domenica 15 gennaio 2017

La Strafexpedition ed il contesto internazionale

La Strafexpedition -Offensiva di primavera (Fruhjahrsoffensive) nella storiografia di lingua tedesca -si snoda su uno sfondo internazionale mutevole e ricco di complessità. Al suo inizio, alla metà dei maggio 1916, la situazione su tutti i fronti sembrava essere tornata a un sostanziale stallo. A occidente, la spallata tedesca nel settore di Verdun, stava inchiodando sul terreno quantità crescenti di uomini e mezzi. Più a nord, dopo le sanguinose sconfitte dei mesi precedenti, le forze britanniche erano passate a una postura più apertamente difensiva, in attesa dell'entrata in linea dei reparti della nuova “Kitchener's Army” e di accumulare le risorse necessarie a lanciare quella che sarebbe stata l'offensiva della Somme (10 luglio-18 novembre 1916). Anche sul fronte orientale dopo il successo delle offensive austro-tedesche dell'inverno 1915, la situazione pareva essersi stabilizzata. L’azione russa nel settore di Vilnius (offensiva di Naroch, marzo 1916) aveva rappresentato, infatti, solo un sanguinoso alleggerimento della posizione francese, costato all'esercito imperiale una cifra compresa fra i 70.000 e i 100.000 morti.

La situazione, tuttavia, era assai meno semplice di quanto non apparisse. Cambiamenti al vertice avevano interessato molti dei belligeranti. In Germania Erich von Falkenhayn aveva sostituito Helmuth von Moltke alla guida dello Stato Maggiore imperiale già nel settembre 1914. Alla fine del 1915, sir Douglas Haig, aveva sostituto sir John French alla guida della British Expeditionary Force, (B.E.F) dopo le pesanti sconfitte subite a Neuve Chapelle (10-13 marzo), Yipres (22 aprile-25 maggio), nell'Artois (9 maggio-4 giugno) e a Loos (25 settembre-19 ottobre). Nello stesso periodo, in Russia, le sconfitte dell'estate 1915 avevano portato lo zar Nicola II ad assumere direttamente la guida del Comando Supremo (Stavka) al posto del Granduca Nicola, che aveva assunto l'incarico allo scoppio delle ostilità. In Francia, infine, nonostante il 'ricompattamento nazionale' seguito ai successi della Marna e dell'Aisne, l'offensiva tedesca a Verdun aveva innescato un processo di messa in discussione dei ruolo fin lì rivestito dal generale Joseph Joffre.

Dietro all'apparente stasi dei fronte, tutti i belligeranti si stavano, quindi, preparando in vista di quella che- negli auspici - sarebbe stata l’offensiva decisiva; un'offensiva che avrebbe dovuto iniziare nella primavera 1916. Su tale sfondo, Verdun interviene a sparigliare molte attese. Nelle prime fasi della battaglia, l'attacco dei III, VII e XVIII corpo tedesco finisce per risucchiare in teatro un numero crescente di forze francesi, imponendo una revisione delle priorità degli alti comandi. Un aspetto più noto di questo processo è forse l'avvio anticipato dall'offensiva della Somme e il suo ridimensionamento a causa della sopravvenuta impossibilità dell'esercito francese a sostenere il grosso dello sforzo. Gli effetti, tuttavia, si sentono anche sul fronte italiano. Le necessità della campagna di Verdun spingono, infatti, i vertici dei Grosse Generalstab a rifiutare il sostegno più volte richiesto dal feldmaresciallo Conrad per lanciare la sua offensiva primaverile sulle Alpi, che finirà così per imperniarsi sulla sola azione dei trecento battaglioni dell'11° e della 3° armata austro-ungariche.

Da questo punto di vista, la Strafexpedition rappresenta uno dei tanti punti di crisi nelle relazioni militari austro-tedesche; un punto di crisi che sarà superato davvero solo alla fine dell'anno successivo, quando il contributo tedesco si dimostrerà fondamentale nel tentativo di sfondamento fra Plezzo e Tolmino poi sfociato nella crisi di Caporetto. In tale occasione, non solo i reparti tedeschi avrebbero svolto un ruolo centrale nello sfondamento e nello sfruttamento del successo iniziale, ma, più in generale, tutto il corpo di tattiche e conoscenze travasato dall'esercito tedesco in quello austro-ungarico si sarebbe dimostrato importante, soprattutto di fronte a un nemico che sembrava faticare ad apprendere le lezioni dell'infiltrazione e della difesa in profondità. Nella primavera del 1916, tuttavia, il mancato sostegno tedesco si traduce - per Conrad - nella necessità di disimpegnare dal fronte orientale - senza possibilità di rimpiazzarle - parte delle forze da schierare nel settore dei Trentino; un fatto, questo, che avrebbe finito per favorire la penetrazione russa in Galizia nel corso dell'offensiva Brusilov.

Comunque, già prima dell'avvio dell'offensiva Brusilov (4 giugno) la spinta dei reparti austro-ungarici si era esaurita, da un lato a causa della penuria di materiali, dall'altro delle difficoltà logistiche, in parte derivanti dalla rapida avanzata precedente. Se, entro la fine di giugno, il fronte poteva considerarsi, dunque, consolidato lungo la linea Coni Zugna - Pasubio - Monte Majo - Vai Posina - Monte Cimone - Vai d'Astico - Vai d'Assa - Monte Mosciagh - Monte Zebio - Colombara - Ortigara, i successi di Conrad sugli Altipiani avevano fatto assumere alla guerra italiana un'importanza nuova agli occhi degli alleati.


La caduta dei governo Salandra e la formazione dell'esecutivo di unità nazionale retto dal settantottenne Paolo Boselli (18 giugno) avevano, infatti, posto in luce, ancor più che la presunta fragilità militare dei Paese, la sua effettiva fragilità politica. Una fragilità i cui effetti rischiavano di riverberarsi sullo sforzo bellico di tutta l'intesa, in un contesto nel quale il coordinamento che si stava faticosamente cercando di realizzare fra le parti era espressione della crescente integrazione esistente fra i vari fronti.

Da questo punto di vista, il grumo di eventi che caratterizza la primavera/estate del 1916 rappresenta un passaggio-chiave nella trasformazione di quella che era cominciata come l'ultimo prodotto delle 'guerre di Cancelleria' ottocentesche in qualcosa di radicalmente diverso. L’allargamento del confronto a nuovi attori e nuovi teatri, l'accresciuta interdipendenza strategica, il rafforzamento delle relazioni economiche e commerciali all'interno dell'intesa e il progressivo emergere dalla natura 'totale' del confronto in atto sono alcuni elementi che caratterizzano questa evoluzione. Non è, dunque, senza significato che, proprio alla fine dei 1916, la richiesta statunitense ai belligeranti perché rendessero noti i propri 'scopi di guerra' (19 dicembre) e la risposta dei governi dell'intesa (riassunta, il 10 gennaio 1917, nel telegramma dell'ambasciatore di Washington a Parigi) si impongano come un punto di svolta nel processo di radicalizzazione dello scontro e di elaborazione dei mito della 'guerra per porre fine a tutte le guerre' destinato a culminare, due anni e mezzo dopo, nell'insostenibile 'diktat' di Versailies.


Gianfuca Pastori Università Cattolica

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