Il futuro Giovanni XXIII in divisa da Cappellano Militare con i fratelli Zaverio e Giuseppe |
I parroci, anzi, in alcuni casi come in Veneto dopo la rotta
di Caporetto, si trovarono a dover svolgere, grazie alla loro autorità morale,
un ruolo di supplenza rispetto alle stesse autorità militari e amministrative,
per mantenere l'ordine e garantire un minimo di assistenza in quel frangente
così drammatico. I sacerdoti, come i cappellani militari, erano poi gli
inevitabili intermediari, visto il diffuso analfabetismo, tra i soldati al
fronte e le loro famiglie per la stesura della corrispondenza e questo
consentiva loro di stabilire rapporti personali significativi anche con i più tiepidi
verso la fede e l'organizzazione ecclesiastica. Si può pertanto notare che
questa presenza attiva sul territorio da parte di tanti rappresentanti della
Chiesa contribuì a porre le premesse dei successo politico e sindacale che
negli anni successivi alla guerra il cattolicesimo sociale saprà conseguire.
Le cerimonie commemorative, le preghiere e le celebrazioni
di suffragio per i militari defunti, l'apposizione di lapidi e la costruzione
di monumenti spesso ospitati in edifici di culto e in luoghi sacri, concorsero
a istituire in ogni più riposto angolo dei Paese una specie di culto dei Caduti
per la Patria
che diffuse il concetto stesso di patria nelle campagne, con la mediazione
fattiva della Chiesa, sicché messaggio religioso e messaggio patriottico, come
osserva M. Isnenghi, risultarono inestricabilmente connessi. Tale aura sacrale
e patriottica fu ulteriormente consolidata nel 1921 dal trasferimento a Roma e
dalla tumulazione solenne delle spoglie dei Milite Ignoto nel cosiddetto Altare
della Patria, nel cuore dei Monumento a Vittorio Emanuele II.
Tutto ciò, insieme con il comportamento dei cattolici e dei
loro sacerdoti sui campi di battaglia «offrì l'occasione di colmare una volta
per tutte la frattura fra i cattolici stessi e la Nazione , (7) e contribuì a
ridurre la distanza tra stato e Chiesa e a porre le premesse per il superamento
e, successivamente, la risoluzione della Questione Romana.
L’Italia, come del resto la Francia , benché la
popolazione cattolica fosse in assoluta maggioranza, era guidata da una
minoranza anticlericale che non consentiva al clero l'esenzione dal servizio
militare. Venticinquemila furono pertanto i sacerdoti arruolati, anche se a
molti di loro fu di fatto concessa l'opportunità di servire nella Sanità senza
dover impugnare le armi. Il generale Raffaele Cadorna, su suggerimento dei
beato Pirro Scavizzi, volle che tra loro venisse scelto un corpo di duemila e
quattrocento cappellani militari guidati da un vescovo detto “ordinario
castrense", ristabilendo così un istituto abolito nel secolo precedente.
Non pochi tra i preti-soldato vennero decorati al valor
militare, tra di essi il famoso don Giovanni Minzoni, anni dopo vittima di un
agguato squadrista, decorato anche di una medaglia d'argento. E non pochi
combattenti cattolici di quella guerra, anche laici, sono stati in seguito
elevati dalla Chiesa agli onori degli altari. San Riccardo Pampuri, col grado
di tenente, meritò una medaglia per un'azione eroica durante la disastrosa
ritirata di Caporetto.
Anche Padre Pio, che non aveva ancora le stimmate, fu arruolato sebbene fosse già frate; ma era talmente malato che, alla visita, il medico militare lo definì un «morto ambulante». Date le sue condizioni lo misero a fare l'infermiere, ma presto dovettero rassegnarsi: lo rimandarono in convento.
Anche Padre Pio, che non aveva ancora le stimmate, fu arruolato sebbene fosse già frate; ma era talmente malato che, alla visita, il medico militare lo definì un «morto ambulante». Date le sue condizioni lo misero a fare l'infermiere, ma presto dovettero rassegnarsi: lo rimandarono in convento.
San Pio da Pietrelcina in divisa |
Due Servi di Dio, il barnabita Giovanni Semeria e Agostino
Gemelli, che allora era ancora laico, promossero la consacrazione dei soldati
al Sacro Cuore. Il padre Semeria fondò poi l'Opera Nazionale per il Mezzogiorno
d'Italia a favore degli orfani dei caduti. Adempiva così a una promessa che
aveva fatto anche lui a molti soldati moribondi. Amava inoltre dire: «Si può
essere buoni cattolici essendo buoni italiani».
In guerra militò anche san Giovanni XXIII, che fu prima
sergente di fanteria e poi cappellano nell'ospedale militare di Bergamo. Così
annotò nel suo diario: «Di tutto sono grato al Signore, ma particolarmente Lo
ringrazio perché a vent'anni ha voluto che facessi il mio bravo servizio
militare e poi durante tutta la
Prima Guerra Mondiale lo rinnovassi da sergente e da
cappellano».
Una pagina oscura e poco conosciuta della Grande Guerra,
secondo Marco Roncalli, fu scritta dallo stato - o, per meglio dire, dal
Comando Supremo - che, nonostante la sostanziale lealtà dei cattolici nei suoi
confronti, ritenne di dover avviare alla deportazione, al confino,
all'internamento migliaia di sacerdoti, di fedeli militanti e di qualche
vescovo delle diocesi vicine al fronte, sospettati, talora a ragione, più
spesso a torto, di essere austriacanti, pacifisti e, dopo Caporetto,
disfattisti. Furono cacciati dalle loro sedi ed esiliati in varie province dei
Regno, applicando nei loro confronti provvedimenti rapidi e molto spesso privi
di reali motivazioni. Né valevano proteste, pressioni della Santa Sede,
interpellanze parlamentari, l'intervento dello stesso ministro della Giustizia
e deli Culto, Orlando, che raccomandava una maggiore cautela nei confronti dei
clero. I provvedimenti presi in forza dei Codice Militare di guerra non
ammettevano diritto alla difesa né, finita la guerra, diritto a revisioni,
riabilitazioni e indennizzi.
Si accennava al fatto che papa Benedetto XV avesse auspicato
e si fosse speso in favore della neutralità dell'Italia.
Il papa, che era salito al soglio pontificio il 3 settembre
dei 1914, era stato scelto dai cardinali, probabilmente, per le sue doti di
diplomatico oltre che di pastore, assolutamente necessarie nel corso di una
guerra, lui che aveva collaborato in qualità di Sostituto della Segreteria di
Stato con fini diplomatici quali i cardinali Rampolla dei Tindaro e Merry del
Val.
Il nuovo papa sentiva che erano ormai maturi i tempi per
avviare contatti riservati con il Regno d'Italia per risolvere la Questione Romana.
Si era inoltre reso conto che era venuto il momento di consentire a don Luigi
Sturzo di fondare, nel 1919, un partito aconfessionale, anche se di ispirazione
cristiana, che fosse lo strumento della presenza politica organizzata dei
cattolici italiani, quello che prenderà il nome di Partito Popolare.
Durante il suo pontificato, Benedetto XV indirizzò tutte le
sue energie per contrastare il conflitto e promuovere la pace. Iniziò subito
con l'Esortazione Ubi Primum, dell'8 settembre 1914, in cui «constatando che
tanta parte dell'Europa, devastata dal ferro e dal fuoco, rosseggia dei sangue
dei cristiani», pregava e scongiurava «vivamente coloro che reggono le sorti
dei popoli a deporre tutti i loro dissidi nell'interesse della società umana».
I suoi appelli ai governanti si fecero sempre più insistenti
e argomentati nel descrivere gli orrori della guerra, a tal punto che non
mancarono vescovi appartenenti a entrambi i fronti che ne contestassero i
frequenti interventi con l'accusa di demoralizzare i combattenti dei proprio
paese. Lui che aveva espresso il suo disappunto per la “benedizione delle
bandiere" dovette subire durissime proteste e censure dei governi che lo
accusavano di disfattismo e frequenti insulti da parte di quella stampa che
invece era indirizzata ad alimentare nell'opinione pubblica lo spirito
guerriero. Il suo magistero contribuì così in modo significativo
all'elaborazione del pensiero sociale cristiano sulla pace e sulla guerra.
Il papa pose la
Chiesa in una posizione di assoluta neutralità rispetto ai
belligeranti, rifiutando di entrare nella logica della ricerca delle
responsabilità per il deflagrare dei conflitto, ricerca che lo avrebbe esposto
all'accusa di parzialità. Egli si sentiva padre di tutti i combattenti e
soprattutto dei cattolici, considerando in loro «non gli interessi speciali che
li dividono, ma il comune vincolo della fede che li affratella»(8).
Infatti, la guerra, ben lungi dal costituire una scuola di
eroismo e un'occasione di selezione dei migliori come voleva la propaganda
bellicista e nazionalista, appariva ai suoi occhi solo come una calamità, un
tremendo fantasma, un'orrenda carneficina, un suicidio dell'Europa civile, un
immane flagello, un'inutile strage (9). Sarà proprio grazie a quest'ultima
definizione della guerra, che gli costerà non poche incomprensioni, che iI papa
passerà al la storia come difensore della pace (10).
Purtroppo, «il suo tentativo di mediazione posto in atto con
la Nota
diplomatica dei 1 agosto 1917, concordata con il nuovo imperatore d'Austria-Ungheria,
il futuro Beato Carlo d'Asburgo, in cui oltre all'appello motivato alla pace,
Benedetto XV formulava anche concrete proposte operative in vista di un nuovo
ordine europeo, non ebbe esito positivo a causa delle aspettative di vittoria
da parte dei belligeranti di entrambi i fronti e in particolare della freddezza
e dell'indifferenza del presidente americano Woodrow Wilson.
Il papa dovette così limitarsi prima, nel corso del
conflitto, a dispiegare tra le popolazioni l'azione caritativa della Santa Sede
per alleviarne le sofferenze provocate dalla guerra, poi, a conclusione delle
ostilità, a fare appello alle potenze vincitrici perché non trattassero con
eccessiva durezza i vinti, pena il creare le condizioni di un successivo
conflitto. Cosa che purtroppo accadde con la pace di Versailles che, umiliando la Germania , minò la neonata
democrazia della Repubblica di Vieimar»(11), aprendo così la strada al ritorno
di quel nazionalismo esasperato di cui fu tragico interprete Adolf Hitler.
Rev. Maurizio Ormas
Docente incaricato di Magistero Sociale,
Pontificia
Università Lateranense - Roma
(7) N. Elias, Humana Conditio, Il Mulino, Bologna, 1987.
(8) G. Bouthoul, Le Guerre: elementi di polemologia: metodi,
teorie e opinioni sulla i guerra, morfologia, elementi tecnici, demografici,
economici, psicologici, periodicità delle guerre, Longanesi, Milano, 1982, p.
43.
(9) G. Bouthoul, L'uomo che uccide, Longanesi, Milano. 1969.
(8) Allocuzione del 22 gennaio 1915.
(9) Le definizioni sono tratte, rispettivamente, da:
Esortazione dell'8 settembre 1914; Enc. Ad beatissimi n. 5; Lettera al card.
Vannutelli del 25 maggio 1915; Lettera al card. Pompilij del 4 marzo 1916;
Discorso al collegio cardinalizio dei Natale 1918; Nota del 1 agosto 1917.
(10) L'espressione del papa, evidentemente male
interpretata, suscita più proteste che consensi. Mentre i pangermanisti la
ritengono uno strumento diretto a strappare la vittoria dalle mani degi'Imperi
centrali ormai lanciatissimi, in Italia e in Francia c'è chi la giudica
addirittura al servizio della Germania e dei suoi alleati, tanto che Georges
Clemenceau definisce Benedetto XV il «Pape boche (il papa crucco)». In Germania
venne definito invece «il papa francese (der franzosische Papst)» e in Italia,
addirittura, «Maledetto XV». Cfr. G. F. POLLARD, Una «inutile strage».
Benedetto XV e la Prima
guerra mondiale, in «Concilium», 3/2014, p. 170.
(11) M. ORMAS, Umanesimo cristiano e modernità, op. cit.,
pp. 38-39.
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