venerdì 16 maggio 2014

CITTADINO E RE - I parte

Prima parte

di Michele D'Elia

Il giovane sovrano si presenta cosi:

Italiani!
il secondo Re d'Italia è morto! Scampato per valore di soldato dai pericoli delle battaglie, uscito incolume per volere della Provvidenza dai rischi affrontati con lo stesso coraggio a sollievo di pubbliche sciagure, il Re buono e virtuoso è caduto vittima di un atroce misfatto, mentre nella sua tranquilla e balda coscienza partecipava alle gioie del suo popolo festante.
A me non fu concesso di cogliere l'estremo respiro del Padre mio. Sento però che il mio primo dovere sarà quello di seguire i paterni consigli e dì imitare le sue virtù di Re e di primo cittadino d'Italia.
In questo supremo momento di intenso dolore, mi soccorre la forza che mi viene dagli esempi del mio augusto genitore e del Gran Re che meritò di essere chiamato Padre della Patria. Mi conforta la forza che ricevo dall'amore e dalla forza del popolo italiano.
Al Re venerato e rimpianto sopravvivono le istituzioni che Egli conservò lealmente e giunse ad essere incrollabili nei ventidue anni del suo Regno intemerato. Queste istituzioni, sacre a me, per le tradizioni della mia Casa e per amore caldo di italiano, prometto con mano ferma ed energica, da ogni insidia o violenza, da qualunque parte esse vengano, assicureranno, ne sono certo, la prosperità e la grandezza della Patria.
Fu gloria del mio grande Avo l'aver dato agli Italiani l'unità e l’indiperidenza, fu gloria del mio genitore l'averle gelosamente custodite. La meta del mio Regno è segnata da questi imperituri ricordi. Così mi aiuti Iddio e mi consoli l'amore del mio popolo perché io possa consacrare ogni cura di Re alla tutela della libertà e alla difesa della Monarchia, legate entrambe, con vincolo indissolubile, ai supremi interessi della Patria.
Italiani!
Date lagrime e onore alla sacra memoria di Re Umberto I di Savoia, voi che l'amaro lutto della mia Casa dimostraste di considerare ancora una volta come lutto domestico vostro; codesta solidarietà di pensieri e di affetti fu e sarà sempre il baluardo più sicuro del mio Regno, la migliore guarentigia dell'unità della Patria, che si compendia nel nome augusto di Roma intangibile, simbolo di grandezza e pegno d'integrità.
Questa è la mia fede, la mia ambizione di cittadino e di Re.
Dato a Monza, il 2 agosto 1900

VITTORIO EMANUELE.

SARACCO, VISCONTI-VENOSTA, GIANTURCO, CHIMIRRI,
RUBINI, PONZA DI SAN MARTINO, MORIN, GALLO, BRANCA,
CARCANO, PASCOLATO.

Questo messaggio è il manifesto rivoluzionario del nuovo Re: cittadino il Re, cittadini gli Italiani; per loro: diritti civili, riforme istituzionali, diritto al lavoro, diritti della Donna... alle enunciazioni seguì la legislazione sociale all'avanguardia rispetto al resto del mondo, dalla sanità pubblica alla scuola.
Emilia Sarogni, sottolinea: "La donna, anche in stato interessante, venne impiegata in lavori pericolosi e insalubri, con orari che raggiungevano a volte le 16 ore sino al 1902, anno in cui venne approvata la legge n. 242, del 19 giugno1902, varata dal governo Zanardelli. La legge fisserà a 12 il massimo delle ore lavorative, vieterà finalmente l'impiego di bambine e bambini di età inferiore ai 12 anni e il lavoro notturno delle donne.
Fallirono, invece, i diversi tentativi di riconoscere il diritto di voto alle donne; e, nel 1905, l'esortazione del Re al Parlamento ad approvare una legge sul divorzio.

Asceso ad un trono insanguinato, Il nuovo Re venuto dal mare"(Turati) non ha di che rallegrarsi. Austero e concreto, Vittorio Emanuele con la Regina Elena, devota e forte, specie nei momenti peggiori si stabilisce fuori Roma. Non sopporta il Quirinale, ci va la mattina e torna a casa la sera.
E' il primo servitore dello Stato ed anche il primo pendolare. Il Re imprime alla Monarchia italiana quel moto rivoluzionario che resterà unico nel Novecento.
Chi volle capire capi: per primi i socialisti.
Il primo agosto 1900 "Critica Sociale" pubblica un editoriale di Filippo Turati: "La Successione", nel quale l'uomo politico scrive: " ... noi pensiamo che una cosa il paese aspetti da lui... cancelli... dalla carta dell'Italia ufficiale la stridente vergogna delle Siberie italiane..."

La Monarchia amministrativa

Vittorio Emanuele III è il displuvio tra un'idea di monarchia rappresentativa, umbertina, pur a suo tempo utile, che aveva concluso la propria parabola socio-politica; ed un'idea di monarchia amministrativa, funzionale alle nuove esigenze del popolo.
Nel 1906. a Torino, viene fondata la Confederazione Generale del Lavoro (C.G.L.) riconosciuta dallo Stato come interlocutrice.

Il fatto socialmente più importante fu, nel 1912, l'estensione del diritto di voto "a tutti i cittadini che abbiano compiuto i 30 anni o abbiano prestato servizio militare", ancorché analfabeti.
Gli elettori salirono di colpo da tre a otto milioni. I partiti dovettero adottare simboli di riconoscimento da stampare sulla scheda elettorale ma soprattutto il voto, così diffuso, spezzò i potentati.
La funzionalità del sistema, la riservata vita dei Sovrani e la loro discreta ma costante presenza tra il popolo, fece scrivere al direttore de "L'Avanti:" Vi sono monarchie più liberali di certe repubbliche".

Il 14 marzo l914, a Roma, durante la commemorazione di Umberto I, l'anarchico D'Alba sparò due colpi di pistola contro il Re, ferendo il maggiore dei corazzieri Lang. Incerti del mestiere", tagliò corto il Re.

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