Le
tensioni che portarono, in Italia, fra il luglio 1914 e il maggio 1915, alla costituzione di un frastagliato ed eterogeneo schieramento
interventista coinvolsero inevitabilmente anche il mondo dell’arte. Ciò avvenne
però con due modalità profondamente diverse. Da una parte vi fu l’immediato
pronunciamento pubblico a favore dell’intervento, con i toni spesso enfatici desunti
da una retorica dell'azione che si andava costruendo
nell'ambito di un settore dell'intellettualità italiana tendente ad amplificare le tematiche risorgimentali in una prospettiva nazionalistica e per alcuni aspetti addirittura colonialista. 1 primi e i più diretti rappresentanti di tale opzione nel modo della letteratura e dell'arte furono, sia pure in modi diversi, D'Annunzio, i Futuristi e i redattori della rivista fiorentina “Lacerba", tutti sostenitori di un’estetica che esaltava “l’amore del pericolo”, “l’abitudine alla temerarietà”, “il coraggio”, “l'audacia”, “il carattere aggressivo”, “il violento assalto”, espressioni riprese testualmente dal Manifesto del Futurismo stilato da Marinetti nel 1909; in particolare per i Futuristi la partecipazione dell'Italia a quello che si stava rivelando come il primo conflitto mondiale,
avrebbe consentito di tradurre in pratica concreta quanto asserito nel famosissimo punto nono del già citato Manifesto:
"Noi vogliamo glorificare la guerra - sola igiene del mondo - il
militarismo, il patriottismo, il gesto distruttore dei libertari, le belle idee
per cui si muore e il disprezzo della donna
collettività, in questo caso rappresentato dal popolo italiano. Per molti di
questi artisti l’opzione interventista non ebbe dirette ricadute sulla pratica
artistica in termini di temi e di soggetti delle loro opere ma spesso ebbe come
diretta conseguenza la scelta dell'arruolamento volontario fin dal giugno 1915,
mese immediatamente successivo alla dichiarazione di guerra da parte dell'Italia.
nell'ambito di un settore dell'intellettualità italiana tendente ad amplificare le tematiche risorgimentali in una prospettiva nazionalistica e per alcuni aspetti addirittura colonialista. 1 primi e i più diretti rappresentanti di tale opzione nel modo della letteratura e dell'arte furono, sia pure in modi diversi, D'Annunzio, i Futuristi e i redattori della rivista fiorentina “Lacerba", tutti sostenitori di un’estetica che esaltava “l’amore del pericolo”, “l’abitudine alla temerarietà”, “il coraggio”, “l'audacia”, “il carattere aggressivo”, “il violento assalto”, espressioni riprese testualmente dal Manifesto del Futurismo stilato da Marinetti nel 1909; in particolare per i Futuristi la partecipazione dell'Italia a quello che si stava rivelando come il primo conflitto mondiale,
avrebbe consentito di tradurre in pratica concreta quanto asserito nel famosissimo punto nono del già citato Manifesto:
Non
stupisce il fatto che quasi tutti gli artisti del gruppo protofuturista
(Marinetti, Boccioni, Piatti, Russoio, Sant’Elia) e i loro più prossimi
interlocutori (Bucci, Erba, Sironi) decisero di arruolarsi, fra l'agosto e il
dicembre 1914, nel Battaglione Lombardo dei Volontari Ciclisti e Automobilisti
per poi passare nelle file regolari del Regio Esercito Italiano; indubbiamente
meno prevedibile fu la scelta dell'arruolamento volontario intrapresa da
artisti come Giorgio De Chirico e Alberto Savinio, Ubaldo Oppi, Ottone Rosai e
Cipriano Elìsio Oppo, pittorintellettuali la cui attività segnerà in modo
indelebile i decenni successivi alla conclusione della guerra. Fra chi scelse
lo schieramento interventista vi furono anche Giulio Aristide Sartorio, nome
prestigioso nell’ambito della pittura europea dell’epoca, arruolatosi volontario
a 55 anni, e Ludovico Pogliaghi, insegnante presso l’Accademia di Brera e
arredatore-decoratore di alcuni fra i più importanti palazzi milanesi (tra cui
il Palazzo Turati e il Museo Poldi-Pezzoli), partito volontario per il fronte
all’età ragguardevole di 59 anni. Fra gli artisti sostenitori della scelta
interventista risultarono particolari le situazioni dei pittori Tullio Garbari,Umberto
Moggioli e Massimo Campigli. 11 primo, nato a Pergine Valsugana in Trentino, e
dunque di nazionalità austriaca, emigrò clandestinamente in Italia nell’agosto del
1914 per sottrarsi alla chiamata alle armi nell’esercito austro-ungarico, si
stabilì a Milano dove “secondo la testimonianza di Carrà” organizzò una sorta
di quartier generale dell’irredentismo nella saletta superiore del Caffè
Campari in Galleria, frequentata anche da Cesare Battisti; dopo aver falsificato
i propri documenti personali, si arruolò volontario nel Quinto Reggimento
Alpini nel maggio 1915. Umberto Moggioli, nato a Trento ma trasferitosi a
Venezia nel 1911, si arruolò volontario proprio grazie alla fraterna amicizia
con Cesare Battisti che gli consentì di entrare nel Regio Esercito Italiano
nonostante la sua cittadinanza austriaca, per essere poi trasferito, nel 1917,
nella Legione Trentina, associazione di supporto ai molti volontari trentini impegnati
sul fronte italiano. Infine Massimo Campigli, pseudonimo di Max Ihlenfeldt,
nato a Berlino nel 1895 da una ragazza madre tedesca poi sposatasi con un
cittadino britannico, vissuto fin dall’infanzia in Italia (Firenze e Milano), divenne sostenitore della causa
interventista dopo essere entrato in contatto con Papini e Soffici e con
l’ambiente culturale gravitante intorno alla rivista “Lacerba”; nel maggio 1915
si arruolòvolontario nel Regio Esercito avendo fatto domanda per ottenere
quella cittadinanza italiana che gli venne concessa solo nel 1918, alla fine della guerra, per meriti al valor militare. La storia personale di Campigli
potrebbe fare supporre una motivazione patriottica molto forte e un culto della
guerra altrettanto salda. In realtà Campigli nelle sue memorie, scritte
presumibilmente dopo il 1950 e pubblicate postume nel 1995 col titolo “Nuovi
scrupoli”, ci fornisce una visione disincantata del suo arruolamento
volontario, tutta articolata sulla necessità interiore di superare la dimensione
dell’individualità a favore della relazione con gli altri; una scelta a cui
giunge con un misto di sollievo e di sofferenza perché Io porta, lui così riservato al
limite dell’introversione, a un impegno in cui il patriottismo assume la
sfumatura della condivisione della propria esperienza di vita con quella del
popolo italiano.
Le
chiassose manifestazioni futuriste, le loro opere grafiche e pittoriche, le
loro azioni nella vita quotidiana furono spesso all’insegna di una provocazione
scientemente perseguita per scuotere
l’opinione pubblica e orientarla in una prospettiva filobelligerante.
Un’altra
parte dell’ambiente artistico italiano sviluppò una posizione interventista con
una maggiore gradualità nel tempo e con toni meno plateali e meno
trionfalistici; questa posizione scaturiva da motivazioni molto diverse che a
volte si integravano completandosi a vicenda: spesso si trattò di una scelta
patriottica di stampo più emotivo che razionale, influenzata da una propaganda
che usava con indiscussa abilità il linguaggio visivo (cartoline e vignette
satiriche, in particolare quelle falsamente infantili diBertiglia e le due
prime serie della “Danza macabra europea” di Alberto Martini); in alcuni casi
lo stimolo iniziale fu una sorta di imperativo morale che induceva l’artista
alla lotta contro le forze oppressive e liberticide incarnate nell’immagine
degli Imperi austro-ungarico, tedesco e ottomano; in altri casi all’origine
della scelta interventista vi fu una maturazione personale, anche di tipo introspettivo,
della propria dimensione esistenziale che sfociava nella necessità di un
impegno concreto del singolo a favore della
“Sono anni, quelli della guerra, che rappresentano per me una netta sospensione
della vita intima, della vita profonda, una sospensione della mia
individualità, ma il trionfo, finalmente, dell'uomo sociale. (...) Guarigione dunque
dalle mie aberrazioni, dalla mia introversione?
E’ chiaro
che no. Fu una lunga inutile sospensione. Fu dapprincipio un occasione che mi
parve meravigliosa di essere uno fra tanti: non si dimentichi il mio latente
senso sociale. Entravo in una grande famiglia di uguali e di
poveri. Con slancio imitai i compagni, pensai come gli altri, non pensai nulla. Ebbe peso il mio odio dei tedeschi? Non credo. Gli austriaci non erano ancora i tedeschi. Ma intervenne certo la passione di sentirmi interamente italiano, ciò che nessuno mi contestava ma che qui diveniva lampante per me. Mi comportai normalmente, forse meglio di altri, non lo dico per vantarmi: sono pacifista a un punto da non sopportare gli eroi (...) ”.
poveri. Con slancio imitai i compagni, pensai come gli altri, non pensai nulla. Ebbe peso il mio odio dei tedeschi? Non credo. Gli austriaci non erano ancora i tedeschi. Ma intervenne certo la passione di sentirmi interamente italiano, ciò che nessuno mi contestava ma che qui diveniva lampante per me. Mi comportai normalmente, forse meglio di altri, non lo dico per vantarmi: sono pacifista a un punto da non sopportare gli eroi (...) ”.
Salvatore
Paolo Genovese
Liceo Sc.
St. “Vittorio Veneto", Milano
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