10). "Le civiltà hanno
tentato di rispondere a questo quesito, con la pratica e con la teoria. Ogni
volta che si instaurò la pace, governanti e popolo tentarono di consolidarla,
di preservarla e di difenderla con misure d'ordine politico. Sul piano teorico
ogni civiltà, in ogni epoca, ha elaborato dottrine di pace, talune filosofiche
o religiose, altre giuridiche, altre infine basate sulla propaganda e l'insegnamento"(11).
Ancora secondo Bouthoul, la guerra produce importanti mutamenti sociali. In
particolare è anche dalle conseguenze della prima guerra mondiale che nacquero
il fascismo prima, in Italia con Benito Mussolini, ed il nazismo poi, in
Germania con Adolf Hitler. Osserva tuttavia Carl Schmitt: "il concetto di
guerra finora in vigore, grazie al suo carattere non discriminatorio e alla sua
valutazione paritaria di entrambi i contendenti, rende possibile che il
conflitto armato possa essere considerato un concetto unitario di diritto
internazionale. Presupposto di una tale unificazione è la non estensione del
concetto a Stati terzi, in altre parole la rinuncia a una distinzione giuridica
determinante per i terzi. Non appena si prendono decisioni con effetto sui
terzi che riguardano la legittimità o l'illegittimità, la liceità o l'illiceità
di una guerra, il carattere unitario del concetto di guerra si incrina e nel
diritto internazionale troviamo una 'guerra' giusta e lecita, distinta
dall'altra considerata una guerra ingiusta e illecita. Queste sarebbero in
fondo due guerre diverse, ognuna delle quali però, dato che giustizia e
ingiustizia non possono essere giuridicamente collegate al medesimo concetto,
significherebbe qualcosa di totalmente differente e opposto rispetto all'altra;
quindi non potrebbero essere ricomprese nel medesimo concetto giuridico"(12).
Per concludere, conviene fornire almeno un ulteriore
riferimento bibliografico che possa contribuire a comprendere meglio quanto è
avvenuto un secolo fa: Maria Luisa Maniscalco in Sociologia e conflitti: dai classici alla peace research, Altrimedia.
2010, si è soffermata sui contributi offerti dagli autori classici al tema
della guerra.
Da ultimo. va segnalato che proprio di recente si è tenuto a
Roma un convegno dal titolo -Le guerre e i sociologi a cent'anni dallo scoppio
del primo conflitto mondiale". Organizzato dall'AIS (Associazione Italiana
di sociologia), sezione Teorie sociologiche e trasformazioni sociali, presso la Libera Università Maria SS
Assunta di Roma, il 26 ed il 27 giugno 2014.
Roberto Cipriani
Università Roma Tre
(1) Cfr. M.
Weber, Die 'Objektivitát sozialwissenschaftlicher und sozialpolitischer
Erkenntnis, in Gesammelte Aufsátze zar Wissenschaftsleltre (1904), Mohr,
Tùbingen, 1922, pp. 146-214 (tr. it., Woggettività conoscitiva della scienza
sociale e della politica sociale, in Il metodo delle scienze storico-sociali,
Einaudi, Torino, 1958, pp. 53-141).
(2) R. Strassoldo.”Guerra”.
in F. Demarchi, A. Ellena, B. Cattarinussi (a cura di), Nuovo Diionario di
Sociologia, Edizioni Paoline, Cinisello Balsamo, 1987, p. 954.
(3) G.
Ritter, I militari e la politica nella Germania moderna. La prima guerra mondiale
e la crisi della politica tedesca 1914 -17, Einaudi, Torino 1973, p. 11
(4) G.
Simmel, La guerra e le decisioni spirituali, Armando, Roma, 2003
(5) V Pareto, Trattato di Sociologia Generale, UTET, Torino,
1988, 4 voll., nn. 439, 1945-1958, 2052, 2068-2068.1, 2146, 2178, 2193-2194,
2223-2225, 2254, 2307. 1, 2316, 2328-2328.1, 2427, 2440.1. 2454.3, 2475.1,
2556, 2611.2,
(6) J. Schurnpeter, Sociologia dell'imperialismo, Laterza,
Bari, 1972.
(7) N. Elias, Humana Conditio, Il Mulino, Bologna, 1987.
(8) G. Bouthoul, Le Guerre: elementi di polemologia: metodi,
teorie e opinioni sulla guerra, morfologia, elementi tecnici, demografici,
economici, psicologici, periodicità delle guerre, Longanesi, Milano, 1982, p.
43.
(9) G. Bouthoul, L'uomo che uccide, Longanesi, Milano. 1969.
(10) G. Bouthoul, L'uomo che uccide, Milano, Longanesi,
1967, p. 34. (11) Ibidem. (12) C. Schmitt Il concetto discriminatorio di
guerra, Bari, Laterza, 2008, pp. 66-67.
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