La Grande guerra 1914-18
segna il declino della centralità geopolitica delle vecchie potenze europee.
Esattamente cento anni fa (singolare anniversario mentre incomincia Oltreoceano
una presidenza neo-isolazionista), nell’aprile 1917, gli Stati Uniti d’America
di Woodrow Wilson entravano nel conflitto a fianco dell’Intesa; i Quattordici
punti predisposti l’anno dopo dal Presidente americano costituiranno la base
della definizione degli assetti post-bellici alla conferenza di Versailles, e
da allora non vi saranno più guerre o crisi internazionali nelle quali gli Usa
non faranno avvertire il proprio peso.
Una delle conseguenze più evidenti, in
Europa, del Primo conflitto mondiale, fu la caduta di quattro Imperi, tre
plurisecolari: uno, il secondo Reich tedesco, costituito appena nel 1871. Nel
pieno della guerra, nel 1917, la Russia venne investita dalle due rivoluzioni –
quella democratica di febbraio e quella bolscevica di ottobre – che travolsero
la dinastia dei Romanov; il governo comunista di Vladimir Lenin negoziò
tempestivamente l’uscita dal conflitto (pace di Brest-Litovsk). Effetti
immediati della disfatta militare furono poi, nel novembre 1918, le abdicazioni
imposte ai due Kaiser degli Imperi centrali e il crollo delle monarchie degli
Hohenzollern in Germania e degli Asburgo in Austria e Ungheria.
La sconfitta
portò anche allo smembramento dell’Impero ottomano, alleato militare della
Germania, da parte delle potenze occidentali (in particolare la Francia e la
Gran Bretagna), che seppero sfruttare le rivolte arabe e definire, sotto la
propria influenza, i nuovi Stati nel Vicino Oriente, e, qualche anno dopo,
1923, all’instaurazione in Turchia della Repubblica di Mustafà Kemal ‘Ataturk’
con l’abolizione prima del sultanato e poi del califfato musulmano. La caduta
dei quattro Imperi non ebbe conseguenze indifferenti per i Paesi interessati e
per l’Europa nel suo complesso. In Russia settant’anni di cupo totalitarismo,
culminato nei decenni staliniani, compromisero (per sempre?) qualunque pur
tenue possibilità di evoluzione politica in senso liberale e democratico.
L’Austria fu ridotta a una repubblica mitteleuropea di scarsissima rilevanza
continentale e internazionale, prima di essere brutalmente annessa dalla
Germania di Hitler nel 1938; l’Ungheria, dopo un breve e confuso esperimento
‘sovietico’, divenne una singolare monarchia reggenziale dell’ammiraglio Horthy
(che si era opposto ai tentativi di Carlo d’Asburgo di conservare o
riconquistare almeno la corona magiara), prima di finire invasa dalla Germania
nazista e infine asservita all’Urss nel dopoguerra.
La Germania di Guglielmo II
era assurta a simbolo del militarismo, il Kaiser non nutriva propensioni
liberali e tuttavia si trattava pur sempre di una monarchia costituzionale, con
un Parlamento bicamerale e un’opposizione ammessa, quella dei socialdemocratici
e, in parte, del Zentrum di ispirazione cattolica. È innegabile che dopo la
parentesi democratica e repubblicana della Costituzione di Weimar, alcuni
Hohenzollern di spicco, a cominciare dal principe ereditario, abbiano
apertamente simpatizzato e perfino aderito per un certo tempo al
nazionalsocialismo hitleriano. Ma non è meno vero che Hitler abbia ‘strappato’
il testamento del maresciallo Hindenburg che avrebbe voluto, alla sua morte,
una restaurazione monarchica e non l’accentramento nel Fuehrer anche dei poteri
di capo dello Stato.
Hitler avvertiva l’istituto monarchico come un limite
insopportabile al proprio regime totalitario e criticava Mussolini per averlo
invece conservato in Italia. Quanto alla Turchia, essa subì una netta
trasformazione: da Impero plurinazionale e plurireligioso divenne una
repubblica euroasiatica la cui ideologia “si basava sull’affermazione di una
radicale rottura con il passato” ottomano (Surajva Faroqhi) in direzione del
laicismo, del nazionalismo, dell’industrializzazione e di una assimilazione
autoritaria dei modelli occidentali, influendo anche su Paesi vicini (come la
Persia divenuta Iran). Dopo la morte di Kemal e la democratizzazione avviata
dal suo successore Ismet Inonu, la Turchia moderna ha conosciuto un crescente
consolidarsi del potere dei militari tradotto nei colpi di Stato del 1960 e del
1980. Fino a quando l’affermazione del partito islamico e l’avvento
dell’attuale presidente e ‘uomo forte’ Recep T.Erdogan non ha fatto riemergere
le ambizioni e la prospettiva di un nuovo e inedito sultanato repubblicano. I
cui interessi mediorientali convergono (per ora) con quelli della Russia di
Putin.
Gianpiero Goffi Giornalista, “La Provincia”, Cremona
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