“La rivoluzione fascista si
fermò davanti a un trono”
B. Mussolini
1918
L’Italia
è compiuta
20 novembre 1918. Ore 14.
Camera dei Deputati. Vittorio Emanuele Orlando, presidente della Camera: “Onorevoli
colleghi! L’Italia è compiuta… Le nostre istituzioni, essenzialmente
democratiche, consentono ogni sviluppo e ogni trasformazione. L’Italia, che si
fece pari a sé stessa nella guerra, saprà sorpassare sé stessa nella pace”(1)
Riprende la vita parlamentare,
ma il Direttore del Corriere della Sera, Luigi Albertini, senatore e membro del
Fascio parlamentare di difesa nazionale, raggruppamento patriottico di partiti
durante la guerra, il 21 novembre scrive: “I fasci devono ora rappresentare la
fine dei vecchi partiti”.
1919
23 marzo.
Milano, Piazza San Sepolcro 9. Mussolini convoca il Fascio Milanese di
combattimento.
24 marzo. Viene
organizzata l’“adunata” nella quale Mussolini getta le basi dell’attacco allo
Stato liberale.
19 giugno. La
Camera mette in minoranza il Governo con 259 voti contrari e 78 favorevoli.
Orlando si dimette.
Il Re.
Vittorio Emanuele III, incaricando Nitti, sventa il tentativo di risolvere in
modo extraparlamentare la crisi di governo. Documenta Roberto Vivarelli: Sul
fermo atteggiamento del Re, deciso allora a difendere i diritti del parlamento,
v. sia la lettera di Colosimo a Orlando, il 9 giugno (sulla quale giustamente
ha richiamato l’attenzione A.C. Jemolo, «No» di Vittorio Emanuele sulla
Conciliazione nel 1919, in «La Stampa», 10 gennaio 1967), ove si legge: «Egli
[il Re] ha dichiarato che bisogna difendere il parlamento, e che i propositi
attribuiti a Giardino sarebbero intesi alla menomazione dei diritti e della
funzione del parlamento. È pronto a prendere il fucile per difendere le
prerogative parlamentari». Sia le testimonianze di Caviglia, op cit. p.64, al quale
in quei mesi il Re ebbe a dire che per difendere il parlamento era disposto a
«scendere in piazza col fucile in mano»; di G. Giurati, Con D’Annunzio e Millo
in difesa dell’Adriatico, Firenze, Sansoni, 1954, p. 3, che invano nei giorni
della crisi tentò di farsi ricevere dal Re per combattere la candidatura di
Nitti”.(2) (Vivarelli, nota 19, p.497)
9 agosto. Nitti
propone il sistema elettorale proporzionale. La Camera approva: 231 favorevoli,
83 contrari; Senato: 70 sì, 9 no.(3) (G. Candeloro, p. 284)
Fine del clientelismo.
9 ottobre.
Firenze. Primo Congresso nazionale fascista.
16 novembre. Elezioni
politiche. La lista fascista totalizza 4.064 voti. Nessun eletto,
nemmeno Mussolini. (Storia del Fascismo, pag. 94)
Il
parlamento presidio di ogni libertà
1 dicembre 1919. Discorso
della Corona Il Re chiude l’anno traendo, dagli avvenimenti, una sintesi della
vita sociale dell’immediato dopoguerra. Questi i passaggi più significativi: “La
XXV Legislatura ha dinanzi a sé un vasto compito, quale forse niuna altra ebbe
fino ad ora. Il Parlamento, presidio di ogni libertà, difesa e garanzia di
tutte le istituzioni democratiche, deve essere oggi più che mai circondato
dalla fiducia del Paese. Espressione libera di volontà popolare, nell’arduo
lavoro cui si accinge, il Parlamento deve mantenere le sue alte e nobili
tradizioni e contare sulla simpatia di tutta la Nazione, sulla collaborazione
di tutte le energie popolari …. Il nostro Paese raggiunge con la guerra quei
confini che la natura gli diede. … Politica estera e politica interna non
furono mai sino ad oggi in così stretta connessione: l’Italia desidera
considerare con la più viva simpatia l’ascensione delle classi popolari. Mentre
questo movimento dovrà determinare all’interno un intenso programma di
produzione e di lavoro e un senso più profondo di cooperazione sociale, dovrà
determinare all’estero un’azione sempre più democratica di cooperazione fra i
popoli. …”. (4)
1920
Anno degli scioperi
Rincrudisce la crisi
economica, si moltiplicano i tumulti per il pane.
11 maggio. Nitti
è battuto. Posta nuovamente la fiducia, ottiene 193 voti contrari e 112
favorevoli. Presenta al Re le dimissioni. (G. Candeloro, p. 314)
13 maggio, giovedì.
Colloquio informale tra Vittorio Emanuele III e Filippo Meda, cospicuo
esponente del Partito Popolare Italiano.
14 maggio, venerdì, ore 9,30. Il
primo rifiuto. Il Re non perde la speranza e, questa volta, in maniera netta,
invita Filippo Meda a costituire il nuovo ministero. Scrive Meda in un appunto:
“Colloquio di venti minuti, molto cordiale. Il Re mi disse che poiché quasi
tutti i consultati gli hanno espresso l’avviso che la crisi, essendo stata
determinata dal gruppo popolare, a questo doveva spettare la precedenza nel
risolverla, egli mi offriva l’incarico di comporre il Gabinetto … Risposi che …
a parte l’esattezza del giudizio sulle responsabilità del PPI nella crisi,
questo non credeva di dover accettare di comporre un governo con a capo uno dei
suoi …”(5) (De Rosa, vol. II, p. 98) Non basta. Dopo il primo colloquio con il
Re, Meda aveva scritto alla moglie: “Io non accetterò. Ho delle buone ragioni.
E cioè: io non ho voluto la crisi (e non votai infatti) io sono ancora iscritto
al Partito popolare italiano, e questo ha deciso di non assumere il governo, ma
soltanto di collaborarvi …” (De Rosa, cit. p. 99)
21 maggio. Il Re incarica Nitti
per la terza volta.
9 giugno. Nitti
ritira il decreto che cancella il prezzo politico del pane e si dimette. 11
giugno. Quinto governo Giolitti.
15 giugno. Il
nuovo governo entra in carica.
9 luglio.
Giolitti ottiene la fiducia: Camera 265 sì, 146 no; Senato 169 sì, ovvero
unanimità. (G. Candeloro, cit. pag. 323) 1921 I Congressi 15 gennaio 1921.
Livorno, Teatro Goldoni. Congresso del Partito Socialista Italiano. È il più
importante dei congressi, ne nasce il Partito Comunista d’Italia, sezione
dell’Internazionale comunista.
Monarchia
o Repubblica?
7 aprile.
Giolitti scioglie la Camera.
15 maggio.
Elezioni politiche. Viene eletto Mussolini con altri 34 esponenti fascisti.
21 maggio. Il Giornale d’Italia,
prima pagina. Mussolini dichiara: «Il Fascismo non ha pregiudiziali monarchiche
o repubblicane ma è tendenzialmente repubblicano, in ciò differendosi
nettamente dai nazionalisti che sono pregiudizialmente e semplicemente
monarchici. Il gruppo fascista si asterrà ufficialmente dal prendere parte alla
seduta reale [n.d.r. seduta inaugurale della legislatura dell’11 giugno, con un
discorso del Re]». (6) (G.A. Chiurco, p. 299) Chiurco è il più attendibile
storico di parte fascista.
11
GIUGNO 1921 SEDUTA REALE
Discorso della Corona Secondo
la prassi costituzionale, il Re inaugura la nuova legislatura con un discorso
che sintetizza la vita della Nazione. Punto nodale: “… perché quest’opera di
riassestamento proceda nella concordia delle classi sociali, occorrerà che il
Parlamento rivolga l’attività propria all’ordinato ascendere delle classi
lavoratrici così delle officine come dei campi. Non vi può essere democrazia
nello Stato se non vi è altrettanta democrazia nella vita economica del Paese.
Sarà vanto di questa Assemblea, che trae la sua origine e la sua autorità dal
suffragio universale, rafforzare gli istituti cooperativi per suscitare nuove
forme di lavoro associato, consentire alle classi operaie di abilitarsi
gradualmente al difficile governo dell’attività economica, rinsaldare il sentimento
della previdenza e gli enti che la amministrano, disciplinare le rappresentanze
delle classi per chiamarle ad indicare la soluzione dei grandi problemi del
lavoro, e tutto ciò con uno spirito di perfetta uguaglianza rispetto a tutte le
organizzazioni e a tutte le loro tendenze. L’ingresso di nuovi elementi nella
vita politica ed economica della Nazione non può scompagnarsi da una più
diffusa e più alta coltura. L’educazione intellettuale e morale del popolo è la
virtù che preserva le democrazie dal cadere negli errori delle demagogie. Giova
quindi che la scuola abbia le cure assidue, armoniose, infaticabili del Governo
e del Parlamento, e giova altresì che, in questo campo della coltura, lo Stato,
pur con le cautele necessarie, consenta la maggiore libertà a tutte le
iniziative volonterose interpreti di tutte le correnti della coscienza
nazionale…”(7)
27 giugno. Il
quinto governo Giolitti cade. Aveva chiesto i pieni poteri per riformare la
burocrazia. 30 giugno. Il governo Giolitti si dimette. 1 luglio. Il governo
tiene la sua ultima seduta.(8) Durata della seduta 15 minuti. (Giolitti,
Memorie …, p. 615) Vittorio Emanuele III Il governo Bonomi. Chi dopo Giolitti?
Secondo Vittorio Emanuele III, Giolitti stesso, ma questi rifiuta. È il secondo
dei gran rifiuti che condurranno Mussolini al governo. Giolitti consiglia al Re
due nomi; Enrico De Nicola, appena rieletto Presidente della Camera con 348
voti su 479 e Ivanoe Bonomi, Ministro della Guerra con Nitti e del Tesoro con
Giolitti, interventista democratico nella Grande Guerra. (G. Candeloro, cit. p.
371) 4 luglio. Il Sovrano incarica Bonomi, che accetta.
20-25 ottobre.
Venezia. Terzo congresso del Partito Popolare Italiano.
7-11 novembre. Roma.
Teatro Augusteo, Terzo congresso del Movimento Fascista. 9 novembre. Per
votazione, a maggioranza, il movimento diventa il Partito Nazionale Fascista.
Ancora Monarchia o Repubblica. Nel suo discorso Mussolini, dichiara: “Oggi un
movimento repubblicano sarebbe destinato a un insuccesso” (Mussolini, Scritti e
discorsi, pag. 203) 1922 Mussolini: “Il Monarca non aveva simpatia per noi”(9)
La crisi del governo Bonomi scaturisce da interessi economici e finanziari. La
liquidazione della Banca Italiana di Sconto - B.I.S. scontentò tutti:
nazionalisti, parte della Destra e democratici. (Per la B.I.S cfr. anche De
Rosa, p. 189-190. Per la scomparsa del Pontefice vedi Storia del Fascismo, p.
194)(10) La lunga e non ponderata crisi extraparlamentare.
1 febbraio.
Sessanta deputati democratici, su 150, indicono un’assemblea, si riuniscono e
votano la sfiducia al Governo: 55 sì, 3 contrari e 2 astenuti. Bonomi potrebbe
non dimettersi perché la sfiducia non è del Parlamento, ma l’affare interno di
una parte politica; vale a dire un semplice parere. (G. Candeloro, cit. p. 384)
Bonomi però non aveva margini di manovra per ricostruire una maggioranza: non
sul P.S.I., non sul poco convinto appoggio dei giolittiani, non sul P.P.I., che
aveva deciso, nel recente congresso, di Venezia di non entrare al Governo con
la Destra. (cfr. De Rosa, cit. p. 187 e segg.)
2 febbraio.
Bonomi si dimette. Ecco il tormentato evolversi della crisi. Nuovi rifiuti al
Re: reiterati e irresponsabili I fatti Il Re incarica De Nicola. Il gruppo
parlamentare della Democrazia rifiuta di sostenere De Nicola, per non approvare
il disegno di legge Corbino, (De Rosa, p. 198) che accoglieva la proposta del
P.P.I. di istituire commissioni d’esame statali anche negli Istituti privati,
nella quasi totalità cattolici, allora come oggi. Non solo, ma i Democratici
non vollero che i Popolari mantenessero uno o due dei ministeri: Giustizia,
Agricoltura, Lavori Pubblici, Istruzione. (*cfr. anche Corriere della Sera, 8
febbraio 1922; cit. in De Rosa, p. 198) Il Re incarica Orlando. Questi pretende
mano libera nella scelta dei ministri sul programma e sull’inclusione dei
fascisti in un nuovo Ministero di coalizione. Assurdo.
5-17 febbraio. Il Re
invita Bonomi a sollecitare la Camera ad un confronto. Dopo tre giorni di
dibattito la sfiducia è confermata: 127 sì, nittiani, popolari e socialriformisti;
295 no, vale a dire tutti gli altri gruppi. (* G. Candeloro, cit. p. 387 e De
Rosa, cit. p. 199) Il Re chiama Giolitti. Questi propone a Orlando e De Nicola
di formare un Ministero, una specie di triumvirato, del quale Egli sarebbe il
primus inter partes. Rifiutano. I Popolari contrari. Stando all’interpretazione
dello storico G. Candeloro, l’eventuale governo, secondo Giolitti, avrebbe
dovuto sciogliere le Camere e tornare al voto con il sistema uninominale,
invece di quello proporzionale, approvato nel 1919 da una Camera “in
prorogatio” e che quindi non aveva il potere di cambiare la legge elettorale.
(G. Candeloro, p. 387. Questa notizia è data anche da Marcello Soleri, Memorie,
Einaudi, Torino 1949, p. 129, Nota 47. p. 487) De Nicola e Orlando tentano una
seconda volta, ma falliscono anche questa volta per l’opposizione dei
giolittiani. Un dispetto? (* De Rosa, p. 199; G. Candeloro, p. 388) Il Re
chiama Filippo Meda. Questi rifiuta. “… Perché non volle formare un governo che
avrebbe assunto un carattere spiccatamente antigiolittiano: l’autorevole
popolare lombardo non condivideva infatti l’ostilità per Giolitti di Sturzo e
di altri uomini del suo partito”. (G. Candeloro, p. 387) 25 febbraio. Il Re
incarica Luigi Facta, giolittiano di poca fama e minore autonomia. Questi
accetta per l’accordo raggiunto tra popolari e democratici. Sturzo rimane
contrario. (G. Candeloro, p. 388). Scrive De Rosa: “Certo la peggiore
situazione – scrisse Sturzo – fu quella di Facta, imposta dal rifiuto di De
Nicola e di Orlando, e caldeggiata come ripiego dai giolittiani, e accettata
per stanchezza da Cavazzoni e De Gasperi, pur con il dissenso di altri
dirigenti del partito, che anche questa volta (e forse fu un errore) non
vollero aprire il conflitto tra gruppo parlamentare e direzione del partito”.
(* De Rosa, p. 200 e Nota n. 20, Luigi Sturzo, Popolarismo e Fascismo, p.
50-51) Penetrante Missiroli su ciò che aveva preceduto l’incarico a Facta:
“Indubbiamente l’on. Giolitti non poteva in alcun modo contare su di una maggioranza
parlamentare … L’incarico all’on. Facta, luogotenente di Giolitti, fu un
accorto ripiego, che valse a rimpicciolire al minimo la vera portata della
lotta, a ricondurla in fretta e furia ai suoi termini incidentali: al duello
tra Giolitti e don Sturzo. Il quale, tenuti fermi i suoi tre punti, indicò tre
ministri giolittiani: Fu ironico e cavalleresco …” (Missiroli, La disfatta di
Giolitti, Articolo del 28 febbraio 1922, in Una battaglia perduta, Ed.
Corbaccio della Società Editrice Dall’Oglio & Banfo, Milano 1924, pp.
233-234) Mussolini: “La rivoluzione fascista si fermò davanti a un trono” (* B.
Mussolini, Il tempo del bastone e della carota-Storia di un anno, ottobre
’42-settembre ’43, Suppl. del Corriere della Sera n. 190, del 9-8-1944- XXII. p.
42) Facta inizia subito le consultazioni. Durano quasi un mese. Nella
rabberciata situazione politica furono determinanti i rancori e le gelosie tra
uomini politici, che, pur di gran nome, dimostrarono grettezza politica.
18 marzo. Il
Presidente incaricato presenta alla Camera il nuovo governo. La Camera approva:
275 favorevoli e 89 contrari, comunisti e socialisti: favorevoli anche i
fascisti. Tra i ministri lo stesso Facta (presidenza e interno); Carlo Schanzer
(esteri); Giovanni Amendola (colonie) …” (G. Candeloro, p. 389)
Il Re
aveva visto lontano.
Il Sovrano non solo aveva
difeso le prerogative del Parlamento, ma presenta l’Italia con un governo
legittimo alla Conferenza Internazionale della Pace: Genova, 10 aprile -18
maggio. Considerazione. Mussolini ha capito: i veti incrociati, le gelosie, le
meschinità, le clientele che paralizzano il Parlamento gli apriranno la strada
del potere. Infatti, già durante l‘estremo tentativo di Bonomi, ovvero del Re,
di formare un nuovo governo Mussolini aveva minacciato: “Combinate o non
combinate il Ministero, fatelo o non fatelo di sinistra; questo, però, sia
chiaro, ad evitare un pericoloso salto nel buio: che non si va contro il
fascismo e che non si schiaccia il fascismo”. (cfr. De Rosa, cit. p. 199) Vale
a dire: inscenate il vostro teatrino, io punto sull’azione, sulla violenza. I
maggiorenti della politica finsero di non capire. L’ostacolo vero da rimuovere
è uno solo: il Re, ovvero la Monarchia. Infatti, anni dopo, Mussolini scriverà
amaramente: “La rivoluzione fascista si fermò davanti a un trono”. Solo nella
Corona il popolo si riconosceva. Vittorio Emanuele III in silenzio aveva impresso
alla crisi la linea che l’avrebbe risolta. Tumulti: scioperi e crumiri. Mentre
a Palazzo si perdevano quasi due mesi preziosi, nel Paese riprendevano i
conflitti. Piero Gobetti
28 maggio.
GOBETTI, uomo liberale e libero “Io non riesco ad immaginarmi Mussolini
altrimenti che sotto le spoglie del più audace e torbido condottiero di
compagnie di ventura; o talora meglio come il capo primitivo di una selvaggia
banda posseduta da un dogmatico terrore che non consente riflessioni. La sua
più caratteristica figura si riassume in un anacronismo. Gli manca il senso
squisitamente moderno dell’ironia, non arriva alla comprensione della storia se
non per miti, gli sfugge la finezza critica dell’attività creativa che è dote
centrale del grande politico”.(11) (P. Gobetti, p. 56)
Luglio-Agosto.
L’ultimo sciopero. I Capi socialisti di maggior spicco come Turati, Treves,
Nenni e Modigliani non tendevano alla rivoluzione, ma al riformismo. I
bolscevichi assesteranno un forte colpo al moderatismo. Risultato: la paralisi
del movimento socialista e le incertezze del P.S.I. alla Camera. Chabod: “Così
agendo non si fa una vera rivoluzione e, al tempo stesso non si va al governo.
I socialisti non si risolvono a conquistare il potere con la forza e non
vogliono nemmeno dividerlo con i «borghesi»”. (F. Chabod, cit. p.47-48) 2
agosto. Mussolini scrive su Il Popolo d’Italia: “… È bestiale. È cretino. È
idiota, superlativamente idiota. Lo sciopero odierno non ha senso …” (in Storia
del Fascismo, cit. p. 201)
3 agosto.
Milano. I fascisti occupano il Municipio.
4 agosto. È
data alle fiamme la sede de l’Avanti! (su entrambi i gravi fatti si
leggano, in Storia del Fascismo, cit., Chiurco, pag 206; Nenni, p 210) Facta
inetto 19 luglio. Il deputato del P.P.I., Longinotti, presenta la mozione di
sfiducia al Governo. La Camera approva: 288 sì: popolari, socialisti,
comunisti, repubblicani, nittiani, demoliberali, demosocialisti e fascisti; 103
no: nazionalisti, liberali di destra, agrari e giolittiani.(G. Candeloro, p.
392)
Lo stesso giorno Mussolini
pronuncia un significativo discorso:“… In questa Camera di equivoci, a mio
avviso ce ne sono quattro: l’equivoco collaborazionista, l’equivoco popolare,
l’equivoco Facta e l’equivoco fascista … Io scommetto che il primo ad essere
sorpreso di diventare Presidente del Consiglio, siete stato precisamente voi”.
[Rivolto a Facta] Avviandosi alla conclusione afferma: “Ma, se per avventura,
da questa crisi che è ormai in atto, dovesse uscire un Governo di violenta
reazione antifascista, prendete atto onorevoli colleghi, che noi reagiremo con
la massima energia e con la massima inflessibilità. Noi alla reazione
risponderemo insorgendo”. (Mussolini, Scritti e Discorsi …, pp. 300- 304)
20 luglio. Facta
si dimette. Finisce così il primo esperimento Facta. Vittorio Emanuele III
incarica Orlando, che accetta. Propone un Ministero di unità nazionale, dalle
destre ai socialisti; favorevole Mussolini, ma il P.P.I. rifiuta di governare
con le ali estreme del Parlamento. Orlando ritenta: un governo dai social
riformisti ai liberali di Salandra: costoro rifiutano “per non separarsi dai
fascisti”. (Catalano p. 394), mentre don Sturzo respinge la Destra.
Irresponsabili. 24 luglio. Orlando rinuncia.
24 luglio. Il Re
non si rassegna. Su indicazione di Orlando, richiama Bonomi che tenta un
governo di centrosinistra con Turati favorevole, ma non riesce, complice anche
Giolitti. Le resistenze ossificate dei socialisti alla collaborazione con i
moderati, erano ancora troppo forti ed andavano in direzione opposta a quella
del Re.
Il Re 25 luglio, sera.
A nome del Re, il Prefetto di Milano invita l’on. Filippo Meda al Quirinale. Il
Sovrano non si arrende nemmeno a quest’ultimo insuccesso, pur di non sciogliere
le Camere.
26 luglio.
Giolitti da Vichy. Fa pubblicare al quotidiano La Tribuna, diretto da Olindo
Malagodi, una lettera nella quale afferma tra l’altro: “Stamane Facta e Soleri
mi annunziarono per telegrafo le dimissioni del Ministero, chiedendomi se
venivo a Roma. Ho risposto di no …” (G. Candeloro, op cit. p. 394)
27 luglio. Il Re
riceve Meda: gli propone di formare il Ministero. Così lo stesso Uomo politico
descrive l’incontro ed il proprio rifiuto: “Il re, molto cordiale mi dice che
egli avrebbe dovuto chiamarmi per il primo, come esponente del numero più
numeroso costituzionale. Ma ebbe la designazione di Orlando, unanime. Poi,
Orlando, rinunciando, designò Bonomi. Ora si rivolge a me offrendomi
l’incarico. Risposta: cha a prescindere dalle ragioni politiche, esiste per me
la pregiudiziale di non assumere pubblici uffici incompatibili con l’esercizio
della professione. Il re disse non solo di capirla e di apprezzarla, ma di
considerarla onorifica per me. Poi la conversazione si è svolta cordialmente
sulla situazione sugli uomini, sui gruppi: ho trovato il re consenziente su tutti
i punti toccati, compresa la collaborazione socialista e sul carattere
personalistico e localistico della deputazione dei gruppi meridionali, che sono
il vero ostacolo al funzionamento del regime parlamentare. Dissi che, se non ci
fosse stata ostilità fascista, crederei l’ora di Nitti. Espressi il voto che si
incarichi De Nava e l’augurio che riesca. Il re dichiarò di essere lieto che il
nome fosse indicato anche da me”. (De Rosa, cit. pp. 266-267) Questa iniziativa
del Sovrano è di grande rilevanza politica, perché smentisce ogni supposta
chiusura del Capo dello Stato verso le forze cattoliche, peraltro osteggiate
miopemente ed egoisticamente da Giolitti. A questo passo del Re gli storici non
danno risalto: Meda rifiuta, adducendo motivi professionali; ma suggerisce De
Nava, capo della Democrazia liberale, sonniniano.
27-28 luglio. De
Nava riesce a convincere i popolari a votare – pur a malincuore – un governo di
destra, aspramente giudicato da De Gasperi. (De Rosa, p. 267-268 e Nota 56) A
questo punto De Nava corre a Fiuggi e chiede aiuto ad Orlando, che torna a Roma
per tentare egli stesso di ricostituire il Governo. Turati al Quirinale 29
luglio. Colpo di scena. Il Re riceve Turati al Quirinale; è la decisione del Re
più dirompente della chiamata di Meda. Spiazza tutti. Il Re offre ai
socialisti, su un piatto d’argento, l’irripetibile occasione di isolare i
fascisti e Mussolini: il pregiudizio ideologico vince ancora. Nuovo rifiuto.
(cfr. G. Candeloro, pp. 395-397)
Domenica 30 luglio. Sera.
Vittorio Emanuele risolve: reincarica Facta su consiglio di De Nicola. (G.
Candeloro, p. 395) Il Sovrano rompe gli indugi: il Paese non può più aspettare
i veri e propri comodi dei politici. (De Rosa p. 274) 31 luglio. Facta accetta
e inizia le consultazioni; opera questo rimpasto: Taddei è Ministro degli
Interni, al posto di Facta che conserva solo la Presidenza, Giuseppe Paratore
al Tesoro al posto di Peano, Marcello Soleri alla Guerra al posto di Lanza di
Scalea, Giulio Alessio alla Giustizia al posto di Luigi Rossi, Vito Luciani
alle Terre Liberate al posto di Maggiorino Ferraris; lasciò tutti gli altri
ministri ai loro posti. (cfr. G. Candeloro, p. 395-396) La Camera approva e
chiude per le ferie estive. Quale presidio delle libertà non riaprirà più; ne
diventerà il simulacro. Mario Missiroli coglie le potenzialità del gesto reale:
“Meglio tardi che mai. Con l’andata di Turati al Quirinale e con la votazione
dell’ordine del giorno Modigliani il partito socialista entra definitivamente
nella legalità e assume i caratteri di un vero e proprio partito di governo. …
Che cosa avranno detto il Re e Turati? Da Turati, che ho incontrato mentre
usciva dal Quirinale, non ho potuto sapere nulla; ma so che il Sovrano, poche
ore dopo il colloquio, si è espresso in termini molto cordiali con chi gli
chiedeva le sue impressioni su il leader socialista: «Che galantuomo!
Finalmente un uomo che, quando parla guarda negli occhi!» In realtà Turati ha
fatto sempre una politica monarchica e il Re una politica riformista. Perché
non avrebbero dovuto capirsi? Io immagino che la novità fu nel vedersi, non nel
parlarsi”.(12) (M. Missiroli, cit. pp.285-291)) “San Giolitti” venerato da
Turati e da Bissolati, in una caricatura apparsa nel 1911 sul “Due di coppe”.
Anche De Rosa riconosce la grande importanza della decisione del Re: “Il re non
attese nemmeno che Orlando terminasse il suo mandato, che sperimentasse tutte
le vie per formare il Ministero di pacificazione.
Il 30 luglio
chiamò l’on. Facta a Villa Savoia e il giorno dopo il «Nutro fiducia …, l’uomo
dell’equidistanza tra aggredito e aggressore» … (De Rosa, cit. pp. 274-275)
L’Alleanza del Lavoro il 29 aveva deliberato lo “sciopero legalitario” con
inizio l’1 agosto, ma ‘Il Lavoro’ di Genova, forse per errore ne diede notizia
il 30 luglio. (G. Candeloro, p. 395) È il momento peggiore per esercitare il
diritto di sciopero. 5 agosto. Genova. Scontri tra i ‘camali’ ed i fascisti al
porto. 10 agosto. (* Il 9 secondo Salvatorelli e Mira, I volume, p. 227; il 10
secondo G. Candeloro, p. 399) Facta si ripresenta alla Camera. Il dibattito non
è brillante. L’on. demoliberale Cocco-Ortu presenta – come prassi – l’ordine
del giorno di fiducia alla Camera. È approvato.
10 agosto. Il
secondo governo Facta. Nasce questo Governo nella convinzione della provvisorietà.
Unico punto di riferimento sicuro è il Re, cioè la Monarchia. Mussolini sa che
questo è il vero scoglio che non può superare; tenterà di aggirarlo giocando la
carta del Duca d’Aosta e della Regina Madre. Infatti, come riferisce Federico
Chabod, Mussolini dichiara in più occasioni: “Se il re non vuole aiutarci,
continueremo benissimo senza di lui e con la monarchia; estrometteremo Vittorio
Emanuele III dal Quirinale e metteremo al suo posto il duca d’Aosta”(13)
(Chabod, p. 73) Fallirà. (cfr. anche Salvatorelli-Mira, p. 231) 11 agosto.
Mussolini può annunciare un grande “concentramento” a Napoli. Volpe insiste:
“esiste già e volteggia per l’aria una parola: «marcia su Roma»”.(14) (G.Volpe,
Enciclopedia Italiana …, p. 864). Avvoltoi della democrazia. Sono gli unici? 13
agosto. La Camera chiude, non così il P.N.F. Infatti, nello stesso giorno a
Milano si riunisce il Consiglio Nazionale del P.N.F. e decide di chiedere lo
scioglimento della Camera. Vale la pena considerare che “Il senatore Albertini,
direttore del “Corriere della Sera”, parlando in Senato il 15 agosto, si era
dichiarato favorevole alla partecipazione dei fascisti al governo …”
(Salvatorelli-Mira, op cit. pp. 229 e 230) Sintesi e cronaca Fallito, a luglio,
il tentativo di costituire un governo antifascista (G. Candeloro, p. 396) i
partiti sono confusi. 24 agosto. Si impone il problema della Monarchia.
Missiroli scrive, in questa stessa data, un importante articolo cogliendo
l’occasione datagli da un gruppo di ufficiali che aveva scritto una lettera
al‘Giornale d’Italia’: “Noi … siamo simpatizzanti per i fascisti … [ma
aggiungono] il nostro giuramento di fedeltà non può essere intaccato. Se i
fascisti fossero e si mettessero contro la Corona il nostro comando sarebbe
fuoco fermo …”. (Missiroli, Una battaglia perduta, pp. 307-308) Mussolini,
monarchico fraudolento 20 settembre. Discorso di Udine. Mussolini gioca la
carta della fedeltà alla Monarchia. Riportiamo alcuni passaggi del discorso: “…
Il nostro programma è semplice: vogliamo governare l’Italia. Ci si dice:
«Programmi?». Ma di programmi ce ne sono anche troppi …” (p. 315) “… Quella
famosa tendenzialità repubblicana doveva essere una specie di tentativo di
riparazione di molti elementi che erano venuti a noi soltanto perché avevamo
vinto. Questi elementi non ci piacciono. Questa gente che segue sempre il carro
del trionfatore e che è disposta a mutare bandiera se muta la fortuna, è gente
che il Fascismo deve tenere in grande sospetto e sotto la più severa
sorveglianza. È possibile – ecco il quesito – una profonda trasformazione del
nostro regime politico senza toccare l’Istituto monarchico? È possibile, cioè,
di rinnovare l’Italia non mettendo in giuoco la monarchia? … Ora io penso che
si possa rinnovare profondamente il regime, lasciando da parte la istituzione
monarchica. … Bisogna avere il coraggio di essere monarchici. Perché noi siamo
repubblicani? In certo senso perché vediamo un monarca non sufficientemente
monarca. La monarchia rappresenterebbe, dunque, la comunità storica della Nazione.
Un compito bellissimo, un compito di una importanza storica
incalcolabile…”.(15) (Scritti e Discorsi di Benito Mussolini, pp. 317-320)
Mussolini si chiede: “Perché noi siamo repubblicani? In certo senso perché
vediamo un monarca non sufficientemente monarca”. Voleva un sovrano col
manganello?
Amendola 1 ottobre. Sala
Consilina. Discorso. Una voce si leva chiara a difesa del Mezzogiorno, della
Monarchia e della Democrazia. Dell’impegnativo discorso possiamo riportare, per
brevità un passaggio: “… Ora l’anima del Mezzogiorno, che è, come dicevo,
istintivamente ed entusiasticamente unitaria, si esprime attraverso un credo
politico che consta di due articoli fondamentali: Monarchia e Democrazia.
Monarchia: nella quale si riassume la salda tradizione statale delle terre
meridionali, … Monarchia senza condizioni: … Democrazia: è cioè fede profonda
ed insopprimibile nel popolo e nella sua capacità creatrice, risanatrice ed
elevatrice;…”. (G. Amendola, In difesa dell’Italia liberale, Ed. speciale per
il Corriere della Sera 2011, pp.51-52) 1-4 ottobre. Congresso socialista.
Un’altra occasione persa. Questa volta il socialismo italiano perde l’ultima
occasione per contrastare validamente il fascismo. Sintesi: il P.S.I dopo il
XIX congresso di Roma si divide in due tronconi con conseguenze gravissime per
lo scenario politico del momento. Nasce il Partito socialista unitario italiano
(P.S.U.I.), segretario, Giacomo Matteotti. Vi aderiscono 61 deputati tra i
quali Claudio Treves, dirige ‘La Giustizia’, organo del loro partito che aderì
all’Unione Socialista Internazionale di Vienna. (cfr. G. Candeloro, cit. p.
401) 4 ottobre. Milano. Re troppo democratico. Ancora? Mussolini tiene un
discorso al gruppo “Sciesa”, egli incalza i politici: “… Alla Nazione deve
darsi lo Stato. E lo Stato non c’è. …” (Musssolini, Scritti e Discorsi, p. 329)
“… I cittadini si domandano: «Quale Stato finirà per dettare la sua legge agli
italiani?» Noi non abbiamo nessun dubbio a rispondere: «Lo Stato fascista!»
(Mussolini, cit. p. 331) Segue l’attacco al Re: “Dal Re, troppo democratico,
all’ultimo funzionario, noi abbiamo subìto le conseguenze di questa concezione
falsa della vita …”. (Mussolini, cit. p. 335)
5 ottobre. Sul
quotidiano La Provincia di Como. Prezzolini indica tre incognite del fascismo:
– il sindacalismo, che porta un grave colpo al socialismo; – il comportamento
che terrà verso la Monarchia; – quale sarà la politica estera di Mussolini. “…
La seconda incognita è quella che riguarda la Monarchia. Dalla netta formula
della tendenzialità repubblicana, si è passati, nel discorso di Udine di
Mussolini, alla Monarchia purché fascista. Molti conservatori pensano che la
Monarchia è una di quelle istituzioni che si può accettare o non accettare, ma
con la quale non è possibile fare le cose a mezzo. Anche in una concezione
moderna della Monarchia, essa comporta un minimo di lealismo e di misticismo
monarchico, che non può andare d’accordo con un qualsiasi condizionamento,
fosse anche il meglio intenzionato a favore e per il bene della Monarchia.
Inoltre la richiesta di una Monarchia più monarchica, cioè più imperiosa e
fastosa (niente Re in grigio verde alle cerimonie) non sembra andare troppo
d’accordo con il sentimento del nostro popolo che ama la semplicità e la
maniera democratica del nostro Sovrano. Non so se sia un saggio consiglio al
Monarca quello di imitare un pochetto Guglielmo”. (G. Prezzolini, Sul fascismo,
Pan Editrice, Milano 1976, cit. p. 39)
6 ottobre. La
Confederazione (C.G.d.L.) denuncia l’alleanza con il P.S.I. (G. Candeloro, p.
401). Un regalo per Mussolini. 8-10 ottobre. Bologna. Congresso Liberale.
Fallimento. 8 ottobre. Amendola scrive su Il Mondo: “… I fascisti vogliono le
elezioni a dicembre. «O a dicembre le farà il Governo, o le farà il fascismo»
…”. (Amendola, In difesa dell’Italia liberale, cit. pp. 60-61) Per difendersi
da eventuali assalti dei rivoluzionari i delegati si riuniscono protetti dalle
Camicie Nere e azzurre; i nazionalisti e, nuove di zecca, dalle Camicie Kaki.
Chi sono? Più che un congresso sembra una sfilata di moda maschile. (cfr.
Salvatorelli-Mira, op cit. p. 591 e Nota n. 230) Si scontrano la destra
salandriana e la sinistra giolittiana. Non viene messo in votazione l’ordine
del giorno dell’on. Egidio Fazio, giolittiano: «Il congresso delle forze
liberali democratiche, riunito a Bologna, delibera la formazione del partito
liberale democratico, intendendo con questa denominazione un partito nazionale
unitario sulle linee storiche dell’idea liberale a larghe concezioni moderne,
ferme restando le sane tendenze democratiche che formano la base di grande
parte delle organizzazioni locali». (Salvatorelli-Mira, cit. vol. I, Nota 230,
p. 591) È una tautologia, perché l’idea e il concetto di democrazia sono insiti
nel liberalismo. Passa, invece, l’o.d.g. Alberto Giovannini: “Il Congresso
riafferma l’unione delle forze liberali e democratiche sui principi enunciati
dal proemio programmatico e dichiara costituito il partito liberale”.
(Salvatorelli-Mira, Storia dell’Italia nel …, vol. I, Nota 230, p. 591) Sarà …
Oltre non si va. Giolitti non partecipa e non si espone. Aspetta sornione.
Lusignoli, Mussolini, Giolitti e le elezioni Il Prefetto, Senatore Lusignoli è
l’emissario di Giolitti. (v. Salvatorelli-Mira, pp. 230-232). Nelle pagine da
286 a 291 il De Rosa, nella sua citata opera, raccoglie osservazioni sue
proprie e la corrispondenza tra Lusignoli e Facta, nelle quali il tema
dichiarato è il passaggio dal secondo ministero Facta ad un ministero Giolitti,
che comprenda anche Mussolini ed alcuni ministri fascisti. Particolarmente
significativa è la breve lettera che Lusignoli scrive a Camillo Corradini,
fedelissimo di Giolitti, già sottosegretario agli Interni e direttore
dell’Istruzione primaria e popolare nella quale si distinse per lungimiranza. 3
ottobre. Il Prefetto Lusignoli scrive Corradini, segretario di Giolitti: “Mio
carissimo Corradini – egli scrive – credo bene informarti di un altro colloquio
che ho avuto con l’ing. Omodeo, il quale ha anche parlato con Carnazza.
L’Omodeo che è perfettamente del nostro avviso, influirà su Turati nel senso
che il nuovo Ministero non potrà prescindere dai fascisti, ed i socialisti
dovranno fiancheggiarlo, accentuando la loro differenza dai massimalisti.
Venerdì scorso sono andato a Cavour e ho lungamente parlato con Giolitti, che
senza dirmelo (naturalmente!) mi ha fatto l’impressione di essere prontissimo.
Molti sono stati gli argomenti toccati, relativi ai fascisti, ed ha anche a me
espresso l’opinione che tu mi manifesti”. (De Rosa, p. 286) I funamboli della
politica giocano sulle teste di Facta e del Sovrano, per ritagliarsi un posto
nel futuro governo, come che sia.
7 ottobre. Facta
invia il seguente telegramma a Vittorio Emanuele, a Racconigi: “Consiglio
Ministri durato fino a tarda ora ieri rinviato seduta stamattina. Conclusione
lunga discussione fu che è da escludersi crisi extra parlamentare secondo
sentimenti da me manifestati Vostra Maestà. Situazione quindi continuerà salvo
vedere quali provvedimenti potranno manifestarsi opportuni. Conferito con loro
eccellenze Diaz e Badoglio che assicurano che esercito malgrado innegabili
simpatie verso fascisti faranno loro dovere difendere Roma. Intanto fascisti
hanno rinunziato loro intenzione fare concentramento fascista Roma giorno
ventidue. Per riunione Napoli giorno ventiquattro prenderemo tutte precauzioni.
Come riassunto confermo che si allestisce con ogni diligenza difesa contro
possibili sorprese ma parmi che situazione si presenti meno preoccupante.
Ossequi devotissimi”.(16) (Giulia Albanese, La marcia su Roma, p. 77) - ACS, TUC,
1922, Partenze, 6-18 ottobre, telegramma del presidente del Consiglio a
Vittorio Emanuele III, 7 ottobre 1922, h. 18. (G. Albanese, op cit., Nota n.
74, p. 234) Della Marcia su Roma: “Opera buffa” Salvemini definisce “Opera
buffa” la marcia su Roma: “Non si può definire «rivoluzione», la marcia su
Roma, senza assolvere dalle loro responsabilità i militari e lo stesso Re per
la «mancata fedeltà» allo Statuto; conferendo a Mussolini una corona di
«conquistatore rivoluzionario».”(17) (Salvemini, in Giovanni Artieri, Cronaca
del Regno d’Italia, p. 283)
13-14 agosto.
Milano. Comitato Centrale del P.N.F. Dalla riunione era nata l’idea di
contrastare la grande manifestazione patriottica, prevista da Facta, per
celebrare la Vittoria; per questo motivo il Comitato decide di anticipare
l’azione. Osserva Giulia Albanese: “… Non stupisce quindi che Mussolini
scegliesse di non aspettare il 4 novembre per far marciare le squadre …”. (cfr.
Albanese, op cit. pp. 65-66 più Nota 29 a p. 229) 16 ottobre. Milano. [secondo
Volpe il 18 ottobre, p.866 – Secondo Salvatorelli-Mira, il 16 ottobre, p. 233]
Mussolini in via San Marco a Milano riunisce Balbo, Bianchi, De Bono, De Vecchi
e altri, che definiscono la marcia uno strumento per costringere Facta a
dimettersi. Si sceglie Perugia come sede dei Quadrunviri, prima e durante la
marcia su Roma; ciò è confermato nel successivo incontro del 18 ottobre a
Bordighera. (cfr. G. Candeloro, cit. p. 407) Intanto: “Consensi e invocazioni
continuavano ad affluire a Giolitti, che non dimostrava impazienza ma piuttosto
una certa passività e quasi noncuranza”. (* Salvatorelli-Mira, cit. p. 234)
Socialisti unitari e sturziani, invitano Giolitti a Roma, ma questi non si
muove da Cavour, dove festeggiava i suoi 80 anni. (vedi Salvatorelli-Mira, vol.
I, pag. 234)
23 ottobre. Roma.
Colloquio Salandra-Mussolini; quest’ultimo dichiarava di non voler entrare in
tale governo, (cfr. G. Candeloro, cit. p. 407) 24 ottobre sera. Napoli. Sala
Maddaloni. Il Consiglio Nazionale del Partito si tenne dopo una grande
manifestazione e sfilata. Si decide il piano. (G. Candeloro, p. 407)
24 ottobre.
Mussolini nel Discorso di Napoli ricorda che, dopo aver chiesto al Governo: “Lo
scioglimento di questa Camera, la riforma elettorale, le elezioni a breve
scadenza … Abbiamo chiesto precisamente il Ministero degli Esteri, quello della
Guerra, quello della Marina, quello del Lavoro e quello dei Lavori Pubblici …
Noi fascisti, non intendiamo andare al potere per la porta di servizio”.
(Mussolini, Scritti e Discorsi … cit. pp. 342-343) Situazione: penosa e
periclitante Mezzanotte tra il 26 e 27 ottobre. Il Quadrunvirato - Balbo, De
Vecchi, Bianchi, De Bono - assume i pieni poteri. A Napoli Bianchi incita:
“Fascisti, a Napoli piove, che ci state a fare?” (Volpe, cit. p. 866 e segg. Anche
Salvatorelli-Mira riporta l’esortazione a p. 235 dell’opera citata) Ancora
Volpe circa la mancata reazione del Regio Esercito: “Ma questi ordini perentori
raramente ci furono. Il senso della tragedia attanagliava gli animi …”. (*
Volpe, cit. p. 866) Retorica. Italo Balbo smentisce il grande successo; nel suo
Diario 1922, p. 199, scrive: “Il congresso resta semideserto”. In Angelo Tasca,
Nascita e avvento del fascismo, vol. II, Ed. Universale Laterza, Bari marzo
1965, p. 448-479.
25 ottobre.
Tornato a Milano, Mussolini fa proporre a Facta di costituire egli stesso un
nuovo Ministero; in tal caso avrebbe chiesto meno portafogli.
(Salvatorelli-Mira, p. 235) Per forza! Facta non era certo un pericolo per i
fascisti! 26 ottobre. Facta telegrafa al Re: “Allo scopo di non dare appiglio a
qualche decisione precipitata … risposi che questa era cosa da esaminarsi
insieme”. (Salvatorelli-Mira, p. 235) Il Re risponde che la proposta poteva
“costituire una opportuna soluzione”. (Salvatorelli-Mira, p. 235) Il Re temporeggia.
Facta non si dimette. Tuttavia, non coglie l’espediente mussoliniano, teso a
logorare il Governo. Il Sovrano, la sera stessa del 26, inviò a Facta un
telegramma che diceva: “Mi sembra che non convenga abbandonare il contatto con
l’on. Mussolini la cui proposta può costituire una opportuna soluzione delle
presenti difficoltà, poiché il solo efficace mezzo di evitare scosse pericolose
è quello di associare il fascismo al governo nelle vie legali”. (G. Candeloro,
cit. p. 409) C’era altro da fare?
26 ottobre.
Mattina. De Vecchi e Ciano si recano da Salandra perché convinca il Re, che era
a San Rossore, a premere su Facta perché si dimetta. (Salvatorelli-Mira, p.
235) Salandra precisa di “non poter comunicare in cifra col Re”, (p. 236) si
reca da Facta e gli riferisce la richiesta; quest’ultimo s’impegna a chiedere
al Re di tornare a Roma subito e non il 6 o 7 novembre, come previsto.
Salandra, prima che con il Re, parla con Lusignoli, per i contatti con
Mussolini a Milano. 26. Pomeriggio. Facta convoca i ministri e propone le
dimissioni dell’intero Gabinetto; costoro prima si oppongono, proprio per
resistere “alla minaccia fascista”, (G. Candeloro, cit. p. 410) ma, alla fine
della discussione, i presenti: Alessi, anche a nome di Taddei, assente,
Bertone, Fulci e Soleri rimettono i rispettivi portafogli: volendo, un rimpasto
sarebbe possibile. 26. Sera. Soleri, Ministro della Guerra, avverte i
Comandi militari di tutta Italia di stare in allerta per i ‘pieni poteri’. (G.
Candeloro, cit. p. 411)
26 ottobre. La
situazione generale adombra una sorta di avvicinamento tra Giolitti e Sturzo,
così registrata da Nino Valeri: “Il 26 ottobre, Corradini telegrafa a Giolitti
– tramite il prefetto di Torino – nell’atto di prevedere una «catastrofe
irreparabile»: «Vidi ieri Senato Santucci e Vicentini. Mi affermarono necessità
tu prenda immediatamente governo. Oggi stessa dichiarazione è venuto farmi
Sturzo» … Sturzo si tiene costantemente fermo alla versione esposta, fin dal
1926, nel suo ricordato libro Italy and Fascismo, dove così riassumeva il senso
del decisivo colloquio, avuto con Corradini, messo di Giolitti, nei primi
giorni dell’ottobre 1922: – È Giolitti disposto a formare il Gabinetto con i
fascisti? – io gli domandai. – Sì – egli disse. – E senza i fascisti? – Io
penso che ciò sia improbabile. – E contro i fascisti? – Ah no! Ciò è
impossibile. – Questa fu la sua risposta. – Allora – io conclusi – Giolitti non
formerà il Ministero». (Valeri, cit. pp. 135-136) 27 ottobre. Ore 0,10. Facta
telegrafa al Re: “A parer mio credo che presenza di V.M. Roma avrebbe grande
pregio di tranquillizzare perché saprebbesi che qualunque possibile crisi
avrebbe subito possibilità di essere avviata soluzione e questo può avvenire da
un momento all’altro”. (G. Candeloro, cit. p. 410) Opportuno notare che il
Presidente, nel telegramma, attenua la gravità della situazione. (cfr. G.
Candeloro, p. 410) Questo comportamento fornisce al Re una visione distorta dei
fatti.
Einaudi 27 ottobre.
Corriere della Sera. Einaudi: La crisi aperta. Tagliente il suo giudizio sul
ministero Facta: “Il ministero Facta è finito. Non vi sono le dimissioni,
perché i ministri hanno creduto di salvar le apparenze limitandosi a mettere i
loro portafogli a disposizione del capo del Governo e a dar così l’illusione
ch’egli abbia piena libertà d’azione per la condotta da tenere; ma il Ministero
è praticamente finito. Di questa obbligata libertà l’on Facta non può usare che
presentando al Re le dimissioni del Ministero. …” (Corriere della Sera
1919-1943, Antologia a cura di Piero Melograni, vol. I, Ed. Cappelli, Rocca San
Casciano maggio 1965, p. 152) Le colonne fasciste cominciano a dirigersi su
Roma. Soleri ordina al gen. Pugliese, comandante la divisione di Roma, di
fermare le colonne e i treni carichi di fascisti. Ciò avviene.: “Le ferrovie
intorno a Roma vennero interrotte e le colonne avanzanti bloccate”.(18)
(Domenico Bartoli, La fine della Monarchia, p. 158) Rinnovata fedeltà al Re e
all’Italia. Oscillazioni Ore 19,00. Il Re arriva a Roma. (Salvatorelli-Mira, p.
238) Ore 20,00. Il Re arriva a Roma. (G. Candeloro, p. 411) Il Re alle 12,15
aveva avvertito Facta della partenza e l’aveva invitato a convocare i politici
da consultare. Il Re, secondo Soleri, dichiara: “La Corona doveva poter
deliberare in piena libertà, e non sotto la pressione dei moschetti fascisti”.
(* M. Soleri, Memorie, p. 150 in G. Candeloro, p. 411)
27. Sera. A
Villa Savoia il Re e Facta concordano la proclamazione dello stato d’assedio.
(Salvatorelli-Mira, cit. p. 238) Lusignoli comunica a Facta che le trattative
con Mussolini sono fallite. Non l’avevano ancora capita? Sulla questione dello
stato d’assedio, dopo cento anni, non sono emersi documenti definitivi e,
secondo G. Candeloro, lo stesso Facta presenta le dimissioni, forse respinte,
né si decide definitivamente sullo stato d’assedio. Facta se ne va a dormire.
(G. Candeloro, p. 412)
Ore 23.00. I
sottosegretari Giuseppe Beneduce e Aldo Rossini lo svegliano. Hanno saputo che
De Vecchi e Grandi stanno raggiungendo Perugia e da qui avrebbero guidato la
marcia. (G. Candeloro, p. 412) Notte tra il 27 e il 28 ottobre. Il Re riceve
Diaz a Villa Savoia per chiedere l’intervento dell’esercito. Diaz risponde:
“L’esercito farà il suo dovere, ma è meglio non metterlo alla prova”. (G.
Artieri, Cronaca del Regno …, cit. p. 272; cfr. anche Salvatorelli-Mira, cit.
p. 593 e Nota n. 240)
28 ottobre.
Ore 5,00. Facta
convoca i ministri, alla riunione partecipano Taddei, Soleri e il gen.
Pugliese. Intanto, il ministro Rossi e l’on. Bevione preparano la bozza del
proclama di stato d’assedio da sottoporre al Re. (G. Candeloro, p. 412)
Ore 5,30.
Inizia la riunione del Consiglio dei Ministri. Rossini e l’on. Bevione
predispongono la bozza del proclama di “stato d’assedio” Ore 6,00. Il Consiglio
dei Ministri delibera lo stato d’assedio. (* il verbale è in Soleri e Repaci,
v. nota n.74 in G. Candeloro, p. 412) Ore 7,50. Prefetti e Comandi militari
sono preinformati. Ore 8,00. Facta lascia il Consiglio e va dal Re per la firma
del decreto. Il Re rifiuta di firmare. (Salvatorelli-Mira, op cit. a p. 238
presenta un’oscillazione di 30 minuti) Ore 8,30. Comincia l’affissione del
decreto, a Roma, firmato solo dai Ministri. E il Re?
Ore 9,00. Facta
ripresenta al Re il decreto. Nuovo rifiuto. (G. Candeloro, p. 413) Il Re
scongiura la guerra civile Molti autori convengono su questo: che il Re abbia
evitato all’Italia spargimenti di sangue. Ad esempio, Franco Catalano scrive:
“Il re rifiutò di firmare lo stato d’assedio e, certo, in quel momento, venuta
a mancare ogni difesa del vecchio Stato liberale, non avrebbe potuto fare
altrimenti. …”(19) (F. Catalano, L’Italia dalla dittatura alla democrazia 1919-1948,
p. 79) Lo Storico, in nota n. 1 nella stessa pagina, asserisce: “… Il Federzoni
ha negato questi contatti con il sovrano, ma una cosa è certa che, come risulta
dall’intercettazione di una sua conversazione telefonica, egli comunicò al
Mussolini, prima che il Facta avesse il colloquio in cui il re gli si mostrò di
parere contrario allo stato d’assedio, che Vittorio Emanuele III non voleva
«versamento di sangue»”. (F. Catalano, cit. p. 79) Il Re rifiutò di firmare
perché il Ministero si era dimesso il giorno prima. “Investe Facta: «Ella che
ha studiato diritto costituzionale dimentica che un governo dimissionario non
ha l’autorità morale per assumere un provvedimento così grave». Il re non tiene
conto che in una simile situazione sarebbe più di buon gusto non accennare al
rispetto della costituzione: proprio nel momento, cioè, sta tradendo lo statuto
e barattando le istituzioni con il piatto di lenticchie della supposta salvezza
dinastica. Ma tant’è, Vittorio Emanuele gioca la sua carta e non ha tempo da perdere.
L’ordine di stato d’assedio va revocato al più presto possibile e deve essere
proprio Facta ad inghiottire il rospo. Lui può sempre dire di non averlo mai
firmato”. (* Silvio Bertoldi, Vittorio Emanuele III, op cit. pp. 303-304).
Libera interpretazione del giornalista? “Un atto imbecille e criminoso” “Il 26
gennaio 1941, parlando con il suo aiutante maggiore, generale Paolo Puntoni,
Vittorio Emanuele confiderà: «Nei momenti difficili tutti sono capaci di
criticare o di soffiare sul fuoco. Pochi o nessuno sono quelli che osano
prendere decisioni nette e assumersi gravi responsabilità. Nel ’22 ho dovuto
chiamare al governo quella gente perché tutti gli altri, chi in un modo chi in
un altro, mi hanno abbandonato. Per 48 ore io in persona ho dovuto dare ordini
direttamente al questore e al comandante del corpo d’armata, perché gli
italiani non si ammazzassero tra loro». (S. Bertoldi, op cit. pp. 305 e segg. –
cfr. anche Paolo Puntoni, Parla Vittorio Emanuele III, Ed. Il Mulini, Bologna
1993, p. 37) Sullo stesso punto così il Cognasso: “Il re, dopo aver chiuso
anche questa crisi di governo come tante ne aveva chiuse nei vent’anni diceva
al Solaro del Borgo che gli pareva di essere uscito da un lungo incubo. Con
soddisfazione constatava che tutti gli uomini politici eminenti – Salandra,
Orlando, Giolitti – e gli uomini migliori della nazione erano lieti. Migliaia
di telegrammi da tutta l’Italia gli erano giunti per protestare la loro
approvazione. «Ho molto pensato, ma anche il mio avo avrebbe fatto così. Io ho
rifiutato due volte di sancire quell’atto imbecille e criminoso dello stato
d’assedio, steso solo per salvare appena dieci poltrone governative». Con la
soluzione Mussolini il re pensava di essere rimasto nel quadro costituzionale:
niente demagogia, niente dittatura. «Ho inghiottito tutto, capisce Schanzer, in
quello sciaguratissimo tempo [Nitti-Facta], sempre per non venire alla
sciabola. Io per primo non ci credo: i generali sono un salto nel buio»”. (20)
(Francesco Cognasso, I Savoia, Ed. Dall’Oglio,Varese 18 ottobre 1971, p. 938)
Il ministro Soleri ricorda così l’episodio della revoca dello stato d’assedio:
“Immediata e precisa mia impressione, dovuta anche all’imbarazzo di Facta, fu
che fosse stato egli stesso a mostrarsi esitante nell’opportunità di quel
provvedimento, e a sconsigliare il re dall’adottarlo; altrimenti il sovrano
l’avrebbe sicuramente firmato, perché conforme alle sue disposizioni d’animo
manifestate poco prima. L’on. Facta, oltre ad avere la preoccupazione di
evitare un cruento conflitto armato, conservava la speranza di una soluzione di
compromesso e di un rimpasto di un suo ministero coll’inclusione dei fascisti”.
(Valeri, cit. p. 130) Si noti pure che lo stesso 28 ottobre Giolitti venne
invitato dal Re a presentarsi a Roma, ma l’Uomo di Dronero non si mosse da
Cavour; ufficialmente per “interruzione delle linee ferroviarie per Roma”.
(Valeri, cit. p. 130) Telegramma del Re a Giolitti: TELEGRAMMA DI FACTA
Mittente: Facta, Roma Destinatario: S. E. Cav. Giolitti, Cavour (Piemonte) Data:
28-10-1922 Testo: Sua Maestà il Re mi ha dato l’incarico di pregarti venire
subito a Roma desiderando conferire. Stop Saluti Facta Ore 11,30. Facta torna
dal Re e ripropone il provvedimento. Secondo rifiuto. Facta replica: “«Maestà
sono d’accordo con tutti i ministri, abbiamo impartito l’ordine per la
promulgazione». E il Re: «Hanno fatto molto male … Quest’approvazione non la
do». Facta: «Ma come faccio a ritirare il decreto?» A questo punto, secondo
Gatti, Vittorio Emanuele III non si tenne dal cedere al suo ben noto gusto
dell’aneddotica: e disse al Facta: «Farà come il il segretario comunale di
Monasterolo che è un paese vicino a Racconigi. Un anno, aveva ricevuto i
manifesti di mobilitazione che i comuni debbono tenere in serbo nel caso di una
chiamata alle armi. Per ignoranza, quando arrivarono li fece affiggere e a
Monasterolo fu dichiarata la guerra. Corsero a Racconigi, al Castello, da tutte
le parti; erano state chiamate dieci classi, la gente ritornando in fretta
dalla campagna era tutta sconvolta. Bisognò acchiappare il segretario e
obbligarlo a staccare, subito, personalmente, tutti i manifesti. Così farà lei
col suo decreto» E ripose il foglio nel cassetto”,(21) (Giovanni Artieri,
Cronaca del Regno d’Italia, p. 266) Anche Bertoldi riferisce lo stesso episodio
a p. 304 dell’op.cit. Fonte di entrambi gli scrittori è Angelo Gatti, storico
militare e accademico d’Italia. Chabod riferisce che lo stesso Facta non era
troppo convinto. (v. F. Chabod, p. 71)
.
28 ottobre.
Mattina. Il Partito Liberale. Dobbiamo registrare con amarezza che la
Segreteria politica del Partito Liberale Italiano proprio il 28 mattina si
riunisce ed approva il seguente ordine del giorno:
«La Segreteria politica del
Partito Liberale Italiano ricorda alle Sezioni che l’avvenuta restaurazione
dello Stato e dei valori nazionali si compie col consentimento e con l’opera di
quanti liberali trassero dalla degenerazione dei costumi parlamentari la
volontà di un rinnovamento che restituisse la lotta politica e le istituzioni
fondamentali dello Stato alle migliori tradizioni nazionali. Tale consentimento
il Partito Liberale rinnova anche oggi partecipando alle celebrazioni
dell’avvenimento storico della ferma fiducia che l’opera dei partiti nazionali
assicurerà la maggior potenza della Patria». (Valeri, op cit. p. 178) 28
ottobre. Dimessosi Facta, Vittorio Emanuele III si consulta con Salandra per
formare il Governo (G. Candeloro, p.415) e indica Orlando, ma De Vecchi propone
Salandra a Mussolini, eventualmente Ministro dell’Interno, rifiuta. (G. Candeloro,
p. 415) Ha capito che può spezzare la corda.
29 ottobre. Salandra
la mattina cerca ancora di convincere Mussolini: ma è no. Il Re convoca
Mussolini. (cfr. anche Cognasso p. 936 cap. Monarchia e demagogia) 29 ottobre.
La C.G.d L. non proclama lo sciopero.
Il fatto è politicamente grave
poiché conferiva una sorprendente patente di democraticità ai fascisti. Scrive
G. Candeloro: “… il 29 ottobre la Confederazione aveva pubblicato un manifesto,
nel quale respingeva l’invito del partito comunista a proclamare lo sciopero
generale nazionale e raccomandava agli operai di mantenersi calmi senza
compromettere i sindacati in azioni sollecitate dai partiti verso l’azione fascista”.
(G. Candeloro, p. 415)
Altro che aperture del Re ai
fascisti!
Il Direttorio del P.P.I.
decide di partecipare al Governo, assente Sturzo. (De Rosa, p. 303-305) 30
mattina. Mussolini arriva a Roma. (G. Candeloro, p. 415) 30 ottobre, ore 10,30.
Mussolini arriva a Roma. Al Quirinale così saluta il Re: “Chiedo perdono a
Vostra Maestà se sono costretto a presentarmi ancora in camicia nera, reduce
dalla battaglia, fortunatamente incruenta, che si è dovuta impegnare. Porto a
Vostra Maestà l’Italia di Vittorio Veneto, e sono il fedele servo di Vostra
Maestà”. Mentiva. (Salvatorelli-Mira, p. 241) (* Secondo alcuni storici questa
frase non fu mai pronunciata; per es. Cognasso, cit. p. 937”Ma il re poi
assicurava che non gli aveva detto nulla del genere …”)
30 ottobre, ore 12,00.
Mussolini si reca dal Re e riceve l’incarico di formare il governo. Accetta e
sottopone al Re la lista dei ministri che aveva in tasca.
31 ottobre.
Mattina. Il Ministero Mussolini è formalmente costituito. I Ministri sono:
– cinque fascisti: Mussolini
(presidenza, interno ed esteri), Alberto De Stefani (finanze), Aldo Oviglio
(giustizia), Cesare Maria De Vecchi (assistenza e pensioni), Giovanni Giuriati
(terre liberate);
– tre indipendenti
filofascisti: Armando Diaz (guerra), Paolo Thaon di Revel (marina), Giovanni
Gentile (istruzione);
– un nazionalista: Luigi
Federzoni (colonie);
– due popolari: Vincenzo
Tangorra (tesoro), Stefano Gavazzoni (lavoro e previdenza sociale);
– due demo sociali: Gabriele
Carnazza (lavori pubblici), Giovanni Colonna di Cesarò (poste);
– un liberale di destra:
Giuseppe De Capitani D’Arzago (agricoltura);
– un demo liberale: Teofilo
Rossi di Montelera (industria), l’unico che conservò il suo posto tra i membri
del secondo ministero Facta.
I sottosegretari furono sette
fascisti, tre popolari, due demosociali, un liberale, un demo liberale, un
nazionalista. (G. Candeloro, p. 416) (* per la cronaca di questa giornata si
legga anche il Corriere della Sera del 31 ottobre 1922) Circa i contorcimenti
dei partiti e le carriere fatte dai politici dell’epoca e durante il fascismo,
nonché con l’avvento della Repubblica, si legga Ruggero Zangrandi, Il lungo
viaggio attraverso il fascismo, Ed. Feltrinelli, Milano 5 aprile 1963,
Appendici: 1°. Le responsabilità della classe dirigente prefascista
(1919-1926), p. 315 e segg.; 2° Le responsabilità della classe dirigente
italiana nel consolidamento del regime (1926-1935), pp. 347 e segg.
Sintetizza Raimondo Luraghi,
su ‘La Gazzetta del Popolo’ del 2 febbraio 1964: “Tutti furono colpevoli dai
partiti della destra e del centro che si illudevano di vedere il fascismo dare
‘una buona lezione’ ai socialisti ed alle classi lavoratrici; ai socialisti che
pur nel momento una coalizione democratica sola avrebbe potuto salvare la
libertà, insistettero nel non volere a nessun costo ‘andare al governo con i
borghesi’; ai comunisti che andavano dicendo che fascismo e democrazia borghese
erano ‘lo stesso’ e attaccavano i socialisti con virulenza settaria ed
esagerata. (* Storia del Fascismo”, op cit. pp. 226-228)
11 novembre.
Giolitti pro Mussolini. Ancora! Nell’imminenza del primo discorso di Mussolini,
neo capo del Governo, Nino Valeri riferisce l’aperto sostegno di Giolitti al
governo Mussolini: “L’equivoca esperienza valse solo a rinvigorire la comune
illusione che il fascismo fosse un episodio nei binari costituzionali.
E fra i liberali Giolitti
partecipò decisamente a questa convinzione, … L’11 novembre 1922, confermava a
Carnazza che quel ministero, presieduto da Mussolini era il «solo che poteva
stabilire la pace sociale». «Il Paese – scriveva a Malagodi, direttore della
Tribuna – ha la necessità di un governo forte che non pensi solamente a
vivacchiare e la vita politica italiana ha bisogno di sangue nuovo, di nuove
forze». E anche dopo aver ascoltato il famoso discorso del 16 novembre 1922
(Potevo fare di quest’aula sorda e grigia un bivacco …») persisté nella sua
linea di condotta, …”.(22) (Valeri, Da Giolitti a Mussolini, pp. 179-181) Fra i
giudizi positivi sulla soluzione della crisi ministeriale spicca quello di Anna
Kuliscioff: “Ciò che deve premerci come Partito e come cittadini italiani è
precisamente il ritorno graduale alla vita normale cioè, l’assorbimento del fascismo
nella normalità della convivenza sociale. Ora, nessuno può negare che, se vi
sia, fosse pure una istantanea possibilità di poter ottenere la pacificazione,
nessuno avrebbe potuta raggiungerla se non Mussolini …”(23) (F. Turati – A. Kuliscioff,
Carteggio V: Dopoguerra e fascismo, p. 600)
Primo
Governo Mussolini. Primo discorso.
Prima
seduta della Camera
Giovedì
16 novembre 1922, ore 15,00.
Benito Mussolini ha fagocitato
i vecchi partiti, invece di esserne inglobato. Il Neopresidente entra subito
nella parte. Si presenta alla Camera: “… Ora è accaduto per la seconda volta,
nel breve volgere di un decennio, che il popolo italiano – nella sua parte
migliore – ha scavalcato un Ministero e si è dato un Governo al di fuori, al di
sopra e contro ogni designazione del Parlamento. … Lascio ai melanconici
zelatori del supercostituzionalismo, il compito di dissertare più o meno
lamentosamente su ciò. Io affermo che la rivoluzione ha i suoi diritti. … Mi
sono rifiutato di stravincere, e potevo stravincere. Mi sono imposto dei
limiti. … Potevo fare di questa Aula sorda e grigia un bivacco di manipoli.
MODIGLIANI. Viva
il Parlamento! Viva il Parlamento!
MUSSOLINI.
Presidente del Consiglio dei ministri, ministro dell’interno e ad interim degli
affari esteri … potevo sprangare il Parlamento e costituire un Governo
esclusivamente di fascisti. Potevo, ma non ho, almeno in questo primo temo,
voluto. … Chiediamo i pieni poteri perché vogliamo assumere le piene
responsabilità …”(24)
Un lusso.
Michele D’Elia
Bibliografia essenziale
(1) Atti Parlamentari –
Legislatura XXIV, Prima Sessione, Tornata del 20
novembre 1918, p. 17239
(2) Roberto Vivarelli, Storia
delle origini del fascismo, vol. I, Ed. Il Mulino, Bologna 1991, nota 19, p.
497
(3) Giorgio Candeloro, Storia
dell’Italia moderna, Ed. Feltrinelli, Milano
2016, p. 284
(4) Atti parlamentari -
Inaugurazione de1la 1ª sessione della XXV Legislatura, pp. IX-XIII.
(5) Gabriele De Rosa, Il
Partito Popolare Italiano, vol. II, Ed. Laterza,
Bari 1966, p. 98.
(6) Giorgio Alberto Chiurco,
Storia della rivoluzione fascista, vol. 1, Ed. Il
Borghese, Milano 1972, p. 299
(7) Atti Parlamentari.
Inaugurazione della 1ª sessione della XXVI Legislatura, pp. IX-XIII.
(8) Giovanni Giolitti, Memorie
della mia vita, prefazione di O. Malagodi,
Ed. Garzanti, Seconda
Edizione, Milano 25 maggio 1944, p. 615.
(9) Yvon De Begnac, Taccuini
mussoliniani, Ed Il Mulino, Bologna 1990,
p.193.
(10) Storia del Fascismo, a
cura di Enzo Biagi, vol. I, SADEA-Della Volpe
Editori, Firenze 1964, p. 194.
(11) Piero Gobetti, Uomini e
idee, «La Rivoluzione Liberale» anno I, n. 15,
28 maggio 1922, p. 56, in
Scritti politici, vol. I, Ed. Einaudi, Torino
1997, p. 359)
(12) Mario Missiroli, Turati
al Quirinale, Articolo del 30 luglio1922, in Una
battaglia perduta, cit. pp.
285-291)
(13) Federico Chabod, L’Italia
contemporanea, Ed Einaudi, Torino 9 giugno 1965, p. 73)
(14) Gioacchino Volpe,
Enciclopedia Italiana di Scienze Lettere ed Arte,
Fascismo, Ed.
Treves-Treccani-Tuminelli, MCMXXXII-X, Rizzoli,
Milano, p.864
(15) Scritti e Discorsi di
Benito Mussolini, Edizione Definitiva II. La rivoluzione fascista, 23 marzo
1919-28 ottobre 1922, Hoepli Editore, Milano
1934-XII
(16) Giulia Albanese, La
marcia su Roma, Ed. Laterza, Bari febbraio 2006,
p. 77
(17) Salvemini in Giovanni
Artieri, Cronaca del Regno d’Italia, Ed. A.
Mondadori, Milano 1978, p. 283
(18) Domenico Bartoli, La fine
della Monarchia, Ed. A. Mondadori, Milano
maggio 1966, p. 158)
(19) Franco Catalano, L’Italia
dalla dittatura alla democrazia 1919-1948,
Lerici editori, Milano 1962,
p. 79
(20) Francesco Cognasso, I
Savoia, Ed. Dall’Oglio,Varese 18 ottobre 1971,
p. 938
(21) Giovanni Artieri, Cronaca
del Regno d’Italia, Ed. A. Mondadori, Milano marzo 1978, p.266
(22) Nino Valeri, Da Giolitti
a Mussolini, Seconda Edizione, Parenti Editore, Firenze settembre 1956,cit. pp.
179-181
(23) F. Turati-A. Kuliscioff,
Carteggio V°: Dopoguerra e fascismo (1919-
1922), a cura di A. Schiavi,
Torino 1953, p. 600
(24) Atti parlamentari, Camera
dei Deputati, Legislatura XXVI, 1° sessione,
tornata del 16 novembre 1922,
pp. 83-89 e segg.
(*) Luigi
Salvatorelli-Giovanni Mira, Storia d’Italia nel periodo fascista,
2 voll., Ed. A. Mondadori, Milano,
1972