di Giorgio Guaiti, Giornalista e scrittore, Milano
Bombe sulle città
Bombe austriache su Treviso (foto trovata in rete) |
La mattina del 14 febbraio 1916,
poco dopo le 9, era nella sua bottega, a due passi dalla chiesa di San Biagio, quando
un solo aereo austriaco cominciò a lasciar cadere le poche bombe che gli
apparecchi dell’epoca erano in grado di trasportare: un paio finirono fra orti
e campi, una sulla caserma dei Carabinieri, senza però provocare grandi danni,
una nel recinto della Cappella Espiatoria e una proprio sull’edificio in cui si
trovava il giovane artigiano, uccidendolo sul colpo.
La sua storia è raccontata dalle
pagine de II Cittadino, storico settimanale monzese, che il 17 febbraio, sotto
il titolo “Vandali!” diede voce all’indignazione di Monza e di tutta la Lombardia
per le bombe, che, nella mattina di San Valentino, avevano colpito anche
Milano, Bergamo e Treviglio. “Non bastavano alla malvagità dei nostri avversari
- si legge sulla prima pagina – i lutti profondi che le moderne e potenti armi
disseminano nelle file degli eserciti combattenti, occorreva far sentire la
brutalità della guerra pur rammezzo alla
popolazione civile: fra questa popolazione che non aveva fin qui ansie che pei
figliuoli e fratelli lontani”. “E sia. La popolazione monzese, come quella di
Milano e come le altre già provate, non si è affatto lasciata sgomentare dalla
minaccia che per una buona mezz’ora le incombeva, ma è accorsa remurosa e solidale, in uno slancio di
fraterna solidarietà, laddove più gravi erano le notizie dei danni”.
La notizia era già stata riportata
il 15 febbraio sulle prime pagine di tutti i giornali italiani e da molti quotidiani stranieri (New York Times
compreso): 12 morti a Milano (saliranno a 18 nei giorni successivi), due a
Monza (a Giuseppe Crippa, dopo una breve agonia, si aggiunse Maria Galliani, di
36 anni), decine di feriti a Bergamo e a Treviglio. Per una volta a raccontare
il dramma della guerra non erano però i corrispondenti dal fronte, ma i
giornalisti fino ad allora impegnati nelle normali cronache cittadine. “lncursione
di areoplani austriaci sulla Lombardia. Bombe su Milano, Monza Treviglio e
Bergamo. Morti e feriti fra la popolazione civile” titola in prima pagina il
Resto del Carlino. E nel testo si assiste ad una originale (forse unica)
collaborazione fra tre testate normalmente in aspra concorrenza. “Il Secolo e
il Corriere della Sera - scrive il quotidiano bolognese - pubblicano i seguenti
particolari sull’incursione degli aeroplani austriaci.
Questa mattina verso le 7 e 30
venivano segnalati dai posti di osservazione due apparecchi nemici. Un Albatros
e un Taube che si dirigevano sulla città” e “si librarono anche su Greco, Turro,
Sesto San Giovanni e Monza”. Le bombe cadono a Porta Volta, Porta Romana e
Porta Venezia. “Nelle scuole comunali e alle medie - scrive ancora il cronista
- furono fatti uscire immediatamente gli alunni e le alunne dalle aule e fatti
rifugiare nei piani inferiori. I maestri e i professori mostrarono un contegno ammirevole”.
Poi spazio ai nomi dei morti e dei feriti, al discorso del sindaco Caldara e
alla denuncia di un’azione dal chiaro sapore strategico: colpire le città non tanto per
provocare danni materiali, quanto per seminare il panico.
Le bombe sui centri urbani non
erano una novità assoluta: dall’inizio dell’anno erano già state colpite città
del Veneto e della costa adriatica, che continueranno ad essere gli obiettivi privilegiati
degli aerei imperiali. Rimarranno però casi piuttosto rari nell’intero corso
del conflitto. Così, all’indomani del bombardamento, le prime pagine dei giornali
tornano ad essere occupate dalle cronache dal fronte, a cominciare dai
resoconti della battaglia di Verdun.
Tre mesi dopo a prendere spazio
sono gli articoli su quella che passerà alla storia come Strafexpedition. Le
prime notizie compaiono sul Corriere della Sera del 17 maggio con il titolo: “L’offensiva
austriaca s’inizia nel Trentino” e soltanto il 27 maggio si comincia a parlare
di “Austriaci respinti a Coni Zugna e in Valsugana”, ma si dà anche notizia di
una “Accanita lotta sull’Altipiano di Asiago”. Il 3 giugno sono i “Sanguinosi
scacchi inflitti al nemico” a tenere banco, per lasciare posto, il 4 giugno, ad un più definitivo “L’offensiva
austriaca nettamente arrestata”. La conclusione vera arriva però il 27 giugno
con un titolo a tutta pagina: “Gli austriaci
costretti a ripiegare su tutta la fronte dalla Vallarsa alla Valsugana”.
L’Altipiano di Asiago torna ad
essere protagonista delle cronache dal fronte circa un anno dopo, all’inizio
della Battaglia dell’Ortigara. Il primo segnale dell'offensiva italiana arriva
sul Corriere il 12 giugno con il titolo: “Le truppe italiane attaccano
sull’altipiano di Asiago riconquistando il passo dell’Agnella e parte del monte
Ortigara”. Una conquista che viene raccontata in tutta la sua drammaticità da
Gino Piva (giornalista, poeta e scrittore) sulla prima pagina del Resto del
Carlino del 13 giugno: “La battaglia diventò, in un momento, infernale. Per
ogni varco aperto la fanteria scelta si gettava avanti e non retrocedeva contro
ad alcuna insidia nemica. Brillavano delle mine, ma come si aprivano nei punti
di scoppio dei crateri, questi erano improvvisamente occupati da mitragliatrici
nemiche che contendevano il passo ai nostri che si slanciavano all’attacco
arditamente. A loro volta i nemici facevano brillare delle altre mine e, mentre
avevano fatto quasi tacere i loro cannoni, sullo spazio degli urti ricomparivano
con tutta la loro violenza. La guerra ormai è tale: la caverna ha sostituito la
trincea e non è più il superamento di linee ben demarcate sul terreno che
costituisce lo sforzo degli attaccanti, ma una penetrazione terribile onde
strappare il nemico dalle viscere della terra”. Difficile rendere meglio la
violenza dello scontro rispettando le regole della censura: la morte, bandita
per ordine superiore da ogni corrispondenza, è presente in ogni riga della
narrazione.
La guerra, dunque, viene raccontata
dal fronte, ma nelle pagine dei giornali ci sono anche cronache politiche,
notizie sportive, spettacoli e pubblicità che continuano a disegnare una
quotidianità lontana dai combattimenti, dal pericolo, dalla morte. Quella che
ne esce è l’immagine di un Paese in ansia per le sorti dei propri cari e per
l’andamento del conflitto, ma che riesce tutto sommato a proseguire una vita
normale.
Tutti i giorni, ma non in quella
mattina di San Valentino, quando la guerra arrivò dal cielo, sulle città.
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