giovedì 22 maggio 2014

CITTADINO E RE - II parte

La Monarchia e la Prima Guerra Mondiale.

Il Re aveva in testa una sola idea: completare l'Unità d'Italia. Non aveva stima dei tedeschi, ben ricambiato da Guglielmo II, che lo aveva già definito “Il piccolo ladro " .

Il proclama ai soldati.
Dal Quartier generale, il 24 maggio, il Sovrano indirizzò ai soldati questo proclama:

"Soldati di terra e di mare. 
L'ora solenne delle rivendicazioni nazionali è suonata. Seguendo l'esempio del mio grande Avo, assumo oggi il Comando Supremo delle forze di terra e di mare, con sicura fede nella vittoria, che il vostro valore, la vostra abnegazione, la vostra disciplina sapranno conseguire.
Il nemico che vi accingete a combattere è agguerrito e degno di voi. Favorito dal terreno e dai sapienti apprestamenti dell'arte, egli vi opporrà tenace resistenza, ma il vostro indomito slancio saprà, superarla.
Soldati, a voi la gloria di piantare il tricolore dell'Italia sui terreni sacri che natura pose a confini della Patria nostra, a voi la gloria di compiere, finalmente, l'opera con tanto eroismo iniziata dai nostri padri.

Il Re al fronte.
Il Re, è noto, dimostrò nei quattro anni di guerra, competenza tecnica, coraggio fisico ed umiltà. Il Maresciallo Enrico Caviglia nel suo Diario, sotto la data del 31 marzo 1933, annota: " ... Il Re mi disse in un colloquio l'anno scorso che egli aveva visto l'aggiustamento del tiro delle batterie austriache e l'aveva segnalato a Cadorna. " Non fu ascoltato.
Dopo il convegno di Peschiera, l'11 novembre Vit-
torio Emanuele esortò gli italiani con queste parole: "Siate un esercito solo. Ogni viltà è tradimento, ogni discordia è tradimento, ogni recriminazione è tradimento. Questo mio grido di fede incrollabile nei destini d'Italia suoni così nelle trincee come in ogni più remoto lembo della Patria; e sia il grido del popolo che combatte e del popolo che lavora".
Vittorio Emanuele rifiutò la Medaglia D'Oro al Valor Militare, così motivando: «Mentre tanti episodi di eroismo e di sacrifici o rimangono oscuri e mentre tanti nostri valorosi chiudono nei cimiteri e nelle corsie degli ospedali il segreto di atti che, non conosciuti, non potrebbero ricevere alcuna ricompensa, non credo di poter accettare per quello che era mio dovere fare, come re e come soldato, la più alta distinzione al valor militare.»

Ritorno a casa
Il 14 novembre il Re Vittorioso torna a Roma. Nonostante la vittoria, il ritorno fu infelice per tutti.
Al Sovrano il compito di incanalare gli elementi patogeni. Indica alla classe politica le linee da seguire. Lo  fa con stile impersonale, nei Discorsi della Corona. L'l dicembre 1919 si svolge la prima seduta post bellica del Parlamento: ".. Al di sopra della vittoria stessa è la giustizia, umana clemenza e virtù ... L'Italia desidera considerare con la più viva simpatia l'ascensione delle classi popolari..."

L' 11 giugno 1921, apertura della XXVI legislatura.
Ricordati i doveri dei contribuenti, il Re afferma: “... Gli organismi statali debbono dimostrarsi pronti a tutte le semplificazioni e riduzioni, adottando ordinamenti più snelli e più decentrati... occorrerà che il parlamento rivolga la attività propria all'ordinato ascendere delle classi lavoratrici così delle officine come dei campi... Sarà vanto di quest'Assemblea... rafforzare gli istituti cooperativi... "
Rilevante, l'attenzione del cittadino-Re alla cultura ed alla scuola: "L'educazione intellettuale e morale del popolo è la virtù che preserva le democrazie dal cadere nell'errore delle demagogie. Giova quindi che la scuola abbia le cure più assidue, amorose, infaticabili del Parlamento ... " La seduta fu tumultuosa, i socialisti gridarono "viva la Repubblica", la classe politica, tutta o capì e finse di non capire o non capì; del resto, il parafulmine era bell'e pronto.

Il Fascismo.
Né i politici né gli uomini di cultura capirono il pericolo. Uno per tutti: Benedetto Croce, che definì il fascismo: "Malattia morale, smarrimento di coscienza..." così anche pensatori stranieri come il Meinecke.

Il Sovrano non firma lo stato d'assedio.
Penosi furono i rifiuti a catena, dell'incarico proposto dal Re ai politici di maggior spicco, di formare un qualsiasi governo, che impedisse a Mussolini di andare al potere.
«Il 28 ottobre [1922 n.d.rj, alle 6 del mattino, il dimissionario e dormiente Presidente del Consiglio, Facta, decise di proclamare lo "stato d'assedio", per impedire ai fascisti la Marcia su Roma. Lunare!
L'onorevole Facta, Presidente per la seconda volta, presentò al Re il decreto. Vittorio Emanuele rifiutò di firmarlo, proprio perché proposto da un Presidente e da un Governo che si erano già dimessi e che, proprio per questa ragione, non godevano né dell'autorità né dell'autorevolezza indispensabili per proporre e tanto meno attuare misure straordinarie.
Quella stessa mattina il Re chiese a Salandra, dopo il no di Giolitti, di costituire il nuovo governo, ma ottenne un altro rifiuto. Sappiamo come andò a finire.
In ogni caso, il Re impedì a Mussolini di sciogliere la Camera. Chi accusa il Re di avere favorito Mussolini vuole ignorare le affermazioni di alcuni uomini illustri: il liberale Giovanni Amendola: « ... Ci voleva anche un Minimo di soluzione politica» ; il 7 novembre 1922, lo stesso uomo politico, sul dovere inderogabile di accordare la fiducia al governo di Mussolini, scrive a Carlo Cassola: «E’ necessario che la Camera dia il voto al nuovo Ministero ... ».
Tagliente Luigi Einaudi sul Corriere della Sera, il 27 ottobre 1922 «Il Ministero Facta è finito. Non vi sono le dimissioni, perché i Ministri hanno creduto di salvare le apparenze limitandosi a mettere i loro portafogli a disposizione del Capo del Governo ... di questa obbligata libertà l'on. Facta non può usare che presentando al Re le dimissioni del Ministero. L'ipotesi di un rattoppo non è neanche degna di essere presa in considerazione ... ».

Risolta la crisi di governo, il Re confidò a Solaro del Borgo: «Ho molto pensato ma anche il mio grande avo Vittorio Emanuele II avrebbe fatto così. Io ho rifiutato due volte di sancire quell'atto imbecille e criminoso dello stato d'assedio, steso solo per salvare appena dieci poltrone governative». E all'on. Schanzer: «Ho inghiottito tutto, capisce Schanzer, in quello sciaguratissimo tempo [Nitti-Facta], sempre per non venire alla sciabola. Io per primo non ci credo: i generali sono un salto nel buio». In epoca recente ha scritto, Carlo Ghisalberti: «Né la Corona, né l'Esercito legato alla dinastia potevano offrire alla sovversione fascista quella resistenza che sostanzialmente il Governo, il Parlamento e la classe dirigente non erano stati capaci di esprimere». Mussolini si dimostra monarchico fraudolento, già dal discorso di Udine del 20 settembre 1922. Il Re convivrà con il fascismo per evitare che questo si impadronisca completamente dello Stato; condurrà da solo una silenziosa e ininterrotta battaglia affrontando il delitto Matteotti, l'Aventino, le leggi razziali e la loro abolizione.


Il 15 maggio 1943, secondo il Cognasso, il Re consegnò a Mussolini un appunto scritto nel quale lo esortava a sganciare "le sorti dell'Italia dalla Germania".

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