di Salvatore Sfrecola, Presidente Ass.ne Italiana Giuristi di Amministrazione, Roma
Abituati a pensare alla Grande
Guerra come ad uno scontro di popoli e di eserciti sullo sfondo di una ridefinizione
della geografia dell’Occidente e della mappa delle potenze europee ed a considerare
soprattutto l'importanza delle operazioni militari e le gesta di generali e
soldati, tendiamo a dare poco rilievo all'economia, cioè ai costi della guerra,
alla acquisizione delle risorse necessarie, ai prestiti interni ed
internazionali, alle imposte ed alle tasse con le quali è stato alimentato il bilancio
dello Stato. e ancora alla regolamentazione dei consumi ed alla disciplina dei
prezzi che ha interessato le popolazioni civili, in sostanza alle condizioni di
vita di chi non era al fronte ma doveva contribuire, affrontando gravi
sacrifici, all'impegno della Nazione in guerra.
La guerra ha avuto costi altissimi.
Tuttavia non sono solamente questi i costi finanziari. Perche vanno considerate
in primo luogo le perdite umane. ingentissime, ed i connessi oneri per
l'assistenza degli invalidi, degli orfani e delle vedove, gli oneri per la
ricostruzione delle infrastrutture viarie, ferroviarie e portuali, distrutte
dalle operazioni militari, la riconversione dell’industria bellica. Per non
dire del disagio e dei disordini sociali dovuti alle rivendicazioni di chi era al
fronte ed ha perduto le attività professionali coltivate con personale
sacrificio ma anche di coloro che si sono impegnati nelle fabbriche a guerra
finita in fase di riconversione ed hanno perduto il lavoro.
Ogni calcolo è. dunque,
necessariamente parziale ed inadeguato, come dimostra la varietà delle cifre
che si leggono nei libri, anche perché i costi globali della guerra vanno
depurati degli oneri ordinari, quelli che lo Stato avrebbe comunque dovuto
sostenere anche in tempo di pace. Non tutti i costi, inoltre, sono stati registrati
nelle contabilità dello Stato e degli enti pubblici.
Accanto ai costi “ordinari”,
ingenti ma legittimamente pagati, vanno calcolati quelli conseguenti agli illeciti.
che come sempre, e dovunque, sia pure in misura diversa, hanno soddisfatto interessi
privati indebiti, a cominciare da quelli della grande industria. Guadagni andati
spesso oltre il dovuto, essendosi instaurato un meccanismo di “corruzione
sistemica in grado di pompare dallo Stato risorse insperate attraverso merce
non consegnata, ma fatturata: merce avariata o scadente: merce pagata più
volte: merce pagata tre o quattro volte
Il valore di mercato” (V. Gigante -
L. Kocci - S. Tanzarella. La grande menzogna, Il
Giornale - Biblioteca storica. 2015. 36). E’ stato
accertato, infatti, che sul debito prodotto dai costi della guerra,
che peserà per decenni sulla vita della Nazione, molto ha
influito la corruzione.
“Si può dire che non vi fu nella
vita dell'Italia un fenomeno corruttivo di pari dimensioni se non forse per la ricostruzione
del terremoto dell'Irpinia 1980''(Ivi).
Il fatto è che, finita la guerra,
la vittoria ed il successivo cambio di regime hanno messo la sordina su questi scandali.
Il coinvolgimento negli illeciti di
vasti settori dell’amministrazione civile c militare rese difficile l’avvio delle
indagini, così il materiale è rimasto per molto tempo accantonato e soltanto
all'inizio degli anni ‘90 raccolto, catalogato e inventariato ha dato luogo al
primo studio complessivo su una selezione del materiale disponibile sulla base
di un lavoro pubblicato dalla Camera dei deputati (C. Croccila - F. Mazzonis (a
cura di). L’inchiesta parlamentare sulle spese di guerra ( 1920-1923), voi. I-III,
Camera dei deputati. Roma 2002). È solo uno stralcio del grande materiale disponibile.
Significativi, alcuni passaggi del famoso discorso del 12 ottobre 1919 con il
quale Giovanni Giolitti, parlando a Dronero, si era impegnato ad affrontare il
problema. Partendo dai costi della guerra, dal valore economico delle vittime.
“Valutando a solo lire mille il prodotto annuo del lavoro di un uomo nel pieno
del suo vigore un milione di morti o inabilitati rappresenta per la nazione la
perdita di un miliardo all'anno. Vengono in seguito i debiti verso l’estero,
che ammontano a più di 20 miliardi e che rappresentano un corrispondente
impoverimento del Paese: il valore del materiale bellico consumato, armi,
munizioni, vestiari, approvvigionamenti automobili, cavalli, materiale
sanitario ecc.: il valore degli impianti per industria di guerra non
utilizzabili per industrie di pace: le distruzioni nelle province invase dal
nemico e nei paesi vicini al fronte guerra: la distruzione di oltre la metà
della marina mercantile: la rovina del materiale ferroviario, l'abbandono e la
cattiva coltivazione di terre per mancanza di braccia: le perdite derivanti dal
mancato lavoro di cinque milioni di uomini per quattro anni: la riduzione del
patrimonio zootecnico a circa la metà: la grande diminuzione del patrimonio
forestale: la scomparsa quasi totale di importazione d'oro da parte di
forestieri e migranti, il disastroso rialzo del costo della vita, per la
mancata produzione e della svalutazione della moneta. Non e possibile valutare
neanche approssimativamente la somma che tali danni rappresentano” (Discorso di
S.E. Giovanni Giolitti pronuncialo in Dronero il 12 ottobre 1919 agli elettori
della provincia di Cuneo. Tipografia Artale, Torino, 1919. 13-14).
Tutto questo va aggiunto al costo
per la finanza dello Stato che si legge nel l'esposizione fatta dal Ministro
del Tesoro alla Camera dei deputati il 10 luglio 1919. Cifre di tutto rispetto,
le quali segnalano che al 31 maggio 1919 i debiti contratti per la guerra
ammontavano a 64.166 milioni; a questi vanno aggiunti 8.378 milioni per le
spese di guerra dell’escrcizio 1919-20 ed ancora 6 miliardi di debiti che il
governo prevede di dover contrarre all'estero per gli approvvigionamenti nel
corrente esercizio (1919) sicché, spiega Giolitti a commento di quelle cifre,
nei 12 mesi dal
1 luglio 1919 al 30 giugno 1920,
cioè in un esercizio finanziario cominciato sette mesi dopo la firma
dell'armistizio, “noi dobbiamo ancora fare 17.000 milioni di debiti. Il debito
contratto per la guerra salirà quindi alla fine dell’esercizio corrente a circa
81 miliardi, ai quali si aggiungeranno poi, negli esercizi seguenti, i debiti
che si dovessero contrarre per coprire i disavanzi finché si sia raggiunto il
pareggio del bilancio” (Ivi, 14-15).
Prima della guerra il nostro debito
pubblico era di circa 13 miliardi: dunque l'Italia alla fine del 1919 ha un
debito di 94 miliardi.
Torniamo alla corruzione, a quella
“crudele e delittuosa avidità di denaro - sono ancora parole di Giolitti - che
spinse uomini già ricchi a frodare lo Stato imponendo prezzi iniqui per ciò che
era indispensabile alla difesa del paese: a ingannare sulla qualità e quantità
delle forniture condanno dei combattenti: e a giunger fino all'infamia di
fornire al nemico le materie che gli occorrevano per abbattere il nostro
esercito. La Camera nuova sentirà certamente la voce del Paese, che reclama
giustizia” (Ivi. 21 -22).
Tornato al governo il 24 giugno
1920 Giolitti presenta un disegno di legge che istituisce la Commissione
parlamentare d'inchiesta per le spese di guerra. L'iter parlamentare sarà breve
ma si cercherà con ogni mezzo di limitarne i compiti.
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