martedì 30 dicembre 2014

Cronaca di una sconfitta e di una vittoria - prima parte

di Michele d'Elia

IL RE SOLDATO DOPO CAPORETTO:

Italiani!
«... Cittadini e soldati siate un esercito solo. Ogni viltà è tradimento, ogni discordia è tradimento, ogni recriminazione è tradimento. Questo mio grido di fede incrollabile nei destini d'Italia suoni così nelle trincee come in ogni più remoto lembo della patria; e sia il grido del popolo che combatte e del popolo che lavora. Al nemico, che ancor più che sulla vittoria militare conta sul dissolvimento dei nostri spiriti e della nostra compagine. si risponda con una sola coscienza, con una voce sola: tutti sian disposti a dar tutto per la vittoria e per l'onore d d'Italia! ». 

Vittorio Emanuele
Quartier Generale 10 Novembre 1917

Cronaca di una sconfitta e di una vittoria

Caporetto e Vittorio Veneto sono metafore. Con occhi nuovi indaghiamo fatti universalmente conosciuti.  Niente elucubrazioni, solo essenziale cronaca, in onore del soldato italiano. .(I)

Vogliamo dimostrare che la prima non fu la vergognosa -rotta - della quale si sproloquia da cento anni; che la seconda ma fu non fu la causale vittoria contro un nemico stremato.
L'Austria, dopo la nostra vittoria sulla Bainsizza, agosto 1917, rinnova con insistenza la richiesta di rinforzi dalla Germania per stroncare una volta per tutte gli italiani traditori. L'Alto Comando tedesco prima di decidersi a spendere uomini e mezzi per l'alleato, incarica uno dei suoi più brillanti strateghi, il generale Kraft von Dellmesingen, di una ricognizione sul fronte Alpino. Il generale individua la fragilità della difesa italiana nella linea corrente tra la località  di Plezzo a sud del monte Rombon, e la testa di ponte austriaca di Tolmino a nord del monte Jeza, vale a dire sul fronte dell'Isonzo.

Il 5 settembre il Generale espresse ai suoi superiori parere favorevole all'offensiva. (2) L'idea geniale è questa: sfondare il velo di truppe italiane tra Plezzo e Tolmino, distanti tra loro 50 km ed occupare il fondovalle. In definitiva il fronte delle Alpi Giulie è il luogo di partenza per arrivare al mare. I Comandi austriaco e tedesco costituiscono ex novo la XIV Annata, di 15 divisioni, sotto gli ordini del generale tedesco Otto von Below, suddivisa nei quattro gruppi comandati dai generali Stein, Berrer, Krauss e Scotti. La tecnica utilizzata è la guerra di movimento su colonne, che attaccano contemporaneamente, sulla destra e sulla sinistra dell'Isonzo. Von Below ha di fronte la II Armata, generale Luigi Capello, le cui forze sono schierate secondo il concetto di offensiva, però mal distribuite sul terreno. Gli austro-tedeschi impiegando 15 divisioni contro 3 nostre, tra Tolmino e Plezzo, per 50 km., colsero un immediato successo tattico che divenne strategico per la mancanza di riserve italiane sulla via del Tagliamento. In sintesi il nemico avanzò sulla linea Isonzo - Tagliamento - Udine - Piave.

CAPORETTO.

Mercoledì 24 ottobre, alle 2 del mattino. L'artiglieria nemica investe tutto il fronte dal Rombon a nord, alla Bainsizza a sud, tratti tenuti dal IV, XXVII e XXIV C d'A. Il bombardamento a gas distrugge le trasmissioni subito in parte riparate dai soldati.

h. 6 dei mattino. Persiste il tiro nemico diretto sulle seconde e sulle prime linee. Le artiglierie dei corpi d'armata IV e XVII non effettueranno il tiro di controbatteria; anzi, ai comandanti che l'avevano iniziato con decisione autonoma, fu ordinato di sospenderlo! Perché? "Per i metodi tattici di tiro inadatti alla difensiva". Per Caviglia questo sbagliato impiego delle batterie deriva dalla "mancanza di sensibilità e di pratica difensiva dei Comandi".
Manovra sulla destra dell'Isonzo.

h. 7-8. Le fanterie del gruppo Stein scattano dalla testa di ponte di Tolmino. I:Alpenkorps esce dalle trincee e si dirige verso Costa Raunza ed il Colovrat. Nello stesso tempo la 50' divisione austriaca, che protegge la 12 a divisione slesiana, urta contro la brigata Alessandria. Gli slesiani puntano su Caporetto, 27 km a sud. (3)

h. 9. "Cinque battaglioni slesiani sboccano da Tolmino". Alle 10 l'Alpenkorps s'infiltra nei vuoti esistenti tra le compagnie della brigata Taro, schierata su 5 km. di fronte. Lo intercetta un battaglione della brigata Napoli, arrivata poco prima, tra Foni e Monte Plezia, che cade solo alle 13. Qui abbiamo un fucile ogni 30 m. sulla linea avanzata; uno ogni 9 m. sulla seconda.

h. 10.30-12. Sono catturate le nostre batterie su Costa Raunza e Costa Duole. Gli artiglieri difesero i pezzi anche con le pistole e li resero inutilizzabili; poi si ritirarono verso la valle Judrio. Sino a Caporetto la via sembra libera. Gli slesiani, superata la brigata Napoli, tra le 11 e le 12, puntano su Caporetto, senza incontrare forze italiane; ma alcune compagnie del 182° fanteria li scorgono dalla riva sinistra dell'Isonzo, passano il ponte di Idersko e sulla riva destra li bloccano temporaneamente. Alcuni plotoni del 182° combattono nelle case di Idersko. Da qui il nemico si dirige su Caporetto, dove la resistenza fu "frammentaria".

h. 13.30. Salta il ponte di Idersko.

h. 14. Idersko è occupata dopo una lotta casa per casa.

h.15.30. Salta il ponte di Caporetto.



h.16. Gli slesiani occupano Caporetto ed iniziano la conquista del Monte Matajur, i gruppi Stein e Krauss, si saldano. Le tre divisioni del IV corpo sfuggono all'accerchiamento per il ponte di Ternova, a nord di Caporetto.
La manovra sulla sinistra dell'Isonzo.

h. 8. Quattro dei nove battaglioni slesiani escono da Tolmino, attraversano i 500 metri che li separano dalle nostre linee e si uniscono con un reggimento della 50' austriaca.

Non vi è nostra resistenza, perché il 23 era stata inspiegabilmente sgombrata la linea di Volzana. Due sole compagnie della brigata Alessandria trattengono il nemico per un'ora. Gli slesiani proseguono sino a Selisce, contrastati da un solo battaglione del 155°, del 150° e dal 2°del 147° della brigata Caltanissetta.

h. 12. Il diario del 63° slesiano registra: "Sino alle 12 lotta accanita". Poco dopo la nebbia si dirada. Il nemico si scontra con l'ultimo dei nostri tre battaglioni, davanti a Karnno. Il suo comandante, maggiore Piscicelli apre il fuoco, viene ferito ma prima di morire ordina al reparto di dirigersi a Caporetto.

Constatazione. La resistenza costruita dai nostri, momento per momento, impedisce la tenaglia tra i 9 battaglioni slesiani.

mercoledì 20 agosto 2014

FUMO NEGLI OCCHI

di Michele D 'Elia 

Scrive Gaetano Mosca: " ... in tutte le società a cominciare da quelle più mediocremente sviluppate... sino alle più colte e più forti, esistono due classi di persone: quella dei governanti e quella dei governati... ciò che costituisce la vera superiorità della classe politica, come base di ricerche scientifiche, è l'importanza preponderante che la sua varia costituzione ha nel determinare il tipo politico ed anche il grado di civiltà dei diversi popoli ".

In Italia questa risorsa non esiste più.

Nel 1910 Giovanni Amendola, criticando il giolittismo, scrisse: "L'Italia come oggi è, non ci piace". La Monarchia colse il messaggio. La Repubblica no.

L'apparenza inganna, diceva la mia maestra. Accade oggi al popolo italiano.

Il Presidente del Consiglio ed il suo Governo sono il portato di una situazione in cui gli italiani non sanno a che santo votarsi e credono a chiunque, con campagne ben orchestrate, si presenti come loro salvatore.

Un livello più alto e preoccupante ci fa considerare il fenomeno Renzi l'escatologia di un popolo, al quale la politica da decenni ha tolto i valori che ne erano il fondamento: primo fra tutti il senso dello Stato, per il quale ciascuno fa la sua parte, sicuro che mentre onestamente lavora per sé e la propria famiglia, lavora per tutti. E solo questo sentimento che convince l'impiegato pubblico o privato a ben operare e servire: la consapevolezza di essere parte integrante di quell'organismo complesso delicato, che è lo Stato; o, se volete, la società. Questa regredisce o progredisce con il singolo e viceversa, in continua osmosi. Ma il singolo cittadino è spesso abbandonato dalle Istituzioni e poco o nulla è considerato da questi politici, che non hanno né sentimento né cultura né capacità per governare. Da questi limiti deriva la corruzione che toglie a ciascuno di noi e soprattutto ai giovani, l'orizzonte. Basti guardare alla scuola con occhio appena competente, per rendersi conto dello scempio che ne hanno fatto e ne fanno certi ministri e certi dirigenti di ogni livello, per inseguire le mode culturali ed il facile successo. Nelle aule, per questa via, non entrano le regole, il pensiero critico o la cultura, con grave pregiudizio delle centinaia di migliaia di nostri docenti preparati; e, per me preside, i migliori dei mondo.

Vediamo alcune situazioni già descritte dalle cronache.

1) Le nomine. Moretti dalle Ferrovie alla Finmeccanica. Ma non aveva minacciato di andarsene all'estero? E Renzi non aveva rimbeccato lui ed altri dirigenti, invitandoli a lasciare l'Italia, qualora avessero trovato di meglio?

E' risuonata la grancassa sulla designazione di numerose donne ai vertici delle più importanti aziende pubbliche; ma, leggendone i nomi, si scopre che è una compagnia di giro. Vale a dire che si tratta di gentili signore da sempre nelle grandi aziende pubbliche e private. Le designate cambiano solo poltrona, come gli uomini. Renzi dal popolo lavoratore non ne ha tratta alcuna. La discriminazione continua. Dov'è la novità?

2) L'abolizione delle Province. Impostata dall'ineffabile governo Monti, ed oggi attuata, è un'operazione di facciata. Questa moltiplica uffici e poltrone, nomina i consiglieri delle città metropolitane tra i consiglieri comunali, alcuni dei quali diventeranno membri dei due consessi, senza la sanzione del voto popolare. Inoltre, il nuovo sistema distrugge almeno centocinquanta anni di storia nazionale.

Più saggio e meno costoso sarebbe stato abolire solo quelle province, come MB (Monza e Brianza) o BAT (Barletta-Andria-Trani) ed altre, che rimangono un insulto all'intelligenza di noi cittadini. Antonio Saitta, Presidente dell'Unione Province d'Italia, in un'intervista al Corriere della Sera il 27 marzo scorso, ha definito 'briciole' i decantati risparmi.

3) I caccia F 35. La stessa incertezza governativa notiamo nella marcia indietro sull'acquisto dei caccia F 35, elegantemente imposta da Obama.

4) Esodati. Scomparsi.

5) 80 euro. Inutili.

6) I Deputati e i Senatori. I Nominati. Guadagnano troppo e lavorano poco, posto che alcuni di loro abbiano mai lavorato. Renzi cominci a tagliare, prima che il numero, gli stipendi. 5000 euro netti il mese bastano e avanzano.

I competenti contraddittori scatenano l'ira dei renziani, come dimostra l'attacco del ministro Boschi ai Professori, che giudicano incostituzionale il Senato dei nominati. Costoro non avranno né dignità né peso sociale, così come i consiglieri metropolitani. Sulla struttura burocratica dello Stato è previsto "un colpo di maglio” che la disarticolerà, in quanto la funzionalità degli uffici dipende da chi ci lavora dentro e non dal loro numero. Si sanzionino i dipendenti infedeli, dovunque scoperti, nei ministeri o nel più piccolo ente pubblico. Le regole ci sono. Basta rispettarle e farle rispettare. Questo è, in prima battuta, compito dei capiufficio, dei capi servizio, dei dirigenti scolastici, dei provveditorati, delle direzioni regionali scolastiche, e via dicendo. Vale a dire di coloro che, sul territorio, sono responsabili anche di una microstruttura alla quale il cittadino si rivolge. Tutto ciò è attuabile rispettando i diritti costituzionali e sindacali dei lavoratori. Milioni di onesti dipendenti, specialmente pubblici, ne sarebbero gratificati.

7) Riforma elettorale. Premesso che siamo convinti proporzionalisti ed assertori delle preferenze, notiamo che i sistemi escogitati sull'onda delle cosiddette "mani putite": i maxipoteri a sindaci, ad ex presidenti di provincia, oggi sindaci metropolitani, condussero al Mattarellum ed al Porcellum ed ora all'Italicum, che sarebbe meglio denominare Spurius, in italiano bastardo. Infelice sorte della lingua latina.

Conclusione.

La Repubblica italiana da democrazia, pur zoppicante, è ormai regredita ad oligarchia, che scaccia il popolo dalla vita politica. Obiettivo della premiata ditta Renzi-Berlusconi è la Repubblica Presidenziale, il cui Presidente sarà, nella sostanza, uno dei tanti nominati.
Liberare l'Italia dai falsi idoli è la nostra battaglia.      


lunedì 11 agosto 2014

Storia, attualità e divenire

di Vincenzo Pich
Mense gratuite durante la crisi del '29
Le crisi economiche e i loro riflessi sulle condizioni sociali sono spesso all'origine dei cambiamenti politici più radicali. La Rivoluzione francese, dopo cattive annate agricole, si consegna nelle mani violente dei giacobini e della parte più accesa del popolo. Poco più di un secolo dopo trionfano in Russia le maniere forti dei bolscevichi, che sfruttano il malcontento diffuso e il rifiuto della guerra.

In Italia, finita la prima guerra mondiale, un ex socialista, già favorevole all'intervento, approfitta delle agitazioni e della cecità di socialisti e popolari per ottenere la guida del governo e avviare un totalitarismo sempre più invadente e privo di fiuto politico, tanto da estendere al nostro paese la discriminazione antiebraica e scendere nell'azzardo della seconda guerra mondiale.

Un decennio appresso l'avvento del fascismo era stato uno psicopatico fondatore nel 1920 del N.S.D.A.P, partito nazionalsocialista dei lavoratori tedeschi, a ubriacare la gente alle prese con la crisi economica e a condurre il paese a una catastrofe anche peggiore, senza l'avanzata degli anglo-americani oltre il Reno e al cuore stesso della Germania.

Si era arrivati così al secondo conflitto mondiale, causato dall'accordo Hitler-Stalin sull'invasione e la spartizione della Polonia. seguita dall'inevitabile dichiarazione di guerra alla Germania da parte della Francia e del Regno Unito.

Ma veniamo all'oggi, dove perdura la crisi economica più grave dopo quella devastante del 1929. Escludiamo al momento che si ripetano automaticamente nel nostro paese le svolte drammatiche che, nello spazio di circa un secolo e mezzo, si sono verificate dapprima in Francia e in tempi più ravvicinati in Russia e Germania.

Ciò sebbene l'affermazione improvvisa del cosiddetto grillismo, con l'estremismo verbale del suo protagonista, possano ricordare il fascismo e il nazismo, e nonostante la disistima diffusa del metodo parlamentare conduca a giustificati timori sulla tenuta della democrazia. Disistima che si accompagna alla crisi delle imprese, all'allargarsi della disoccupazione, alla ricerca vana del lavoro da parte di troppi giovani e all'impossibilità per un numero crescente di famiglie di soddisfare i bisogni essenziali.

Ne deriva anche sul piano politico l'indebolimento dei due poli di centro-sinistra e di centro-destra, questo più frammentato e confuso di quello, l'assenteismo elettorale in aumento e il possibile rafforzarsi delle tentazioni grilline.

Purtroppo, i fattori negativi non sono unicamente questi e c'è anche una crisi etica che induce alla violenza, alla criminalità e all'anarchia. In questo panorama piuttosto oscuro si inserisce il mito, non si sa quanto duraturo, di Matteo Renzi e cioè di un uomo che vanta virtù taumaturgiche e al quale per ora i sondaggi attribuiscono ampia credibilità. Basterebbe, tuttavia, un minimo di memoria storica per capire che l'uomo che risolva tutti i problemi non è mai esistito e che la stessa idea, più berlusconiana che altro, della repubblica presidenziale non è il toccasana infallibile per i mali della repubblica parlamentare.

'Nuove Sintesi' crede ancora nella monarchia parlamentare che, per quanto ridottasi storicamente di numero in Europa e nel mondo, regge ovunque Stati civilissimi, dove l'unità degli animi si accompagna alla rappresentatività popolare.

In Italia l'idea di questo tipo di governo, che combina la tradizione alla modernità, incontra un periodo assai lungo di scarsissima conoscenza e di indifferenza e impopolarità. 'Nuove Sintesi' ha rotto il silenzio con due convegni ispirati all'obiettività, anche alla critica, su Vittorio Emanuele Il e Vittorio Emanuele III, ma non si fermerà qui, sempre all'insegna dell'antiretorica e della ricerca costante e ostinata della verità.


giovedì 3 luglio 2014

CITTADINO E RE - Bibliografia



L'abdicazione di Re Vittorio

  1. (*) Von Senger, La guerra in Europa, Ed. Longanesi, pagg. 213 -214.
  2. (**) Winston Churchill, Parliamentary Debates: House of Commons, Official Report, vol.397, n' 34, Tuesday, 22 and February 1944.
  3. Emilia Sarogni, dal testo della conferenza tenuta presso il Liceo Sc. St: 'Vittorio Veneto'di Milano, il 5 novembre 2004.
  4. Documenti Diplomatici Italiani, terza serie: 1896-1907 Volume IV
  5. Francesco Cognasso, I Savoia, Ed. Dall'Oglio, Milano, 197 1.
  6. Silvio Bertoldi, Vittorio Emanuele III, Ed. U.T.E.T., Torino 26 giugno 1970, pag.281.
  7. Enrico Caviglia, I Dittatori, le guerre e il piccolo Re - Diario 1925 - 1945, A Cura di Pierpaolo Cervone, Ed. Mursia, Milano 2009.
  8. Benedetto Croce, sul New York Times, novembre 1943; Discorso dì Bari, 28 gennaio 1944; poi in B. Croce, Scritti e Discorsi politici (1943'47), Ed. Laterza, Bari, 1963.
  9. Renzo De Felice, Le interpretazioni del Fascismo, Ed.Universale
  10. Laterza, Bari, 1972.
  11. Domenico De Napoli, La resistenza monarchica in Italia 1943-'45, cap."La monarchia dalla crisi del liberalismo all'8 settembre", Ed Guida, Napoli 1985.
  12. Giovanni Amendola, Intervista sull'antifascismo, Ed. Laterza, RomaBari 1976.
  13. Lettere di Giovanni Amendola a Carlo Cassola, a cura di A. Capone, in Nord e Sud dicembre 1961.
  14. Carlo Ghisalberti, Storia costituzionale d'Italia 1848-1948, Il Ed. Laterza, Bari 1977.
  15. Benito Mussolini, Il Discorso di Udine, in "Scritti e discorsi", Ed. Hoepli, Milano 1943, XII, vol. 11.
  16. Paolo Puntoni, Parla Vittorio Emanuele III, Ed. Il Mulino, Bologna, giugno 1993.
  17. Luigi Einaudi, Diario dall'esilio 1943-1945, Prefazione, Ed Einaudi, Torino 1997.
  18. Vanna Vailati, Badoglio racconta, Ed. I.L.T.E., Torino 10 dicembre 1955.
  19. Vanna Vailati, L'Armistizio e il Regno del Sud, Palazzi Editore, Milano 1969 Agostino degli Espinosa, Il regno del Sud, Editori Riuniti, Roma, ottobre 1973.
  20. Emesto Ragionieri, Storia d'Italia, vol. IV, Ed Einaudi, Torino.
  21. Augusto Del Noce, La tragedia dell'8 settembre.
  22. Massimo de Leonardis, La Gran Bretagna e la Resistenza partigiana
  23. in Italia 1943-1945, cap. 11, paragrafo 1 'La Gran Bretagna e il Regno del Sud' Edizioni Scientifiche Italiane, Napoli 1988, pagg. 73-89, in particolare a pag. 81 leggiamo: "Dietro, quindi la facciata dell'appoggio formale di Churchill a Casa Savoia stava la realtà di una politica tesa a tenere l'Italia in una condizione di soggezione, a sfruttare la monarchia senza sostenerla efficacemente, anzi umiliandola".
  24. Massimo de Leonardis, Hitler contro i Savoia - La cattura della Principessa Mafalda, Nuova Storia Contemporanea, Anno XIV, n' 4, luglio-agosto 20 10.
  25. Giuseppe Gerosa-Brichetto, "La 51a Sezione sezione di sanità", Ed. Artigianelli, Pavia.
  26. Romano Bracalini, Il Re vittorioso, Ed, Feltrinelli, Milano, marzo 1980.
  27. Mario Bondioli Osio, La giovinezza di Vittorio Emanuele III, Simonelli Ed., Milano, 1998.

sabato 7 giugno 2014

CITTADINO E RE - V parte

La Luogotenenza.

Tra il 10 e l'11aprile 1944 le pressioni degli Alleati, tramite Murphy, Mac Millan, Sir Noel Charles e Mac Farlane sul sovrano perché si faccia da parte, si fanno intollerabili, ma raggiungono l'obiettivo. Il 12 aprile da Radio Bari il Re si congeda dal popolo italiano: "Il popolo italiano sa che sono sempre stato al suo fianco nelle ore gravi e nelle ore liete. Sa che otto mesi or sono ho posto fine al regime fascista e ho portato l'Italia, nonostante ogni pericolo e rischio, a fianco delle Nazioni Unite, nella lotta di liberazione contro il fascismo. L'Esercito, la Marina, l'Aviazione, rispondendo al mio appello, si battono intrepidamente da otto mesi contro il nemico fianco a franco con le truppe alleate. Il nostro contributo alla vittoria sarà, progressivamente, più grande. Verrà il giorno in cui, guarite le nostre profonde ferite, riprenderemo il nostro posto, da popolo libero accanto a nazioni libere. Ponendo in atto quanto ho già comunicato alle autorità alleate ed al mio governo ho deciso di ritirarmi dalla vita pubblica nominando Luogotenente Generale deI Regno mio figlio Umberto Principe di Piemonte. Tale nomina diventerà effettiva, mediante il passaggio materiale dei poteri, lo stesso giorno in cui le truppe alleate entreranno in Roma. Questa mia decisione, che ho ferma fiducia faciliterà l'unione nazionale è definitiva e irrevocabile.
E’ chiaro ciò a cui solo il Re non voleva credere: non gli sarebbe mai stato consentito di tornare nella Capitale.

Scrive Puntoni: “Sua Maestà cercava di convincermi che il mestiere del Re è difficile e pesante, «Non si può dire - ha esclamato ad un certo punto - che da quando si è formata l'Italia le cose siano andate proprio bene per la mia Casa! Solo mio nonno ne è uscito bene, Carlo Alberto dovette abdicare, mio padre fu assassinato. Non avevo nessuna íntenzione di succedere a mio padre e l'avevo quasi convinto ad accogliere il mio proposito di rinunciare alla Corona. Ma fu ucciso e io. in quell'ora tragica, non potei rifiutarmi di salire al trono, Se l'avessi fatto avrebbero detto che ero un vile!» ".
Bastava? No. C'era ancora un prezzo da pagare. La figlia Mafalda sarebbe stata catturata nell'Ambasciata tedesca di Roma ad opera di Herbert Kappler, deportata a Buchenwald e alloggiata nella baracca delle prostitute. Morirà il 29 agosto 1944, in seguito alle ferite riportate durante il bombardamento americano del campo.

18 aprile, Badoglio si dimette, il Re lo reincarica; De Nicola ha rifiutato di entrare nel governo, si vede che la coerenza non è il suo forte.

Con questo atto il Re pone fine, almeno temporaneamente, al teatrino creato dai partiti a dai rappresentanti anglo-americani, che stanno soffocando la Corona.

Il 18 maggio il Re visita il Comando del Corpo Italiano di Liberazione (C.I.L.) comandato dal gen. Utili. Subito dopo si spinge sino a Cassino, dove torna il 23.

5 giugno 1944. Gli Alleati entrati a Roma vietano al Re di tomare nella Capitale. Di più: alle ore 15, "Mac Farlane si reca dal Re - in pantaloni corti e in maniche di camicia - con Badoglio per far firmare al Re il Decreto sulla Luogotenenza. Il Re conferma di voler firmare a Roma, ma non c'è nulla da fare, egli ottiene solo che la richiesta venga messa per iscritto. Alle ore 17 il re firma.

7 giugno, Badoglio si dimette, come prassi; Il Luogotenente lo reincarica ma egli non riesce a formare il suo terzo governo. Viene incaricato Ivanoe Bonomi, che forma il nuovo governo l'11 giugno.

Il 27 giugno, i ministri vorrebbero giurare di "essere fedeli al Paese", invece che al Re. La Marina si ribella: "Noi eseguiamo solo gli ordini che ci vengono impartiti in nome di Sua Maestà".

Vittorio Emanuele III, nonostante tutti i tentativi di delegittimarlo, è ancora riconosciuto dai militari di ogni grado, Capo delle Forze Armate.

30 luglio, per l'arrivo di Re Giorgio VI a Napoli a Vittorio Emanuele III viene imposto di lasciare immediatamente Villa Maria Pia.

11 agosto, Sforza ha proposto di epurare, secondo la stampa, 109 senatori su 420. Il Re osserva: "Questo dimostra che, funzionando, anche il Senato era favorevole al fascismo. Si può dire lo stesso per il resto delle Organizzazioni statali... Stando così le cose, quale garanzia di appoggio avrei potuto avere nel caso che mi fossi deciso ad agire prima? ". [del 25 luglio, ndr]

8 settembre 1944, in questo primo significativo anniversario il Re commenta: "Da dodici mesi sono sulla strada. E la mia via crucis non è finita".

1945. 23 febbraio. Si ha notizia di paracadutisti che attenterebbero alla vita del Re. Come mai? Evidentemente il Re va eliminato perché scomodo protagonista di fatti che, per i posteri, devono essere "aggiustati".

26 febbraio, il gen. Puntoni a Roma incontra casualmente il nuovo Ministro della Real Casa, Falcone Lucifero, il quale gli dice: "Sua Maestà dovrebbe abdicare subito e andare all'estero. La situazione del Principe verrebbe così chiarita e il suo difficile compito verrebbe facilitato".

Puntoni replica: 'L’abdicazione equivarrebbe alla rottura del compromesso e della cosiddetta tregua... ho l'impressione che si cerchi di staccare il figlio dal padre e la cosa creerà altre amarezze per il Re".

Il Ministro Lucifero davvero crede che Umberto e la Monarchia possano salvarsi offrendo agli oppositori la testa del vecchio Re?

Il 4 dicembre, alle 3,30, il Luogotenente incarica Alcide De Gasperi di formare il nuovo governo.

Orlando e Bonomi rifiutano dì fame parte. Il vizio di nascondersi è vecchio: criticano il Re ma non assumono le responsabilità che potrebbero salvare la situazione.

Il 28 dicembre a Mosca i ministri Molotov, Bevin e Byrnes dichiarano: "L'Italia sarà trattata come gli altri paesi ex nemici ".

A che cosa sono serviti il 25 luglio e l'8 settembre?

1946. 16 febbraio, osserva il Re "Gli uomini politici hanno nove vite come i gatti. Se ne servono a seconda delle circostanze. La loro preoccupazione è quella di rimanere sempre a galla. Purtroppo sono come i sugheri"; l'occasione di questo sfogo è la morte dell'on. Rodinò della D.C. divenuto, dopo il Congresso di Bari, avversario della Monarchia.

Il 25 aprile. Gli eventi precipitano.

Vittorio Emanuele spiega a Puntoni: "Gli Alleati d'accordo con il Luogotenente e i Capi dei partiti dì centro e di destra, hanno manifestato l'opinione che io debba abdicare prima del 2 giugno--- dicono che l'abdicazione consoliderà la posizione del Luogotenente e renderà più probabile una vittoria della Monarchia nel referendum ... dopo tutto è bene che siano loro a decidere".

Affossavano la Monarchia dicendo di volerla salvare. Il Luogotenente fu ingenuo? Di sicuro inesperto e malconsigliato; tuttavia, fece bene il suo dovere.

L'abdicazione.

9 maggio ore 15: "Abdico alla Corona del Regno d'Italia in favore di mio figlio Umberto di Savoia Principe di Piemonte".

Dopo la firma il Re si rivolge al suo Aiutante di Campo: "Ha visto? E’ successo più presto di quello che credevamo! Ho adoperato la stessa formula usata da Carlo Alberto nel 1849". Ore 19. L'incrociatore 'Duca degli Abruzzi' arriva a Napoli. Ore 19,40. I Sovrani s'imbarcano per Alessandria d'Egitto.

Epilogo: schiodiamo il pregiudizio.

10 settembre 1943. L'Ammiraglio Oliva, succeduto a Bergarmni, inabissatosi con la 'Roma' il giorno prima, segnala alla squadra in navigazione verso Malta: "Sua Maestà il Re ordina di eseguire lealmente le clausole dell'armistizio che escludono la cessione delle navi a stranieri". La Regia Marina ubbidisce. E l'obbedienza più amara ma questo ordinava il Re.I Marinai, individualmente liberi di vivere o morire, combattendo per un personale problema di onore, non erano liberi di farlo come Corpo dello Stato. La disubbidienza della Regia Marina avrebbe manifestato agli occhi dello straniero, alleato o nemico che fosse, l'inesistenza dello Stato. Ubbidienza al Re dimostrava l'esatto contrario: Il Re di Pescara è il Re di Peschiera.

Gli Alleati capirono che potevano disporre non solo di quel potente complesso, che era la nostra flotta, ma anche di tutte le strutture del Paese, solo attraverso l'obbedienza al Re e per questo essi dovevano rispettare i cittadini e lo Stato Italiano. Le coscienze nei primi momenti si lacerarono, ma poi ognuno trovò la sua strada. Il Regno del Sud è forse la più grande metafora della nostra Storia. La sua onda lunga ci lambisce, superando di molto le date in cui cronologicamente possiamo racchiuderlo, 9 settembre 1943-5 giugno 1944 o, più correttamente, 9 maggio 1946. Vittorio Emanuele III ne rimane la figura centrale. Gli uomini che lo definirono 'Re fuggiasco', vollero dimenticare che essi stessi erano Ministri e uomini liberi proprio in virtù di quella fuga.

Quel veleno è diventato un pregiudizio sul quale l'Italia, dopo settant'anni, stenta ad interrogarsi con obbiettività, ma veniva smentito nel momento stesso in cui il Regno del Sud nasceva, veniva smentito dall'Esercito, dalla Marina, dall'Aviazione, dai soldati che, prigionieri nei lager (l.M.I.), preferirono quel rischio di morte al tradimento della fedeltà al Re, che coincideva con la fedeltà alla Patria e, soprattutto, a se stessi. Cosi pure agirono migliaia di partigiani, autonomia e no, vale a dire coloro che seppero guardare oltre le insegne di partito. Lo smentirono le decine di migliaia di soldati che, pur potendo salvarsi in un'Italia spezzata in due, riattraversarono le linee da Nord a Sud, riaffluendo nel ricostruito Regio Esercito.

Più volte gli Alleati umiliarono Vittorio Emanuele, ma la sua resistenza silenziosa e ostinata, li costrinse a concedere allo Stato italiano la "cobelligeranza", formula ambigua e strumentale, inventata per non conferire all'Italia lo status di 'alleato', ma pur sempre un riconoscimento.

L’ltalia aveva un Capo ed un Governo con i quali il mondo fu costretto a confrontarsi

Tuttavia, si continua a malignare: l'amministrazione del Regno non ebbe poteri: e quali? Questa illazione è smentita dal fatto stesso che l'antico Regno si perpetuava nelle quattro province del Re e gradatamente nella ricomposizione del territorio nazionale.

Quando tutti si nascosero dietro di lui, " Il Re che fu Re", salvò l'unità, la libertà, l'onore del nostro popolo e soprattutto il suo futuro, "con affetto di padre e lealtà di Re", come chiedeva lo Statuto Albertino.


Michele D'Elia

giovedì 29 maggio 2014

CITTADINO E RE -IV parte

"L'11 mattina, lo Stato italiano iniziava la sua fragile vita nella nuova e incerta capitale. Come scrisse un giornalista americano, il maresciallo Badoglio, con poco più di una matita ed un pezzo di carta, si accinse, assieme ai suoi collaboratori a salvare lo Stato italiano" (degli Espinosa).

Proclama del Re agli Italiani.

L'11 sera, da radio Bari, Vittorio Emanuele si rivolge alla Nazione: "Per il supremo bene della Patria che è stato sempre il mio primo pensiero e lo scopo della mia vita, e nell'intento di evitare più gravi sofferenze e maggiori sacrifici, ho autorizzato la richiesta di armistizio. Italiani, per la salvezza della Capitale e per poter pienamente assolvere i miei doveri di Re, col Governo colle Autorità Militari mi sono trasferito in altro punto del sacro e libero suolo nazionale. Italiani, faccio sicuro affidamento su di voi per ogni evento, come voi potete contare sino all'estremo sacrificio sul vostro Re. Che Iddio assista l'Italia in quest'ora grave della sua storia".

Italiani, tedeschi, americani, inglesi ed il mondo intero sapevano, senza ombra di dubbio, dove il Re fosse e che cosa facesse. Il Re-soldato svolge i suoi compiti sul campo

Due giudizi sul trasferimento del Re e del Governo.

Ernesto Ragionieri: "La teoria di berline nere che aveva lasciato Roma aveva portato in salvo la continuità dello Stato attraverso una guerra perduta, un cambiamento di regime ed un rovesciamento di alleanze: non era un risultato di poco conto!"

Augusto Del Noce: "La tesi della «fuga ignominiosa» è calunnia priva di fondamento: era proprio, invece, il dovere del Sovrano a esigere la «fuga di Pescara» per la salvezza della continuità dello Stato. Quel dovere che può talvolta esigere da un Re la morte eroica, può tal'altra richiedere di salvarsi, magari nelle vesti di fuggiasco e col rischio di essere giudicato tale.
Gli stessi Alleati avevano più volte insistito presso il Re perché lasciasse la Capitale, come documenta Vanna Vailati.
L’11 settembre sera, Vittorio Emanuele III lancia un messaggio agli Italiani; spiega perché ha lasciato Roma e comunica dove si trova. Tutto avviene alla luce del sole. Dov'è la "fuga ignominiosa"?

Il Regno del Sud.

Re e Governo a Brindisi hanno un solo compito: ricostruire di fronte al mondo l'immagine dello Stato e del Paese; e lo devono fare giocando le poche carte che hanno in mano. Essi sono l'unica difesa non tanto del presente, quanto del futuro della Nazione ma giuridicamente era legittimo questo governo?

".. Questa legittimità giuridica [del Governo dei Re]... era stata affermata e comprovata dall'ubbidienza degli uomini dello Stato che la prolungavano: ove questo non fosse avvenuto, e la flotta invece di ubbidire si fosse affondata nei porti, e le forze di polizia si fossero sbandate e i funzionari si fossero dispersi al primo silenzio di radio Roma, o disanimati da un insorgere di popolo, gli Alleati avrebbero semplicemente preso atto del venir meno dell'altro contraente per dichiarare nullo l'armistizio, e governare l'Italia come più tardi avrebbero governato la Germania. Così Manlio Lupinacci.

Il 22 febbraio 1944 Churchill, in un importante discorso pronunciato ai Comuni. riconobbe il Regno del Sud come realtà imprescindibile. Citiamo:  “Abbiamo firmato l'Armistizio con l'Italia, stella base della resa incondizionata, con Re Vittorio Emanuele III e il Maresciallo Badoglio che costituivano e costituiscono finora, il governo legittimo dell'Italia... d'altra parte non sono convinto che si potrebbe formare, attualmente in Italia un qualsiasi altro governo capace di ottenere la stessa obbedienza dalle Forze Armare italiane”.

A questo nobile riconoscimento non seguiranno comportamenti coerenti né da parte degli anglo-arnericani. né dello stesso Churchill. Anzi si verificherà una loro costante doppiezza. Non solo, ma il 13 ottobre 1943, il Governo è costretto dagli Alleati a dichiarare guerra alla Germania. Il Re si era opposto inutilmente, prevedendo le tragiche conseguenze della decisione. Gli Alleati vogliono sfruttare l’Italia sotto ogni profilo. Sono liberatori o conquistatori?

La politica estera.

Il 14 marzo 1944, la Presidenza del Consiglio dei Ministri comunica: "In seguito al desiderio a suo tempo ufficialmente espresso da pane italiana, il Governo dell'Unione delle Repubbliche Socialiste Sovietiche ed il Regio Governo hanno convenuto di stabilire relazioni dirette tra i due Paesi. In conformità a tale decisione sarà proceduto tra i due Governi senza indugio allo scambio di Rappresentatiti muniti dello statuto diplomatico d'uso".

Questo successo diplomatico acuisce l’antagonismo tra Unione Sovietica e Potenze occidentali, tanto che il 14 marzo 1944 il Times pubblica il fondo "Russia and Italy" nel quale il suo corrispondente diplomatico accusa i governi alleati di non aver saputo elaborare un progetto politico per l'Italia, mentre Stalin l'aveva pensato per tempo.

La politica interna.

A Bari il 28 e 29 gennaio 1944, i partiti che costituiscono l'Esarchia celebrano il loro primo ed ultimo congresso antifascista.

La discussione s'incentra subito sulla necessità di 'defascistizzare lo Stato', che significava prima di tutto cacciare il Re fascista. Infatti sotto la regia del conte Carlo Sforza, il Congresso divenne un processo al Re, sostenuto anche dal professor Omodeo, il quale “dalla radio invitava cortesemente Vittorio Emanuele a spararsi un colpo per farla finita". Nel consesso, De Nicola, appoggiato da Croce, escogitò la “luogotenenza del Regno” da affidare al Principe ereditario. Il Re fece sapere che avrebbe delegato i suoi poteri solo in Roma liberata.

Togliatti smentiva l'Esarchia nell'intervista al giornale comunista algerino 'Liberté': "... La politica dei comunisti italiani è una politica di unità nazionale nella lotta per la liberazione e per la rinascita del Paese... "
Anche per i comunisti il Re restava il Re. Opportunismo, come il riconoscimento sovietico? Forse, ma i due fatti restano.

Il Regio Esercito e l'attività di Vittorio Emanuele III

Secondo l'articolo 5 dello Statuto Albertino, il Re " ... è il Capo supremo dello Stato: comanda tutte le forze di terra e di mare; dichiara la guerra..." Per i Savoia questo articolo non è mai stato mera petizione di principio.

27 settembre 1943 - San Pietro Vernotico

Nasce il primo nucleo del ricostruendo Regio Esercito, dericiminato "Primo raggruppamento motorizzato". In tutto 5.000 uomini. Gli Alleati non concedono di più. Loro comandante fu designato il generale di brigata Vincenzo Cesare Dapino.

Il 18 ottobre il Re passa in rassegna il 67' Reggimento di Fanteria, che entrato in linea il 7 dicembre, l'8 dicembre a Montelungo si sacrificherà quasi interamente. L’operazione fu preceduta da un volo di ricognizione del Principe Umberto. Nei primi giorni di novembre, di ritorno da Napoli, tra Mesagne e San Vito, il Re vedendo un "colossale deposito di munizioni" degli Alleati, esclama: "con tanta dovizia di materiale non fanno [gli Alleati] un passo avanti. Sembra che abbiano paura di farsi male". Le nuove Forze Armate svolsero anche una fondamentale funzione di coesione sociale: perché non erano di parte: gli ultimi soldati del Re furono borghesi, nobili, persone dei popolo, che si riconoscevano in una sola bandiera e collaborarono con i Partigiani delle diverse formazioni. Il 14 marzo 1958 Cesare Degli Occhi, deputato del P.N.M., ricordò alla Camera: 'L’esercito regio, l'esercito fedele che risalì di tappa in tappa verso la capitale d'Italia perché la Patria venisse liberata anche dalla paurosa antitesi civile".

6 gennaio 1944 Vittorio Emanuele III riceve Badoglio il quale gli riferisce che, a Napoli, De Nicola ha insistito nuovamente sull'abdicazione del Re, per il quale sostiene che l'atto deve maturare "in un clima di estrema lealtà ... soltanto dopo la riconquista di Roma". li Re si illude..

Il 20 gennaio 1944. La 'Gazzetta del Mezzogiorno pubblica l'intervista rilasciata a Cecil Sprigge, corrispondente della 'Reuter', dal sottosegretario repubblicano Oronzo Reale, che dichiara: "l'abdicazione non si può compiere se non a Roma, con l'aiuto di tutti i partiti nazionali ... si dica quello che si vuole della Monarchia ma è indiscutibile che la Marina naviga, che l'Aviazione vola, che l'Esercito, sia pure in piccola parte e non per colpa sua, si batte in nome del Re. Io credo che ogni discussione indebolisce questi sforzi".

Il 27 gennaio il Governo firma, con gli Alleati, l'accordo per il quale i territori liberati tornavano all'Amministrazione italiana. Il 2 febbraio, il Re visita i militari rientrati dall'Albania e ricoverati nell'ospedale "Acanfora” di Taranto.


L’11 febbraio Badoglio si insedia nel municipio di Salerno, nuova capitale del Regno, è questa la 'svolta di Salemo'. Poco tempo dopo il Re si trasferirà a Ravello; forse è giunto il momento di formare un governo politico. Il Re chiede a De Nicola di accettarne la presidenza; ma l'8 aprile questi rifiuta. il giorno dopo il Re confida a Punton: "La situazione, ormai, è senza vie d'uscita. Per di più sono costretto a constatare che molti uomini per viltà, al primo sentore di pericolo m'abbandonano. Non so più in chi credere ".

lunedì 26 maggio 2014

CITTADINO E RE - III parte

Il 25 luglio 1943: cambio di prospettiva.
22 luglio, il Re convoca il Duce. Così Puntoni riporta la sintesi del colloquio fattagli dal Re: "Ho tentato di far capire al Duce che ormai soltanto la sua persona bersagliata dalla propaganda nemica e presa di mira dalla pubblica opinione, ostacola la ripresa interna e si frappone a una definizione netta della nostra situazione militare. Non ha capito o non ha voluto capire. E’ come se avessi parlato al vento. Nessuna "congiura di palazzo", come Mussolini scriverà.

25 luglio - 8 settembre: Il Re nomina e revoca i suoi ministri." Art. 65 dello Statuto Albertino.
Venti minuti bastano al cittadino-Re per liquidare Mussolini nel rispetto delle regole, vale a dire per fare quello che una pletora di oppositori ed opportunisti non era riuscita a fare in vent'anni. Maturato il momento propizio, fu "il solo che agì". (Einaudi)
Destituito Mussolini, bisogna dare immediatamente al Paese un governo. Alle ore 18 del 25 luglio, il Re convoca Badoglio, il quale così descrive la sua investitura a Presidente del Consiglio: Il Sovrano era in piedi, in mezzo alla stanza. Ho fatto arrestare Mussolini! Stamani mi ha fatto chiedere un'udienza che io ho fissato qui, alla villa, per le 16. E venuto puntuale e mi ha comunicato che aveva avuto luogo la seduta del Gran Consiglio nella quale era stato votato un ordine del giorno a lui contrario, ma che egli riteneva non fosse valido...» Badoglio continua: "La voce del Re, piatta e senza lumi, del tutto priva di retorica, descriveva con rara efficacia, richiamando la scena in quarta dimensione dinanzi al Maresciallo. «Perché, aveva obiettato Vittorio Emanuele a Mussolini, ritiene questo voto non valido?
Il Gran Consiglio è un organo da lei creato e approvato per legge dal Senato e dalla Camera dei Deputati. Funziona, quindi, in piena legalità». «Ma in tal caso io dovrei dare le dimissioni...». «...Che io accetto!». Mussolini era parso afflosciarsi. «Allora il mio crollo è completo». «Sembrava che avesse ricevuto un colpo da 305 in pieno petto!», commentò il Re... «adesso bisognerà sostituire Mussolini... - riprese il Re - lo sostituirà lei». «Ma io non ho mai fatto questo mestiere» «Imparerà a farlo». Il Re... aveva pronta la lista dei nuovi ministri".
Alle 22,45 del 25 luglio la radio trasmette il famoso messaggio di Badoglio: "Sua Maestà il Re Imperatore ha accettato le dimissioni dalla carica di capo di governo, Primo ministro, segretario di Stato, di Sua Eccellenza Cavaliere Benito Mussolini e ha nominato capo del governo, Primo ministro, Segretario di Stato, il Cavalier Maresciallo d'Italia Pietro Badoglio".
Il maresciallo Caviglia, pur devoto al Re, ne contesta la decisione:
Con la giornata del 24 luglio 1943 il Re ha accettato la sua decadenza.
Anch'egli crede che, abdicando, Vittorio Emanuele salvi la Dinastia. E' un'illusione.
Il 26 la Milizia non si muove per difendere il suo Duce. Puntoni riferisce che molte personalità si recano a fare atto di devozione al Re, che sbotta: "Tutta gente che è buona soltanto di far parole". Aveva torto? Il Governo giura il 27.
Rovesciamo la prospettiva: 25 luglio, 8 settembre, Regno del Sud, Luogotenenza, abdicazione e partenza per l'esilio non sono macchie, ma vanto del Re e dell'Italia.

28 luglio 1943, scrive Puntoni a pag. 148: "La situazione si aggrava... Sua Maestà mi dà ordine di predisporre tutto per una eventuale partenza da Roma. Dice il Re «Non voglio correre il rischio di fare la fine del Re del Belgio. Desidero mettermi in condizione di continuare a esercitare le funzioni di Capo dello Stato in assoluta libertà. Non ho alcuna intenzione di cadere nelle mani di Hitler e di diventare una marionetta di cui il Fuhrer possa manovrare i fili a seconda dei suoi capricci ... »
Questo l'imperativo: non cadere nelle mani dei tedeschi, per esercitare liberamente le prerogative di Capo dello Stato e rappresentare l'Italia di fronte al mondo.
Re Leopoldo III non seguì il suo Governo a Londra, restando così prigioniero di Hitler. Per questo perse il trono. La Monarchia italiana sarebbe caduta per la ragione opposta. Altri Capi di Stato avevano lasciato la loro capitale, come Stalin, o il loro Paese, come Guglielmina d'Olanda ed altri per riparare a Londra e sottrarsi ai tedeschi. Per tale decisione furono acclamati.
Tra il 30 e il 31 luglio il Re ordina al gen. Carboni di schierare a difesa della Capitale il Corpo d'Armata Corazzato.
3 agosto. "Il Governo ha deciso di comportarsi in maniera di far credere alla Germania che continueremo lealmente la guerra al suo fianco" (Puntoni).
Decisione peggiore Badoglio non avrebbe potuto assumere. Questa ambivalenza costerà all'Italia l'infamante accusa di tradimento da parte dei tedeschi e degli anglo-americani. Questi ultimi pretendono dall'Italia la resa senza condizioni; il 7 bombardano Napoli, l'8 Torino, Genova e Milano.
Il 13 agosto anche Roma è bombardata. il 14 è dichiarata città aperta.
Verso Pescara e Brindisi. 8-11 settembre.
Il Re vuole evitare la guerra civile, pericolo che aveva sventato nel 1922.
L'imminente trasferimento del Capo dello Stato e del Governo a Brindisi, rimane un atto di suprema responsabilità e coraggio: non di viltà. Saranno i repubblichini a parlare di "fuga di Pescara' e non i partiti. Questi ultimi, più avanti nel tempo, non faranno che ripeterla ed ingigantirla. "Alle 17 dell'8 settembre un dispaccio dell'Agenzia inglese Reuters annuncia al mondo: l'Italia si è arresa agli Alleati senza condizioni "Questa mossa anticipata degli Alleati che comunica al mondo la resa senza condizioni, mette l'Italia nella situazione peggiore possibile.
E con inaudito disprezzo. Il Re alle 18, dello stesso giorno, convoca il Consiglio della Corona al Quirinale per decidere il da farsi. La discussione è troncata alle 18.30 dalla risposta di Eisenhower. "Se I' armistizio non viene accettato ne seguirebbe di conseguenza la dissoluzione del vostro governo e della vostra Nazione ".
9 settembre. Anche questa volta Caviglia è in contrasto con il Re, infatti scrive: «Se fossi stato presente non avrei lasciato partire il Re. Milioni di uomini hanno affrontato la morte gridando Savoia! Ora tocca al Re e a noi gridare Savoia!, ma non mi sorprendo di nulla. Badoglio ha indotto il Re a tagliare la corda, così la responsabilità della propria fuga è diminuita se non annullata da quella del Re».
Caviglia telegrafa al Re chiedendo i poteri che gli consentano «data l'assenza del Presidente del Consiglio, di far funzionare il Governo». Immediata e positiva la risposta del Re.
I fatti si svolgono come segue: '71 radiogramma, che risulta spedito da Supermarina alle 6,10 del 10 settembre è captato regolarmente a bordo della 'Baionetta'. La risposta, dettata personalmente dal Sovrano, viene scritta a matita dal Duca Acquarone sul retro di una busta della Corvetta Partigiana, vecchio nome della 'Baionetta'. Ecco il testo: «Maresciallo Caviglia - Roma -In risposta suo telegramma Vostra Eccellenza è da me investita poter mantenere funzionante il governo durante temporanea assenza Presidente del Consiglio che si trova con me e con ministri militari. Vittorio Emanuele.». Questo telegramma parte regolarmente da bordo della nave. Come ha confermato in una lettera l'allora Tenente di Vascello Franco Mercogliano, di Napoli che prestava servizio sull'incrociatore 'Scipione Africano'. Racconta: «mattina del 10 settembre 1943 mi trovavo di guardia, in plancia, di scorta al 'Baionetta'. Riconobbi all'alba gli alti personaggi che sostavano su sedie a sdraio in coperta. Sentii della intercettazione del telegramma da Supermarina,ne conobbi il testo fui informato della risposta del Re e fui testimone della trasmissione a Roma. Risposta che, a richiesta del 'Baionetta', trasmettemmo noi dello 'Scipione'perché avevamo migliori radiotrasmittenti. Avemmo assicurazione di avvenuta ricezione». Peccato che quel telegramma Caviglia non lo abbia ricevuto. Lo avrebbe bloccato Badoglio che non gli garbava di essere sostituito dal rivale e di trovarselo magari davanti al suo rientro a Roma".
Lo stesso Maresciallo così scrive a pag. 471 del suo Diario: '71 mio telegramma rimase senza risposta. Pensai che fosse stato intercettato da altri ".E' palese: il Re non abbandonò Roma al suo destino.

Brindisi e la protoresistenza delle Forze Armate.

" Venerdì, 10 settembre 1943, nelle prime ore del pomeriggio, la R. Nave 'Baionetta' penetrava nelle acque della Piazza [di Brindisi] ... nessuno aveva segnalato l'arrivo del Re... appena egli apparve, dai marinai accorsi si alzò  il grido di Viva il Re. Il Sovrano sorrise, contenendo        l'emozione.     Giunge intanto notizia che il giorno prima il gen. Bellomo aveva cacciato il presidio tedesco da Bari. Possiamo ritenere quest'azione la protoresistenza del Regio Esercito, insieme con la difesa di Roma.

giovedì 22 maggio 2014

CITTADINO E RE - II parte

La Monarchia e la Prima Guerra Mondiale.

Il Re aveva in testa una sola idea: completare l'Unità d'Italia. Non aveva stima dei tedeschi, ben ricambiato da Guglielmo II, che lo aveva già definito “Il piccolo ladro " .

Il proclama ai soldati.
Dal Quartier generale, il 24 maggio, il Sovrano indirizzò ai soldati questo proclama:

"Soldati di terra e di mare. 
L'ora solenne delle rivendicazioni nazionali è suonata. Seguendo l'esempio del mio grande Avo, assumo oggi il Comando Supremo delle forze di terra e di mare, con sicura fede nella vittoria, che il vostro valore, la vostra abnegazione, la vostra disciplina sapranno conseguire.
Il nemico che vi accingete a combattere è agguerrito e degno di voi. Favorito dal terreno e dai sapienti apprestamenti dell'arte, egli vi opporrà tenace resistenza, ma il vostro indomito slancio saprà, superarla.
Soldati, a voi la gloria di piantare il tricolore dell'Italia sui terreni sacri che natura pose a confini della Patria nostra, a voi la gloria di compiere, finalmente, l'opera con tanto eroismo iniziata dai nostri padri.

Il Re al fronte.
Il Re, è noto, dimostrò nei quattro anni di guerra, competenza tecnica, coraggio fisico ed umiltà. Il Maresciallo Enrico Caviglia nel suo Diario, sotto la data del 31 marzo 1933, annota: " ... Il Re mi disse in un colloquio l'anno scorso che egli aveva visto l'aggiustamento del tiro delle batterie austriache e l'aveva segnalato a Cadorna. " Non fu ascoltato.
Dopo il convegno di Peschiera, l'11 novembre Vit-
torio Emanuele esortò gli italiani con queste parole: "Siate un esercito solo. Ogni viltà è tradimento, ogni discordia è tradimento, ogni recriminazione è tradimento. Questo mio grido di fede incrollabile nei destini d'Italia suoni così nelle trincee come in ogni più remoto lembo della Patria; e sia il grido del popolo che combatte e del popolo che lavora".
Vittorio Emanuele rifiutò la Medaglia D'Oro al Valor Militare, così motivando: «Mentre tanti episodi di eroismo e di sacrifici o rimangono oscuri e mentre tanti nostri valorosi chiudono nei cimiteri e nelle corsie degli ospedali il segreto di atti che, non conosciuti, non potrebbero ricevere alcuna ricompensa, non credo di poter accettare per quello che era mio dovere fare, come re e come soldato, la più alta distinzione al valor militare.»

Ritorno a casa
Il 14 novembre il Re Vittorioso torna a Roma. Nonostante la vittoria, il ritorno fu infelice per tutti.
Al Sovrano il compito di incanalare gli elementi patogeni. Indica alla classe politica le linee da seguire. Lo  fa con stile impersonale, nei Discorsi della Corona. L'l dicembre 1919 si svolge la prima seduta post bellica del Parlamento: ".. Al di sopra della vittoria stessa è la giustizia, umana clemenza e virtù ... L'Italia desidera considerare con la più viva simpatia l'ascensione delle classi popolari..."

L' 11 giugno 1921, apertura della XXVI legislatura.
Ricordati i doveri dei contribuenti, il Re afferma: “... Gli organismi statali debbono dimostrarsi pronti a tutte le semplificazioni e riduzioni, adottando ordinamenti più snelli e più decentrati... occorrerà che il parlamento rivolga la attività propria all'ordinato ascendere delle classi lavoratrici così delle officine come dei campi... Sarà vanto di quest'Assemblea... rafforzare gli istituti cooperativi... "
Rilevante, l'attenzione del cittadino-Re alla cultura ed alla scuola: "L'educazione intellettuale e morale del popolo è la virtù che preserva le democrazie dal cadere nell'errore delle demagogie. Giova quindi che la scuola abbia le cure più assidue, amorose, infaticabili del Parlamento ... " La seduta fu tumultuosa, i socialisti gridarono "viva la Repubblica", la classe politica, tutta o capì e finse di non capire o non capì; del resto, il parafulmine era bell'e pronto.

Il Fascismo.
Né i politici né gli uomini di cultura capirono il pericolo. Uno per tutti: Benedetto Croce, che definì il fascismo: "Malattia morale, smarrimento di coscienza..." così anche pensatori stranieri come il Meinecke.

Il Sovrano non firma lo stato d'assedio.
Penosi furono i rifiuti a catena, dell'incarico proposto dal Re ai politici di maggior spicco, di formare un qualsiasi governo, che impedisse a Mussolini di andare al potere.
«Il 28 ottobre [1922 n.d.rj, alle 6 del mattino, il dimissionario e dormiente Presidente del Consiglio, Facta, decise di proclamare lo "stato d'assedio", per impedire ai fascisti la Marcia su Roma. Lunare!
L'onorevole Facta, Presidente per la seconda volta, presentò al Re il decreto. Vittorio Emanuele rifiutò di firmarlo, proprio perché proposto da un Presidente e da un Governo che si erano già dimessi e che, proprio per questa ragione, non godevano né dell'autorità né dell'autorevolezza indispensabili per proporre e tanto meno attuare misure straordinarie.
Quella stessa mattina il Re chiese a Salandra, dopo il no di Giolitti, di costituire il nuovo governo, ma ottenne un altro rifiuto. Sappiamo come andò a finire.
In ogni caso, il Re impedì a Mussolini di sciogliere la Camera. Chi accusa il Re di avere favorito Mussolini vuole ignorare le affermazioni di alcuni uomini illustri: il liberale Giovanni Amendola: « ... Ci voleva anche un Minimo di soluzione politica» ; il 7 novembre 1922, lo stesso uomo politico, sul dovere inderogabile di accordare la fiducia al governo di Mussolini, scrive a Carlo Cassola: «E’ necessario che la Camera dia il voto al nuovo Ministero ... ».
Tagliente Luigi Einaudi sul Corriere della Sera, il 27 ottobre 1922 «Il Ministero Facta è finito. Non vi sono le dimissioni, perché i Ministri hanno creduto di salvare le apparenze limitandosi a mettere i loro portafogli a disposizione del Capo del Governo ... di questa obbligata libertà l'on. Facta non può usare che presentando al Re le dimissioni del Ministero. L'ipotesi di un rattoppo non è neanche degna di essere presa in considerazione ... ».

Risolta la crisi di governo, il Re confidò a Solaro del Borgo: «Ho molto pensato ma anche il mio grande avo Vittorio Emanuele II avrebbe fatto così. Io ho rifiutato due volte di sancire quell'atto imbecille e criminoso dello stato d'assedio, steso solo per salvare appena dieci poltrone governative». E all'on. Schanzer: «Ho inghiottito tutto, capisce Schanzer, in quello sciaguratissimo tempo [Nitti-Facta], sempre per non venire alla sciabola. Io per primo non ci credo: i generali sono un salto nel buio». In epoca recente ha scritto, Carlo Ghisalberti: «Né la Corona, né l'Esercito legato alla dinastia potevano offrire alla sovversione fascista quella resistenza che sostanzialmente il Governo, il Parlamento e la classe dirigente non erano stati capaci di esprimere». Mussolini si dimostra monarchico fraudolento, già dal discorso di Udine del 20 settembre 1922. Il Re convivrà con il fascismo per evitare che questo si impadronisca completamente dello Stato; condurrà da solo una silenziosa e ininterrotta battaglia affrontando il delitto Matteotti, l'Aventino, le leggi razziali e la loro abolizione.


Il 15 maggio 1943, secondo il Cognasso, il Re consegnò a Mussolini un appunto scritto nel quale lo esortava a sganciare "le sorti dell'Italia dalla Germania".