In contrasto con l’immobilismo del fronte
occidentale, su quello orientale la Prima guerra mondiale mantiene ancora per
tutto il 1915 un carattere più dinamico. L’entità delle forze in campo, l’estensione
del fronte, lo sforzo di spostare risorse da un punto all’altro di questo sono
alcuni dei fattori che concorrono a spiegare questo fatto. Su questo teatro si
scontrano vari attori: da una parte, le forze tedesche, austro-ungariche,
ottomane e bulgare; dall’altro quelle serbe e russe, cui si sarebbero
affiancate quelle montenegrine (gennaio 1916), rumene (agosto 1916) e greche
(giugno 1917), senza contare la presenza di Francia, Gran Bretagna e Italia sul
fronte di Salonicco, aperto nell’autunno 1915 per sostenere l’esercito serbo.
Le vicende del fronte orientale sono, quindi, estremamente frammentate. In
questa sede, si tratterà soprattutto del confronto fra gli Imperi centrali e la
Russia zarista, che con i suoi alti e bassi rappresenterà il perno della guerra
a Est fino al fallimento dell’offensiva Kerenskij (luglio 1917).
Il 1915 è l’anno in cui l’Alto comando
tedesco decide di concentrare contro la Russia i maggiori sforzi. L’estate prima aveva visto le forze zariste penetrare nei
territori della Prussia orientale e in quelli della Galizia asburgica. Se la prima puntata si
era infranta a Tannenberg contro l’Ottava armata di Hindenburg (26-30 agosto) ed era stata
respinta nella prima battaglia dei Laghi Masuri (7-14 settembre), la seconda si era tradotta
nella sostanziale perdita della regione da parte di Vienna. Per la fine dell’anno, le
truppe russe avevano occupato tutta la Galizia, nonostante gli sforzi della
Nona armata tedesca e l’ostinata difesa della piazza di Przemy’l. Nonostante il
vantaggio di cui godevano in termini di numero (a fine mobilitazione, le forze
russe si sarebbero attestate intorno ai 3,5 milioni di uomini), i problemi
nella parte settentrionale del fronte avrebbero impedito loro di sfruttare tale
risultato, anche se fra la fine del 1914 e gli inizi del 1915, le forze di Brusilov
si sarebbero affacciate in più occasioni alla linea dei Carpazi.
Se si esclude il successo dello stesso
Brusilov nell’estate 1916, è questa la fase in cui l’esercito russo porta la maggiore pressione suiranello debole’ dello
schieramento nemico. Una pressione che è alleggerita con la seconda battaglia dei laghi
Masuri (7-22 febbraio 1915) prima che l’offensiva di Gorlice-Tarnów
(maggio-giugno) respinga le forze russe oltre il confine orientale della
Galizia e porti alla sostanziale dissoluzione della Terza armata. In entrambi i
casi, un ruolo centrale è svolto dalle forze tedesche: nel primo caso, l’Ottava
(Hindenburg) e la Decima (Eichhorn) armata; nel secondo, l’Undicesima armata (Mackensen),
a sostegno della Seconda (Bòhm-Ermolli), Terza (Boroevic'; dal 25 maggio: Puhallo
von Brlog) e Quarta (Giuseppe Ferdinando) armata asburgiche. Un ruolo riconosciuto
da Vienna, che, in cambio del sostegno dell’alleato, avrebbe accettato di
subordinare la Quarta armata agli ordini di Mackensen, aprendo, così, uno
spiraglio all’istituzione di un comando unificato, caldeggiata dal Capo di
Stato Maggiore tedesco, Falkenhayn, ma rigettata dal suo omologo austriaco,
Conrad.
Lo sfondamento di Gorlice-Tarnów avrebbe segnato
le vicende della guerra sul fronte orientale. Dopo la perdita dei territori
polacchi, alla fine dell’anno questo si sarebbe attestato lungo la linea
Riga-Tarnopol, varie centinaia di chilometri a est della frontiera degli Imperi
centrali. Uno stato di cose che nemmeno i successi dell’offensiva Brusilov —
quando fra giugno e settembre le forze zariste avrebbero rioccupato quasi
25.000 chilometri quadrati di fronte fra le paludi del Pripyat e la frontiera
rumena — sarebbero riusciti a cambiare. Le cause sono molte e vanno dai limiti
di un esercito numeroso ma male addestrato ed equipaggiato, alla flebile della
base industriale del Paese, alle rivalità fra i comandanti che avrebbero spesso
ostacolato un’azione veramente coordinata. Le predite elevate (stimate, alla
fine del conflitto nell’ordine di 1,8 milioni di morti; 4,9 milioni di feriti;
2,4 milioni fra dispersi e prigionieri) avrebbero inoltre aggravato i problemi
legati all’estensione del Paese, ai limiti della sua rete infrastrutturale e a
un meccanismo di mobilitazione farraginoso e poco efficiente.
Anche nel Caucaso, le forze russe riescono
solo in parte a sfruttare i successi conseguiti e a beneficiare della disorganizzazione della Terza armata turca dopo la
battaglia di Sarikamish (dicembre 1914-gennaio 1915). Per i primi mesi
dell’anno, le truppe di Yudenich mantengono, infatti, una postura
essenzialmente difensiva, iniziando solo a maggio ad avanzare verso Trebisonda
(Trabzon), Erzurum e Van, quest’ultima occupata il giorno 17. Tuttavia, già
alla metà di giugno la reazione turca le avrebbe respinte sulle posizioni iniziali.
Fra agosto e settembre, Van sarebbe stata persa e riconquistata più volte senza
che nessuno dei contendenti riesca ad ottenere un successo chiaro e già in
ottobre — anche a causa delle difficili condizioni climatiche — le operazioni
si fermano per l’inverno.
Nemmeno l’arrivo al comando delle truppe
del Granduca Nicola, cugino dello Zar (ma il comando operativo sarebbe rimasto
nelle mani di Yudenich) influisce su questa situazione, che dura sino agli
inizi del 1916 quando la battaglia di Koprukoy (10-18 gennaio) segna il ritorno
delle forze russe all’offensiva.
È questa la fase in cui si compie il
nucleo di quello che è stato definito il genocidio della popolazione armena locale da parte delle autorità ottomane. La portata
degli eccidi e delle deportazioni è tuttora oggetto di dibattito, con cifre che
oscillano fra 800.000 e 1.500.000 vittime. È però chiaro il nesso fra l’inizio
dei massacri e delle deportazioni di massa e la sconfitta di Sarikamish, che il
Ministro della guerra, Enver Pasha avrebbe imputato esplicitamente al sostegno
dato dalla popolazione armena al nemico. Il fatto che le operazioni si
concentrino territori dell’Armenia occidentale concorre al perdurare di una
violenza che aveva comunque le sue radici in anni che precedono l’arrivo al
potere del triumvirato Talat-Enver-Cemal. Note (anche se non inGtutti i loro
dettagli) sia in Germania e in Austria-Ungheria, sia alle Potenze dell’Intesa,
oltre che alla Santa Sede e agli ancora neutrali Stati Uniti, le atrocità del
genocidio armeno avrebbero svolto un ruolo di rilievo nella propaganda di
guerra e influito molto sull’atteggiamento dei vincitori verso l’Impero
ottomano e la nuova Turchia repubblicana.
Gianluca Pastori
Università Cattolica, Milano