La Strafexpedition -Offensiva di
primavera (Fruhjahrsoffensive) nella storiografia di lingua tedesca -si snoda su
uno sfondo internazionale mutevole e ricco di complessità. Al suo inizio, alla
metà dei maggio 1916, la situazione su tutti i fronti sembrava essere tornata a
un sostanziale stallo. A occidente, la spallata tedesca nel settore di Verdun,
stava inchiodando sul terreno quantità crescenti di uomini e mezzi. Più a nord,
dopo le sanguinose sconfitte dei mesi precedenti, le forze britanniche erano
passate a una postura più apertamente difensiva, in attesa dell'entrata in
linea dei reparti della nuova “Kitchener's Army” e di accumulare le risorse
necessarie a lanciare quella che sarebbe stata l'offensiva della Somme (10
luglio-18 novembre 1916). Anche sul fronte orientale dopo il successo delle
offensive austro-tedesche dell'inverno 1915, la situazione pareva essersi
stabilizzata. L’azione russa nel settore di Vilnius (offensiva di Naroch, marzo
1916) aveva rappresentato, infatti, solo un sanguinoso alleggerimento della
posizione francese, costato all'esercito imperiale una cifra compresa fra i
70.000 e i 100.000 morti.
La situazione, tuttavia, era assai
meno semplice di quanto non apparisse. Cambiamenti al vertice avevano
interessato molti dei belligeranti. In Germania Erich von Falkenhayn aveva
sostituito Helmuth von Moltke alla guida dello Stato Maggiore imperiale già nel
settembre 1914. Alla fine del 1915, sir Douglas Haig, aveva sostituto sir John
French alla guida della British Expeditionary Force, (B.E.F) dopo le pesanti
sconfitte subite a Neuve Chapelle (10-13 marzo), Yipres (22 aprile-25 maggio),
nell'Artois (9 maggio-4 giugno) e a Loos (25 settembre-19 ottobre). Nello
stesso periodo, in Russia, le sconfitte dell'estate 1915 avevano portato lo zar
Nicola II ad assumere direttamente la guida del Comando Supremo (Stavka) al
posto del Granduca Nicola, che aveva assunto l'incarico allo scoppio delle
ostilità. In Francia, infine, nonostante il 'ricompattamento nazionale' seguito
ai successi della Marna e dell'Aisne, l'offensiva tedesca a Verdun aveva
innescato un processo di messa in discussione dei ruolo fin lì rivestito dal
generale Joseph Joffre.
Dietro all'apparente stasi dei
fronte, tutti i belligeranti si stavano, quindi, preparando in vista di quella
che- negli auspici - sarebbe stata l’offensiva decisiva; un'offensiva che
avrebbe dovuto iniziare nella primavera 1916. Su tale sfondo, Verdun interviene
a sparigliare molte attese. Nelle prime fasi della battaglia, l'attacco dei
III, VII e XVIII corpo tedesco finisce per risucchiare in teatro un numero
crescente di forze francesi, imponendo una revisione delle priorità degli alti
comandi. Un aspetto più noto di questo processo è forse l'avvio anticipato dall'offensiva
della Somme e il suo ridimensionamento a causa della sopravvenuta impossibilità
dell'esercito francese a sostenere il grosso dello sforzo. Gli effetti,
tuttavia, si sentono anche sul fronte italiano. Le necessità della campagna di
Verdun spingono, infatti, i vertici dei Grosse Generalstab a rifiutare il
sostegno più volte richiesto dal feldmaresciallo Conrad per lanciare la sua
offensiva primaverile sulle Alpi, che finirà così per imperniarsi sulla sola
azione dei trecento battaglioni dell'11° e della 3° armata austro-ungariche.
Da questo punto di vista, la
Strafexpedition rappresenta uno dei tanti punti di crisi nelle relazioni
militari austro-tedesche; un punto di crisi che sarà superato davvero solo alla
fine dell'anno successivo, quando il contributo tedesco si dimostrerà fondamentale
nel tentativo di sfondamento fra Plezzo e Tolmino poi sfociato nella crisi di
Caporetto. In tale occasione, non solo i reparti tedeschi avrebbero svolto un
ruolo centrale nello sfondamento e nello sfruttamento del successo iniziale,
ma, più in generale, tutto il corpo di tattiche e conoscenze travasato
dall'esercito tedesco in quello austro-ungarico si sarebbe dimostrato
importante, soprattutto di fronte a un nemico che sembrava faticare ad
apprendere le lezioni dell'infiltrazione e della difesa in profondità. Nella
primavera del 1916, tuttavia, il mancato sostegno tedesco si traduce - per Conrad
- nella necessità di disimpegnare dal fronte orientale - senza possibilità di
rimpiazzarle - parte delle forze da schierare nel settore dei Trentino; un fatto,
questo, che avrebbe finito per favorire la penetrazione russa in Galizia nel
corso dell'offensiva Brusilov.
Comunque, già prima dell'avvio
dell'offensiva Brusilov (4 giugno) la spinta dei reparti austro-ungarici si era
esaurita, da un lato a causa della penuria di materiali, dall'altro delle
difficoltà logistiche, in parte derivanti dalla rapida avanzata precedente. Se,
entro la fine di giugno, il fronte poteva considerarsi, dunque, consolidato
lungo la linea Coni Zugna - Pasubio - Monte Majo - Vai Posina - Monte Cimone -
Vai d'Astico - Vai d'Assa - Monte Mosciagh - Monte Zebio - Colombara -
Ortigara, i successi di Conrad sugli Altipiani avevano fatto assumere alla
guerra italiana un'importanza nuova agli occhi degli alleati.
La caduta dei governo Salandra e la
formazione dell'esecutivo di unità nazionale retto dal settantottenne Paolo
Boselli (18 giugno) avevano, infatti, posto in luce, ancor più che la presunta
fragilità militare dei Paese, la sua effettiva fragilità politica. Una
fragilità i cui effetti rischiavano di riverberarsi sullo sforzo bellico di
tutta l'intesa, in un contesto nel quale il coordinamento che si stava
faticosamente cercando di realizzare fra le parti era espressione della
crescente integrazione esistente fra i vari fronti.
Da questo punto di vista, il grumo
di eventi che caratterizza la primavera/estate del 1916 rappresenta un
passaggio-chiave nella trasformazione di quella che era cominciata come
l'ultimo prodotto delle 'guerre di Cancelleria' ottocentesche in qualcosa di
radicalmente diverso. L’allargamento del confronto a nuovi attori e nuovi
teatri, l'accresciuta interdipendenza strategica, il rafforzamento delle
relazioni economiche e commerciali all'interno dell'intesa e il progressivo
emergere dalla natura 'totale' del confronto in atto sono alcuni elementi che
caratterizzano questa evoluzione. Non è, dunque, senza significato che, proprio
alla fine dei 1916, la richiesta statunitense ai belligeranti perché rendessero
noti i propri 'scopi di guerra' (19 dicembre) e la risposta dei governi
dell'intesa (riassunta, il 10 gennaio 1917, nel telegramma dell'ambasciatore di
Washington a Parigi) si impongano come un punto di svolta nel processo di
radicalizzazione dello scontro e di elaborazione dei mito della 'guerra per
porre fine a tutte le guerre' destinato a culminare, due anni e mezzo dopo,
nell'insostenibile 'diktat' di Versailies.
Gianfuca Pastori Università
Cattolica
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