Copertina di Tribuna Illustrata settembre 1917 |
Sul
piano operativo, la battaglia della Bainsizza (undicesima battaglia
dell'Isonzo, 18 agosto - 12 settembre 1917) costituisce la prosecuzione
naturale dell'offensiva voluta dal Comando supremo italiano nella primavera
precedente (decima battaglia dell'Isonzo, 12 maggio - 5 giugno) e che -
nonostante il dispendio di mezzi e di vite (430 battaglioni e 3.800 pezzi
d'artiglieria impiegati; 160.000 vittime fra morti e feriti) - si era conclusa
con limitati benefici territoriali. Sul lato dei risultati, la battaglia della
Bainsizza porta all'occupazione da parte delle forze della II Armata (generale
Capello) dell'altipiano omonimo e del rilievo strategico del Monte Santo. La
strenua difesa, da parte dei reparti austro-ungarici, della testa di ponte di
Tolmino (nella parte settentrionale del fronte), delle postazioni del San
Gabriele (al centro) e di quelle dell'Hermada (a sud) impedisce, tuttavia, che
si realizzi il previsto scardinamento della linea del Carso e lo sfondamento
strategico in direzione di Trieste da parte della III armata (generale Emanuele
Filiberto di Savoia Aosta) che, nelle intenzioni del Comando supremo, avrebbe
dovuto condurre a una svolta nel conflitto. Sul piano diplomatico, la battaglia
rappresenta, invece, l'esito finale di un complesso intreccio di pressioni
iniziate ai primi del 1917 e intensificatesi dopo che la c.d. 'rivoluzione di
febbraio' (23-27 febbraio secondo il calendario giuliano; 8-12 marzo secondo
quello gregoriano) aveva portato alla fine dell'autocrazia zarista e aperto la
strada a un'uscita anticipata della Russia dal conflitto.
Da
questo punto di vista, il 1917 assiste, infatti, a uno spostamento
dell'attenzione degli alleati verso il fronte italiano, spostamento sancito
alla conferenza interalleata di Roma del 5-7 gennaio. Le ragioni di ciò sono
molteplici e solo in parte legate alle esigenze del conflitto. La nascita del
gabinetto Lloyd George, nel dicembre 1916, porta, infatti, a una rivalutazione,
da parte di Londra, di una strategia 'orientalista' vista dai vertici militari
come il tentativo del Primo ministro di ridimensionare il loro ruolo nella
condotta delle operazioni. La scelta di destinare più risorse (umane e
materiali) al fronte dell'Isonzo è contrastata in particolare dal comandante
della British Expeditionary Force, generale Haig, e dal Capo dello Stato
Maggiore Imperiale, generale Robertson. Gli esiti insoddisfacenti delle
offensive del 1916 giustificano in parte l'atteggiamento di Lloyd George. Nello
stesso senso si muove il sostegno offerto dal Primo ministro al nuovo
Comandante in capo delle forze francesi sul fronte occidentale. generale
Nivelle, anche se le promesse di quest'ultimo di conseguire uno sfondamento
strategico delle linee tedesche a quarantotto ore dal lancio di una nuova
offensiva congiunta avrebbero portato
solo alle pesanti perdite di Arras (da parte britannica 158,000 uomini fra il 9
aprile e il 16 maggio 1917) e dello Chemin des Dames (seconda battaglia
dell'Aisne: da parte francese: circa 187.000 uomini fra il 16 aprile e il 9
maggio).
Di
fronte al sostanziale fallimento dell'offensiva di Nivelle, un'azione sul
fronte italiano avrebbe consentito da un lato di dare fiato alle forze anglo-francesi:
dall'altro di sostenere quelle russe, scosse dagli eventi politici dei mesi
precedenti e dalle conseguenze che questi avevano avuto sulla loro
organizzazione e la loro operatività. Alla luce dell'avvio, di lì a poco, di
quella che sarebbe stata la fallimentare 'offensiva Kerenskij' (“offensiva di
luglio” o “offensiva della Galizia”; 1 - 19 luglio), l'azione italiana
acquisiva, inoltre, un importante valore diversivo, contribuendo a
immobilizzare lungo l'Isonzo importanti aliquote dell'esercito austro-ungarico
(210 battaglioni e 1.400 pezzi d'artiglieria durante la decima battaglia
dell'Isonzo e 250 battaglioni e 2.200 pezzi d'artiglieria durante
l'undicesima). Il crollo delle truppe russe di fronte alla controffensiva della
Sudarmee austro-tedesca e della 3° e 7° armata austro-ungariche (18 luglio) e
l'avanzata di queste fino alla linea del fiume Zbruc (nell'attuale Ucraina), al
confine fra la Galizia
austro-ungarica e i territori dell'ex impero zarista, aggiunse ai preparativi
per l'ennesima “spallata” di Cadorna un ulteriore senso d'urgenza. Questo senso
d'urgenza è ampiamente enfatizzato, fra l'altro, nelle due conferenze interalleate
di Parigi (25 luglio) e di Londra (7-8 agosto).
Sul
piano concreto, la collaborazione fra i belligeranti rimase comunque limitata.
Le richieste del Comando supremo italiano rimasero. di fatto, inevase. L'inizio
della campagna britannica di Passchendacle, con il suo ambizioso obiettivo o di
dare agli alleati il controllo completo delle Fiandre, pose, la parola “fine” a
un dibattito destinato a riaprirsi dopo lo sfondamento di Caporetto. Alla
vigilia dell'undicesima battaglia dell'Isonzo, la presenza alleata in Italia
era, quindi, limitata - oltre che ai reparti della Croce Rossa - a dieci
batterie di obici da 152 mm
della Royal Garrison Artillery (schierate nella primavera precedente fra la
zona del Vipacco e il vallone di Gorizia, a supporto dell’azione della III
Armata da una parte verso il Carso
settentrionale, dall'altra verso l'Hermada e alle unità francesi ottenute da
Cadorna. In seguito all'incontro del 25 giugno con il generale Foch a San
Giovanni di Moriana: sei batterie da 155 mm e dieci batterie pesanti, oltre a dieci
batterie di mortai pesanti britanniche. Tuttavia essendo la fornitura di tali unità
vincolata al loro impiego in funzione
offensiva, la postura di difesa a oltranza assunta dalle forze italiane dopo il
18 settembre portò alla richiesta, sia da parte francese, sia britannica, che
esse fossero nuovamente – e immediatamente trasferite - sul fronte occidentale.
Questa
richiesta avanzata alla vigilia dello sfondamento di Caporetio e nonostante i
segnali che forze dell'Intesa stessero riposizionandosi in vista di una manovra
offensiva sul fronte italiano - lasciò dietro di sé una scia di polemiche e
risentimenti, soprattutto fra Cadorna e Robertson. che avrebbero finito per
coinvolgere anche le rispettive Cancellerie. Dietro queste riposava, comunque,
un'incomprensione di fondo. Agli occhi degli alleati, nonostante l'usura subita
(circa 400.000 uomini fra morti e feriti dalla metà di maggio alla fine di
settembre a fronte di 230/240.000 austro-ungarici), il Regio Esercito rimaneva,
infatti, quello meno provato in termini umani e materiali. Questa convinzione,
unita a quella (condivisa dell'Alto comando tedesco) che lo scontro decisivo sarebbe
stato combattuto sul fronte occidentale, concorre a spiegare una scelta la cui
conseguenze appaiono, in ogni caso, marginali rispetto alle evoluzioni
successive. Più in generale, il coordinamento dello sforzo bellico appare il vero
punto critico delle relazioni interalleate. Un punto critico che non sarà
superato nemmeno con la costituzione del Comando supremo di guerra voluto da
Lloyd George dopo Caporetto (conferenza di Rapallo. novembre) e che, al
contrario, sarà reso più scottante dalla entrata in linea delle forze
statunitensi, fra l'inverno 1917 e la primavera del 1918. Non a caso
Washington, per rimarcare anche in questo campo il proprio status di Potenza
associata, non avrebbe partecipato all'attività 'politica' del Comando e
avrebbe limitato il proprio ruolo a un lasco coordinamento dell'azione
militare.
Gianluca
Pastori
Università Cattolica