domenica 26 febbraio 2017

E la cronaca scopre la guerra

di Giorgio Guaiti, Giornalista e scrittore, Milano

Bombe sulle città


Bombe austriache su Treviso (foto trovata in rete)
Si chiamava Giuseppe Crippa. Aveva 31 anni e faceva il calzolaio a Monza. Il suo destino, purtroppo, era quello di passare alla storia come una delle prime vittime di un bombardamento aereo.
La mattina del 14 febbraio 1916, poco dopo le 9, era nella sua bottega, a due passi dalla chiesa di San Biagio, quando un solo aereo austriaco cominciò a lasciar cadere le poche bombe che gli apparecchi dell’epoca erano in grado di trasportare: un paio finirono fra orti e campi, una sulla caserma dei Carabinieri, senza però provocare grandi danni, una nel recinto della Cappella Espiatoria e una proprio sull’edificio in cui si trovava il giovane artigiano, uccidendolo sul colpo.
La sua storia è raccontata dalle pagine de II Cittadino, storico settimanale monzese, che il 17 febbraio, sotto il titolo “Vandali!” diede voce all’indignazione di Monza e di tutta la Lombardia per le bombe, che, nella mattina di San Valentino, avevano colpito anche Milano, Bergamo e Treviglio. “Non bastavano alla malvagità dei nostri avversari - si legge sulla prima pagina – i lutti profondi che le moderne e potenti armi disseminano nelle file degli eserciti combattenti, occorreva far sentire la brutalità della guerra pur  rammezzo alla popolazione civile: fra questa popolazione che non aveva fin qui ansie che pei figliuoli e fratelli lontani”. “E sia. La popolazione monzese, come quella di Milano e come le altre già provate, non si è affatto lasciata sgomentare dalla minaccia che per una buona mezz’ora le incombeva, ma è accorsa  remurosa e solidale, in uno slancio di fraterna solidarietà, laddove più gravi erano le notizie dei danni”.
La notizia era già stata riportata il 15 febbraio sulle prime pagine di tutti i giornali italiani e da molti  quotidiani stranieri (New York Times compreso): 12 morti a Milano (saliranno a 18 nei giorni successivi), due a Monza (a Giuseppe Crippa, dopo una breve agonia, si aggiunse Maria Galliani, di 36 anni), decine di feriti a Bergamo e a Treviglio. Per una volta a raccontare il dramma della guerra non erano però i corrispondenti dal fronte, ma i giornalisti fino ad allora impegnati nelle normali cronache cittadine. “lncursione di areoplani austriaci sulla Lombardia. Bombe su Milano, Monza Treviglio e Bergamo. Morti e feriti fra la popolazione civile” titola in prima pagina il Resto del Carlino. E nel testo si assiste ad una originale (forse unica) collaborazione fra tre testate normalmente in aspra concorrenza. “Il Secolo e il Corriere della Sera - scrive il quotidiano bolognese - pubblicano i seguenti particolari sull’incursione degli aeroplani austriaci.
Questa mattina verso le 7 e 30 venivano segnalati dai posti di osservazione due apparecchi nemici. Un Albatros e un Taube che si dirigevano sulla città” e “si librarono anche su Greco, Turro, Sesto San Giovanni e Monza”. Le bombe cadono a Porta Volta, Porta Romana e Porta Venezia. “Nelle scuole comunali e alle medie - scrive ancora il cronista - furono fatti uscire immediatamente gli alunni e le alunne dalle aule e fatti rifugiare nei piani inferiori. I maestri e i professori mostrarono un contegno ammirevole”. Poi spazio ai nomi dei morti e dei feriti, al discorso del sindaco Caldara e alla denuncia di un’azione dal chiaro sapore  strategico: colpire le città non tanto per provocare danni materiali, quanto per seminare il panico.
Le bombe sui centri urbani non erano una novità assoluta: dall’inizio dell’anno erano già state colpite città del Veneto e della costa adriatica, che continueranno ad essere gli obiettivi privilegiati degli aerei imperiali. Rimarranno però casi piuttosto rari nell’intero corso del conflitto. Così, all’indomani del bombardamento, le prime pagine dei giornali tornano ad essere occupate dalle cronache dal fronte, a cominciare dai resoconti della battaglia di Verdun.
Tre mesi dopo a prendere spazio sono gli articoli su quella che passerà alla storia come Strafexpedition. Le prime notizie compaiono sul Corriere della Sera del 17 maggio con il titolo: “L’offensiva austriaca s’inizia nel Trentino” e soltanto il 27 maggio si comincia a parlare di “Austriaci respinti a Coni Zugna e in Valsugana”, ma si dà anche notizia di una “Accanita lotta sull’Altipiano di Asiago”. Il 3 giugno sono i “Sanguinosi scacchi inflitti al nemico” a tenere banco, per lasciare posto,  il 4 giugno, ad un più definitivo “L’offensiva austriaca nettamente arrestata”. La conclusione vera arriva però il 27 giugno con un titolo a tutta pagina: “Gli  austriaci costretti a ripiegare su tutta la fronte dalla Vallarsa alla Valsugana”.
L’Altipiano di Asiago torna ad essere protagonista delle cronache dal fronte circa un anno dopo, all’inizio della Battaglia dell’Ortigara. Il primo segnale dell'offensiva italiana arriva sul Corriere il 12 giugno con il titolo: “Le truppe italiane attaccano sull’altipiano di Asiago riconquistando il passo dell’Agnella e parte del monte Ortigara”. Una conquista che viene raccontata in tutta la sua drammaticità da Gino Piva (giornalista, poeta e scrittore) sulla prima pagina del Resto del Carlino del 13 giugno: “La battaglia diventò, in un momento, infernale. Per ogni varco aperto la fanteria scelta si gettava avanti e non retrocedeva contro ad alcuna insidia nemica. Brillavano delle mine, ma come si aprivano nei punti di scoppio dei crateri, questi erano improvvisamente occupati da mitragliatrici nemiche che contendevano il passo ai nostri che si slanciavano all’attacco arditamente. A loro volta i nemici facevano brillare delle altre mine e, mentre avevano fatto quasi tacere i loro cannoni, sullo spazio degli urti ricomparivano con tutta la loro violenza. La guerra ormai è tale: la caverna ha sostituito la trincea e non è più il superamento di linee ben demarcate sul terreno che costituisce lo sforzo degli attaccanti, ma una penetrazione terribile onde strappare il nemico dalle viscere della terra”. Difficile rendere meglio la violenza dello scontro rispettando le regole della censura: la morte, bandita per ordine superiore da ogni corrispondenza, è presente in ogni riga della narrazione.
La guerra, dunque, viene raccontata dal fronte, ma nelle pagine dei giornali ci sono anche cronache politiche, notizie sportive, spettacoli e pubblicità che continuano a disegnare una quotidianità lontana dai combattimenti, dal pericolo, dalla morte. Quella che ne esce è l’immagine di un Paese in ansia per le sorti dei propri cari e per l’andamento del conflitto, ma che riesce tutto sommato a proseguire una vita normale.
Tutti i giorni, ma non in quella mattina di San Valentino, quando la guerra arrivò dal cielo, sulle città.

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