Roberto Ardigò |
Uno degli
intellettuali di riferimento del positivismo italiano fu Roberto Ardigò
(1828-1920), autore del libro Sociologia (1886). Probabilmente era stato
all’epoca lo studioso italiano più acuto e tra i più noti a livello
internazionale: grazie a lui un lavoro cruciale nella storia delle scienze
sociali, quello di William James dal titolo Le varie forme dell’esperienza
religiosa, pubblicato negli Stati Uniti nel 1902, venne tradotto in italiano,
nel 1904. William James era uno dei padri del pragmatismo americano e,
pertanto, uno dei principali sostenitori delle scienze empiriche. Ardigò, che
non aveva mai voluto leggere Comte e leggeva invece solo alcuni scritti di
Herbert Spencer, sostenne fortemente il carattere empirico della conoscenza sia
del mondo fi sico che di quello psichico, secondo la prospettiva di un
passaggio crescente dall’indistinto al distinto, e lasciò un gran numero di
pubblicazioni, raccolte in Opere fi losofi che, in 11 volumi, pubblicati tra il
1882 e il 1918.
Proprio in quest’ultimo anno Ardigò tentò il suicidio una prima
volta, perché già depresso ma per di più anche addolorato a seguito della
disfatta di Caporetto e della perdita di molte giovani vite. Un secondo
tentativo ebbe luogo il 27 agosto 1920 nella sua casa di Mantova, già abitata
da Ippolito Nievo (1831- 1861), patriota ed autore del romanzo Le confessioni
di un italiano (pubblicato postumo nel 1867 con il titolo Le confessioni di un
ottuagenario e riecheggiato di recente da Achille Occhetto in Pensieri di un
ottuagenario). Roberto Ardigò morì qualche giorno dopo, il 15 settembre 1920.
Il primo insegnamento della sociologia in un’università italiana si era avuto,
per quanto ne sappiamo, nel 1874 grazie a Giuseppe Carle, seguace di
Giambattista Vico (1668-1744), presso l’Università di Torino.
Un altro corso
sociologico risale all’anno accademico 1878-1879 presso l’Università di
Bologna: si trattava di sociologia teorica, insegnata dal professor Pietro
Siciliani. Il riconoscimento uffi ciale della sociologia da parte del ministro
del settore (Guido Baccelli) si ebbe nel 1898 con la cattedra assegnata a
Errico De Marinis (nel 1901) – un socialista vicino al pensiero
dell’evoluzionista darwiniano Ernst Haeckel – presso l’Università di Napoli,
nella Facoltà di diritto. Prima di allora, alcuni corsi non uffi ciali erano
stati impartiti da Alfonso Asturaro a Genova, dall’economista socialista
Achille Loria a Padova, dal fi losofo Icilio Vanni a Perugia, dall’economista
Salvatore Cognetti de Martiis a Torino. Altri insegnamenti sociologici erano
stati attivati a Siena (Filippo Virgilii), Messina (Ferdinando Puglia), ma
anche a Roma (Enrico Ferri) e Catania (Giuseppe Vadalà-Papale). Il pensiero di
Saint-Simon (1760-1825) e quello del suo allievo Comte (1798-1857) avevano in
gran parte infl uenzato il positivismo italiano. Ciò che è rimasto, tuttavia, è
la tendenza a considerare la realtà come un dato di fatto con un proprio
signifi cato evidente e immediato.
Come ha scritto Filippo Barbano (1922-2011),
i presupposti fi losofi ci e metodologici della prima sociologia italiana,
oltre il fatto di non essere abbastanza “critica”, non erano neppure
completamente aderenti al pensiero di Comte. In tali condizioni l’affermazione
della sociologia in Italia si è avuta in modo vivace e tumultuoso, ma anche
incerto. La sociologia non era collegata ad alcuna struttura culturale, per cui
la maggior parte delle sue energie è stata spesa per difendere la sua autonomia
dalla fi losofi a. In realtà, neppure il tentativo fatto da Enrico Ferri (1894)
di far confl uire insieme il socialismo e la sociologia può essere ignorato.
Ferri è stato allievo di Roberto Ardigò e docente di diritto penale a Bologna,
così come in altre università europee e sudamericane.
Un altro dato di fatto è
quello degli sviluppi nel campo della ricerca etnografi ca e antropologica. In
proposito la scuola italiana ha offerto notevoli contributi. L’iniziatore di
tali studi è considerato Paolo Mantegazza (1831-1910), medico ed antropologo,
seguace delle teorie darwiniane e fondatore, nel 1870, della Società Italiana
di Antropologia ed Etnologia (SIAE) e della rivista Archivio per l’Antropologia
e l’Etnologia. Il suo lavoro anticipava analoghe iniziative in sociologia. La
Rivista di Sociologia venne fondata nel 1894 e fu pubblicata fi no al 1896,
diretta dal sociologo Giuseppe Fiamingo, dall’avvocato Giuseppe Vadalà-Papale e
dallo statistico Filippo Virgilii. La pubblicazione citata sopra non mostrava
un particolare interesse per la sociologia internazionale, a differenza della
posteriore Rivista Italiana di Sociologia, molto più attenta ai lavori di
Durkheim (1858-1917), Weber (1864-1920) e Simmel (1858-1918). La sua linea
rimaneva in gran parte basata su posizioni di natura biologica e psicologica.
Ma c’era anche un interesse
per la metodologia storica.
Tuttavia l’approccio teoretico era principalmente
organicista, sostenuto da Giuseppe Fiamingo. Un altro contributo veniva, con un
punto di vista biologico, da Giuseppe Sergi che riteneva la sociologia solo
«un’appendice della biologia umana». Di questa stessa idea era De Marinis (che
fu poi attivo nella Rivista Italiana di Sociologia). Il fi losofo morale
Alfonso Asturaro era orientato verso il materialismo storico, ma anche verso il
positivismo. L’evoluzionista Vincenzo Tangorra aveva un punto di vista diverso:
per lui la sociologia non derivava da premesse psicologiche. Vadalà-Papale
invece forzava la sociologia di Simmel sino a farla rientrare nella struttura
dell’evoluzionismo di Spencer. Ancor meno facile da capire era la dura critica
di Giuseppe Fiamingo al testo di Durkheim su Le regole del metodo sociologico,
che egli riteneva un fallimento e troppo confuse e piuttosto vicine alla metafi
sica. Il tentativo di conferire alla sociologia il ruolo di una scienza
onnicomprensiva, entro una prospettiva evoluzionistica basata sulla continuità
e differenziazione tra il biologico ed il sociale, era un elemento comune e
piuttosto omogeneo negli scritti pubblicati dalla Rivista di sociologia. Il
vero intento era però quello di legittimare la dimensione scientifi ca della
sociologia e darle autonomia rispetto alle altre scienze. Non fu solo un caso
se Rivista di sociologia fu pubblicata solo per tre anni fi no al 1896.
L’eredità fu presa dalla Rivista Italiana di Sociologia, appena un anno dopo.
Questa rivista ha prodotto, nella sua durata di 25 anni, una straordinaria
quantità di scritti sociologici. Per ogni numero vi era una media di 350 titoli
di libri e articoli annunciati. Vennero pubblicati 102 numeri, per un totale di
17.421 pagine. 232 autori vi hanno scritto un totale di 658 articoli. Il
promotore della rivista era un esperto della pubblica amministrazione e docente
presso l’Università di Roma, Guido Cavaglieri, la cui morte nel 1917 non portò
alla sospensione della pubblicazione, almeno fi no al 1921. Nel 1899 il primo
congresso italiano di Sociologia si tenne a Genova e nel 1908 un’altra
pubblicazione fu fondata con il titolo di Rivista di Sociologia e Arte. Scienze
Sociali e Estetica. La Società Italiana di Sociologia fu fondata a Roma nel
1910 (e ricostituita nel 1937), con Raffaele Garofalo come primo presidente,
Giorgio Arcoleo, Errico De Marinis, Enrico Ferri e Giuseppe Sergi come
vicepresidenti, nonché Giuseppe Fiamingo come segretario.
La Società organizzò
a Roma l’ottavo congresso dell’Institut International de Sociologie. In data 25
aprile 1893 Pareto era stato nominato docente presso l’Università di Losanna.
Rimase in Svizzera per 30 anni. Pareto è l’unico appartenente alla tradizione
italiana ad avere raggiunto un livello così alto ed un riconoscimento unanime.
La sensazione di disagio da parte di Pareto per la discussione sull’autonomia
della sociologia è stata per lo più indirizzata verso l’Accademia Reale delle
Scienze Morali e Politiche, a Napoli nel 1905. Si trattava dell’ampliamento di
un precedente dibattito sulla “questione sociale” promosso da Pareto e Croce,
tra il 1900 e il 1901, su quattro numeri del Giornale degli Economisti.
Alla fine degli incontri napoletani, si decise di non chiedere le cattedre di sociologia
nelle università. Nondimeno lo stesso Pareto più tardi, nel 1916, pubblicò il
suo Trattato di sociologia generale, ribadendo così il ruolo primario della sua
disciplina scientifica.
Roberto
Cipriani Emerito dell’Università Roma Tre
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