lunedì 23 luglio 2012

Quale avvenire per i monarchici italiani

La morte del Re Umberto II viene sicuramente a chiudere una fase politica per il movimento monarchico italiano nella sua multiforme articolazione in gruppi e gruppuscoli.

Si arresta una curva lunghissima, sviluppatasi con alti e bassi per quasi 3 7 anni: più di una generazione.

Nel giugno del '46 con la caduta della Monarchia e la conseguente partenza del Re per l'esilio portoghese, sera chiusa un'epoca dal punto di vista istituzionale, ma anche politico. La neonata repubblica, espellendo il suo naturale antagonista dal territorio nazionale, aveva spinto i monarchici italiani a darsi una organizzazione definita e palese, perché, come scrisse Cesare Degli Occhi, non tutto si poteva dimenticare ed era necessario sottolineare con vigore alla pubblica opinione l'ingiustizia storica del 2 giugno nelle sue lontane premesse e nei più recenti esiti del confuso epilogo dello scontro elettorale. I monarchici, insomma, organizzandosi a repubblica incertamente proclamata, dovevano testimoniare la vitalità di dieci milioni e mezzo di voti, che rivendicavano la superiorità dell'istituto monarchico sulla forma repubblicana dello stato, al di là delle vicende contingenti della dinastia.

Nel giro di pochi mesi, all'indomani del 2 giugno '46, il movimento monarchico italiano venne a raggrupparsi attorno a due poli principali: un'associazione superpartitica, l'Unione Monarchica Italiana, col compito di organizzare i monarchici di tutti i partiti, non presente di conseguenza nelle istituzioni e il Partito Nazionale Monarchico, erede del Blocco Nazionale della Libertà. con una sua precisa collocazione nel nascente schieramento politico italiano, quindi impegnato in prima persona nelle consultazioni elettorali, che ben presto si sarebbero susseguite a ritmo sostenuto nella giovane repubblica.

La lunga curva di cui si parlava all'inizio prende così avvio con un cammino aspro e tormentoso, di successi e di insuccessi, di battaglie duramente combattute, di errori lattici e di strategia, di insidie tese in continuazione dagli avversari.

Dopo un avvio in sordina (neanche un milione di voti nel '48), il PNM prende quota nelle elezioni politiche del 1953 mandando in parlamento più di cinquanta suoi eletti grazie a un milione e ottocentomila voti.

Il partito di Stella e Corona diventa così l'ago della bilancia dello schieramento politico italiano: la Democrazia Cristiana, uscita ridimensionata soprattutto grazie al suo successo, ne deve chiedere spesso l'appoggio o la benevola astensione per poter governare il Paese. Ma nel 1958, dopo una sciagurata scissione interna che quattro anni prima aveva portato alla nascita di un secondo partito monarchico, capeggialo da Achille Lauro col nome di Partito Monarchico Popolare, inizia per entrambe le formazioni un declino inarrestabile: alle elezioni politiche solo 1.400.000 voti fra tutti e

due, per giungere alla vera e propria catastrofe nel 1963 quando il PDIUM frutto dell'unificazione tra PNM e PMP, superò a malapena i cinquecentomila voti con dieci eletti, contro i cinquanta e più di dieci anni prima. Il partito vivrà stentatamente ancora per meno di un decennio fino alla scomparsa avvenuta nel 1972.

L'Unione Monarchica Italiana non ha sofferto i traumi del partito anche per la sua intrinseca struttura di organismo al di sopra dei movimenti politici a struttura partitica, che ne ha sempre attutito l'impatto con la realtà politica diretta. Ha tuttavia avuto momenti di fulgore per il prestigio, se non per il numero dei suoi aderenti. Ma è anche vero che questo prestigio non ha mai saputo incanalare infeconda azione per mantenere viva e rilasciare quando necessario l'immagine della Monarchia.

Quindi, se tu curva di andamento del partito nella sua più che ventennale parabola ha avuto nelle scadenze elettorali i suoi momenti di chiara verifica dalla validità o meno dell'organismo, fino a giungere all'estinzione per anemia di consensi, quella dell'UMI non ha mai temuto verifiche di alcun tipo sulla propria forza per cui continua ancora oggi la sua vita, non so fino a che punto al di sopra di un vegetare stentato. La battaglia per il ritorno delle salme di Vittorio Emanuele III e della Regina Elena al Pantheon, poteva essere un terreno per un ampio confronto politico con i partiti repubblicani, dove si sarebbe potuta saggiare la genuina disponibilità monarchica dei numerosi parlamentari dei vari partiti che l'UMI dice di avere nelle sue file. Ma che cosa si fatto al di là delle sterili prese di posizione verbali o al più di proposte legislative lasciate ammuffire negli uffici del parlamento? E per la questione ancora più grave dell'esilio dei discendenti maschi del ramo principale della dinastia? Al di là di qualche comunicato o raccolta di firme il nulla. Un po'poco dunque per rispondere alle attese dei monarchici italiani, la cui spontanea mobilitazione proprio in occasione della malattia e della morte del sovrano dimostra ancora numerosi. Quest'ultimo evento apre adesso una fase del tutto nuova per l'avvenire del movimento monarchico italiano: il simbolo caro, nel ricordo di una grande massa di italiani, non è più; chi è stato chiamato alla successione nella guida della dinastia non ha il carisma del padre e ciò, sia chiaro, a, prescindere dalle vicende personali, ma per ragioni di ingiustizia storica: l'iniquo dettato dalla costituzione repubblicana che lo tiene lontano dall'Italia dalla prima infanzia non gli consente di farsi conoscere, per cui fatalmente è destinato a diventare un simbolo incerto, se una organizzata battaglia politica non farà conoscere lui e non rivitalizzerà l'immagine dell'istituzione che rappresenta, ancora ricca di potenzialità aggreganti a giudicare dagli ultimi avvenimenti.

Una rifondazione dunque delle direttive dell'azione politica dei monarchici italiani deve inaugurare la nuova fase storica. Al centro ci dovrà essere il massimo dell'aggregazione e dello sforzo di elaborazione politica. Le linee concrete verranno via via esposte da questo giornale, la cui nascita proprio in questi momento vuole essere testimonianza della nostra vitalità, ma anche dire qualcosa di nuovo rispetto al passato a giustificazione della validità della Monarchia nel XX secolo.

Ivanoe RIBOLI,




Articolo dell'Aprile 1983

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