mercoledì 27 maggio 2015

Ambizioni e prospettive geopolitiche italiane (nel 1915)

Intrappolata nella rete della Triplice Alleanza, l'ancor giovane monarchia italiana non riusciva ad attuare una politica estera veramente rivolta alla tutela degli interessi nazionali e in grado di governare le istanze irredentiste che reclamavano la sistemazione dei confini orientali del Paese: Trentino e Venezia Giulia, comprese la prima nella Contea del Tirolo e la seconda nel Regno Illirico. Esse ci rammentano due figure di patrioti immolatisi per la causa italiana: il triestino Guglielmo Oberdan impiccato il 20 dicembre 1882 solo per il sospetto di voler attentare alla vita dell'imperatore d'Austria e il trentino Cesare Battisti anch'esso impiccato il 12 luglio 1916 assieme all'istriano Fabio Filzi ambedue per essersi arruolati nell'esercito italiano.

Fondamentale il contributo di Cesare Battisti alla causa irdentistica: politico di notevole cultura, giornalista, scrittore e soprattutto, geografo laureatosi all'università di Firenze con una tesi sul Trentino (1898), a lui si deve la pubblicazione (1915) di un atlante della sua regione con un ricco corredo cartografico nel quale si mostra come l'attuale territorio dell'Alto Adige fosse allora abitato in assoluta prevalenza da popolazioni di lingua tedesca. Il Battisti rivendica l'italianità solo del territorio tirolese, a sud della stretta di Salorno e corrispondente in gran parte all'attuale Trentino. Analoghe rivendicazioni il Battisti sosteneva anche per il Friuli orientale, comprensivo così della valle dell'Isonzo e quindi delle città di Gorizia e Gradisca, per Trieste, l'Istria e la Dalmazia, rilevando in un opuscolo pubblicato a Torino nel dicembre 1914, che firma quale deputato di Trento, come, dopo l'annessione del Veneto al Regno d'Italia (1866), "più volte sorse negli abitatori di questa terra la speranza che la buona stella d'Italia li proteggesse e li facesse partecipi della famiglia italiana". Inoltre, nel descrivere la situazione della sua regione, egli mette in evidenza quella che definisce “l’azione pangermanista" esercitata dall'Austria nei riguardi del Trentino la cui popolazione è mantenuta in una stretta sudditanza sociale, economica e culturale con il malcelato intento di "germanizzare il Trentino e di portare il confine linguistico là dove oggi è il confine politico austro-italiano" (Fig. 1). Nell'agosto 1914, il Battisti lascia il Trentino e per nove mesi viaggia per tutta l'Italia tenendo comizi, conferenze e incontri allo scopo di sollecitare la partecipazione del Paese al conflitto che sta già dilaniando l'Europa. La storia di questi mesi è raccontata dalla moglie, Ernesta Bittanti, in un documentato volume pubblicato da Treves nel 1938.

Dopo il fallimento delle trattative tra Italia e Austria, a conflitto già iniziato, perché il nostro Paese accettasse la cessione del Trentino in cambio della sua neutralità, numerose furono le voci autorevoli che auspicavano un deciso intervento del Paese a fianco dell'Intesa anglo-franco-russa: anche di esponenti della cultura e della scienza come i docenti universitari di diverse discipline. Tra loro si distinsero geografi e naturalisti come Carlo Errera e Mario Baratta.

Carlo Errera, professore all'Università di Bologna, nell'ambito di una Associazione Nazionale fra i Professori Universitari, illustrando quelli che dovevano considerarsi I diritti d'Italia sulle Alpi e sull'Adriatico, sosteneva (p. 43) che "nessun altro limite può assegnarsi all'Italia fuorché nelle Alpi, nessun'altra linea nelle Alpi [può] dirsi confine naturale d'Italia fuorché quella segnata dal divorzio delle acque nostre dai fiumi correnti agli altri mari d'Europa". E più avanti (p. 58) precisava come fosse "fuor da ogni confutazione di servitù assoluta in cui l'Italia si trova nell'Adriatico finché uno stato ostile sia padrone della costa orientale". Si tratta, come è chiaro, di concezioni, anche a quei tempi, più che superate, che vedono in uno stato contiguo o diviso da un tratto di mare, un potenziale nemico contro il quale erigere una inespugnabile e insuperabile barriera. E’ chiara l'impossibilità di applicare questo principio all'articolazione geopolitica europea e mondiale. Infatti gli elementi topografico-morfologicì di una regione fisica, quale è appunto il sistema orografico alpino, vanno distinti dagli aspetti del suo popolamento storico e culturale. Il Canton Ticino, ad esempio, se storicamente e culturalmente è terra elvetica, fisicamente non si può negare che faccia parte della regione fisica italiana, come anche la piccola Repubblica di San Marino. La storia stessa dell'umanità ci insegna che, per via di vicende spesso molto complesse, non è sempre possibile realizzare una completa coincidenza tra aree linguistiche ed aree geografiche.

Altro aspetto da non sottovalutare è anche la difficoltà di tracciare con precisione i limiti di una regione naturale, a meno che essa non abbia caratteri insulari. Ma anche questa eventualità è smentita da situazioni concrete come quelle dell'Irlanda, di Cipro, di Haiti. Per quanto riguarda le Alpi orientali in effetti il  loro rilievo rilievo tende ad attenuarsi a mano a mano che si procede verso sud est in direzione della catene dinariche il che rende spesso molto arbitrario ogni tentativo di fissare precise delimitazioni.

Da parte sua, nel corso di una serie di conferenze tenute nel 1916 presso la Società Geografica Italiana, il geofisico Mario Baratta illustrò le ragioni geografiche della nostra guerra, in cui propugnava l'estensione della sovranità italiana fino allo spartiacque alpino.


Lamberto Laureti Università di Pavia

mercoledì 13 maggio 2015

Neutralismo ed interventismo

D'Annunzio a Quarto
Preludio di una guerra che si poteva evitare


Se andiamo indietro negli anni e ci immaginiamo al 24 maggio 1915 allorché pure noi entrammo nella prima guerra mondiale contro gli Imperi centrali, nonostante fossimo stati molto tempo con loro nella Triplice Alleanza, non possiamo, per quanto a distanza di un secolo, non provare emozione e tristezza.

In verità, quella guerra tra noi europei, allargatasi più in là dei confini del nostro continente, ha significato l'inizio del declino europeo e l'avviarsi, per le proprie conseguenze politiche, economiche e sociali, agli spietati e folli totalitarismi che avrebbero condotto, dopo un ventennio, alla seconda guerra mondiale, persino più lunga e tragica della prima.

Crediamo che, dopo l'impresa di Libia, che aveva cresciuto il dominio coloniale italiano, non molti avrebbero pensato a una guerra di tali dimensioni e così terribile.

L'on. Giovanni Giolitti, che aveva attuato la politica di pacificazione voluta da Vittorio Emanuele III dopo l'assassinio del padre, con attenzione particolare alle condizioni delle categorie più disagiate, stava destando interesse anche nelle file dei socialisti, ma l'assassinio con la consorte a Sarajevo, il 28 giugno 1914, dell'arciduca Francesco Ferdinando, primo nell'ordine di successione all'imperatore Francesco Giuseppe, sconvolgeva qualsiasi prospettiva di sviluppo interno, deviando di colpo l'attenzione sulla politica internazionale.
Opera di nazionalisti serbi, il crimine spingeva l’Austria il 28 luglio a entrare m guerra control la Serbia attirando in  breve nel confitto la Russia in favore di questa e la Germania a fianco dell'Austria. Non tardavano a schierarsi con gli austro-tedeschi i turchi e contro Inghilterra e Francia.

L'Italia, al momento si conservava neutrale, avendolo proclamato fin dal 3 agosto, pur non cessando una presenza formale nella Triplice Alleanza accanto all'Austria e alla Germania. Ciò non toglie che i nazionalisti italiani assumessero sempre più un acceso        atteggiamento interventista, giudicando la guerra contro l'Austria un'occasione da non perdere ai fini della liberazione delle terre ancora irredente. Di questi sentimenti si faceva portavoce Gabriele d'Annunzio che a Quarto a il 5 Maggio  1915, pronunciava un  discorso di guerra dopo che il governo italiano a seguito del Patto  di Londra del 26 aprile aveva deciso il 3 maggio di uscire dalla triplice alleanza. 

Era il fallimento dei neutralismo giolittiano adesso non più appoggiato dalla maggioranza parlamentare, influenzato dalle dimostrazioni popolari per la guerra. Ciò non significa che il più degli italiani fosse per associarsi alle stragi iniziate l'anno prima. Erano contrari la Chiesa e i socialisti tra i quali, però, Benito Mussolini, già direttore dell’Avanti!, aveva abbracciato, scontrandosi con i suoi compagni, le tesi interventiste. Ma ora anche Vittorio Emanuele III non rifiutava la guerra, a differenza di Giolitti per il quale, standone fuori, avremmo comunque ottenuto "parecchio".

E’ così che il 24 maggio del 1915, anche noi debuttiamo nella grande tragedia accanto alla Triplice Intesa. Che si contasse, come poi per la seconda guerra mondiale, in un conflitto di minor durata? Può darsi o almeno lo si sperava, malgrado non fossero ben chiare le previsioni sull'esito finale, sia nel 1916 che nell'anno successivo, ma solo fino al 6 aprile 1917, quando gli Stati Uniti intervennero a favore dell'Intesa, con il loro immenso potenziale economico e militare, seguiti da Cuba, Brasile, Cina, Haiti, Ecuador, Siam e Grecia.

Quale il sentimento degli italiani nei confronti del Re? Negativo da parte dei socialisti, ma non così da buona parte della popolazione, che lo sapeva al fronte con le truppe e fiducioso, specie dopo l'entrata in guerra degli Stati Uniti e nonostante Germania e Austria, seppure tardivamente, potessero trasferire le proprie forze dal fronte orientale a dicembre del 1917, per effetto dell'armistizio di Brest-Litowski. che sanzionava la rinuncia dei bolscevichi a continuare la guerra.

Ma intanto neanche la sconfitta di Caporetto e la ritirata del nostro esercito dal 24 ottobre al 7 novembre 1917 conduceva alle conseguenze sperate dagli avversari, fermati sul Piave e poi sconfitti dell'offensiva italiana dal Grappa al Piave e al mare, iniziata il 24 ottobre 1918 e conclusasi con lo sfondamento di Vittorio Veneto, seguito dall'armistizio di Villa Giusti del 4 novembre.

Era il cedimento definitivo dell'Alleanza, penalizzata forse più dai disordini e dai movimenti rivoluzionari interni che dalla riti sul fronte francese. Si arrivava pertanto all'armistizio di Réthondes dell'11 I novembre e alla fine della guerra. Ma, se questa era finita, cominceranno tempi in cui l'Italia dovrà rinunciare a tutte le speranze di pace e di libertà ed anche alle nobili tradizioni che erano eredità preziosa della nostra Storia.


Vincenzo Pich Unione Ass.ni Piemontesi nel Mondo, Torino