domenica 28 marzo 2021

La Società delle Nazioni: nascita e sviluppo di un sistema di sicurezza collettiva

 


La firma del trattato di Versailles, oltre a chiudere la guerra fra la Germania e le Potenze alleate e associate, segna anche l’atto di nascita della Società delle nazioni (SdN).

Fortemente voluta dal Presidente statunitense Wilson, essa doveva rappresentare il pilastro del nuovo ordine internazionale. Secondo il ‘Patto fondativo’ (‘Convenant’), suo obiettivo era salvaguardare la pace internazionale favorendo il ricorso all’arbitrato, la sicurezza collettiva e il disarmo. Essa si occupava, inoltre, di questioni che andavano dalla regolamentazione di rapporti di lavoro alla protezione dei prigionieri di guerra, alla promozione della cooperazione e all’avvio dei territori ex coloniali all’indipendenza attraverso il sistema dei c.d. ‘mandati’. Essa favorì, infine, la nascita di nuovi organismi ai sensi dell’art. 23 del Convenant; fra questi: l’Organizzazione internazionale del lavoro, l’Organizzazione economica e finanziaria e l’Organizzazione sanitaria della Società delle nazioni, precursore della attuale Organizzazione mondiale della santità.

Fin da subito, le attese furono molte. La centralità degli Stati Uniti nella conferenza della pace e l’importanza attribuita al progetto dal Presidente Wilson furono le sue principali forze. Accettato dagli alleati il 25 gennaio, il progetto della SdN avrebbe portato alla redazione del Patto da parte di una commissione ad hoc presieduta dallo stesso Wilson e comprendente i rappresentanti di Stati Uniti, Gran Bretagna, Francia, Italia, Giappone, Belgio, Cina, Portogallo e Serbia. Il Patto (approvato il 28 aprile) sarebbe poi confluito nei trattati siglati con le Potenze sconfitte. La mancata ratifica del trattato di Versailles da parte degli Stati Uniti (novembre 1919) avrebbe rappresentato una prima battuta d’arresto, sebbene le sue conseguenze non siano da sopravalutare. Se, infatti, il disimpegno di Washington fu uno scacco importante sul piano simbolico e una sconfitta personale per Wilson, esso non arrestò né il processo di istituzionalizzazione della vita internazionale, lo sforzo di dare vita a un credibile sistema di sicurezza collettiva.

Gli anni Venti in particolare sarebbero stati segnati da un’intensa azione nel campo del disarmo. Per Wilson, le clausole imposte alle Potenze sconfitte dovevano essere solo l’anticipo di un processo destinato a coinvolgere anche i vincitori della guerra. Questa idea sarebbe stata ripresa dal suo successore, il repubblicano Warren Harding (in carica: 1921-23), sotto la cui egida si sarebbe svolta, fra il novembre 1921

e il febbraio 1922, la conferenza di Washington che avrebbe portato una prima riduzione delle flotte da guerra degli Stati parte del trattato per la riduzione degli armamenti navali (Stati Uniti, Gran Bretagna, Francia, Italia e Giappone). Il tema del disarmo sarebbe stato affrontato anche dalla Società delle nazioni, fra l’altro con la costituzione di una Commissione temporanea mista sugli armamenti (1921-24) e la redazione di varie bozze di trattato (primo fra tutti il trattato di mutua assistenza del 1923), per riaffiorare poi, nella seconda parte del decennio con l’infruttuosa Conferenza mondiale sul disarmo del 1932-37.

Le ragioni della poca efficacia dell’azione societaria sono diverse e si legano da un lato alla farraginosità dei suoi meccanismi, dall’altro alle divergenze esistenti fra i membri. Altro aspetto problematico è il rapporto fra azione collettiva e politiche nazionali, spesso in contrasto l’una con le altre. Da questo punto di vista è significativo che proprio il voto contrario della Gran Bretagna (preoccupata per le ricadute che un voto favorevole avrebbe avuto sulla sicurezza imperiale) blocchi l’approvazione del trattato di mutua assistenza, sostenuto, fra gli altri, da Lord Robert Cecil, già principale fautore della SdN nel gabinetto Lloyd George e influente membro della commissione per la redazione del Convenant. Questo scollamento si sarebbe accentuato negli anni portando, fra l’altro, alla ‘fuga in avanti’ rappresentata dalla firma del patto Briand-Kellogg (27 agosto 1928), ambizioso tentativo di risposta franco-statunitense allo stallo cui erano giunti – a livello societario – i lavori della commissione preparatoria della conferenza sul disarmo.

In questo senso, la freddezza franco-britannica verso la SdN rappresenta forse più del disimpegno statunitense la ragione della sua debolezza. Né Parigi né Londra trovavano, infatti, nell’organizzazione uno strumento adatto al conseguimento dei rispettivi interessi: per la prima, una garanzia ‘forte’ contro un possibile risorgere della minaccia tedesca; per la seconda, un foro di dialogo con Washington per l’esercizio di una sorta di egemonia condivisa. La volontà di entrambe di non ‘legarsi le mani’, subordinando l’autonomia delle politiche nazionali alle necessità della sicurezza collettiva, fa il resto. Si tratta di elementi destinati a emergere soprattutto alla fine degli anni Venti e con più forza nel decennio successivo, di fronte all’incapacità dell’organizzazione di gestire le crisi che punteggiano il periodo (crisi mancese, 1931-32; guerra del Chaco, 1932-35; guerra italo-etiopica, 1935-36) e alle defezioni che, iniziate con quella del Brasile nel 1926, culminano con quelle del Giappone, della Germania e dell’Italia nel 1933-37.

Nei primi anni Venti, tuttavia, predomina ancora la fiducia, che accompagna la crescita del ruolo dell’organizzazione. Ciò emerge con chiarezza nel rapporto che si instaura fra la SdN e gli Stati che non ne fanno parte, come la Germania (che presenta domanda di ammissione nel 1924 ed è ammessa due anni dopo), gli Stati Uniti e l’Unione Sovietica, che pur essendo ammessa al Consiglio della Società solo nel settembre 1934 (ne sarebbe stata espulsa cinque anni dopo, in seguito all’invasione della Finlandia), negli anni precedenti collabora attivamente all’attività societaria. È questo anche il periodo in cui la partecipazione di Francia e Gran Bretagna alle attività della SdN è più attiva. La presenza, in Gran Bretagna, di un movimento pacifista e filo-societario tradizionalmente forte concorre in parte a spiegare questo atteggiamento che, tuttavia, riflette anche la necessità sentita da una parte della classe politica di individuare modi alternativi di gestione dei problemi in una fase di rapida trasformazione del sistema degli Stati.

Gianluca Pastori

Università Cattolica, Milano

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