sabato 19 gennaio 2019

Un "parecchio" inascoltato

Giovanni Giolitti, il 24 gennaio 1915, scrive da Cavour all’on. Peano una lettera, che “La Tribuna”, quotidiano di Roma, diretto da Olindo Malagodi, pubblica il 2 febbraio. Ne diamo il testo integrale, commentato da Vincenzo Pich.
 
Caro Amico,
È stranissima la facilità con la quale, parte in buona e parte in malafede si formano le leggende. Ora due tendono a formarsi; una di pretesi miei rapporti col principe di Bulow, l’altra l’opinione che mi si attribuisce che si debba mantenere in modo assoluto la neutralità in qualunque caso.
Conosco il principe di Bulow da molti anni, ho grande stima del suo ingegno e del suo carattere, l’ho sempre trovato amico dell’Italia, beninteso mettendo sempre in prima linea il suo paese,come è suo dovere.
Egli quando era a Roma come semplice privato veniva spesso a visitarmi. Ora che venne a Roma come ambasciatore lo incontrai per caso in Piazza del Tritone: mi disse che voleva venirmi a trovare; gli risposi che, essendo io un disoccupato, sarei andato da lui e così feci l’indomani. Si parlò in modo affatto accademico dei grandi avvenimenti, ma mi guardai bene dall’entrare nell’argomento del contegno che debba tenere l’Italia. Avrei mancato al mio dovere, né egli entrò in tale argomento, perché è uomo che non viene mai meno alle convenienze.
Alcuni giorni dopo venne a restituirmi la visita; io non ero in casa, mi lasciò una carta di visita e non lo vidi più essendo io partito da Roma.
La mia adesione al partito della neutralità assoluta: altra leggenda.
Certo io considero la guerra non come una fortuna, ma come una disgrazia, la quale si deve affrontare solo quando sia necessario per l’onore o per i grandi interessi del paese.
Non credo sia lecito portare il paese alla guerra per un sentimentalismo verso altri popoli. Per sentimento ognuno può gettare la propria vita, non quella del proprio paese. Ma quando necessario non esiterei ad affrontare la guerra, e l’ho provato.
Potrebbe essere, e non apparirebbe improbabile, che, nelle attuali condizioni dell’Europa, parecchio possa ottenersi senza una guerra; ma su di ciò chi non è al governo non ha elementi per un giudizio completo.
Quanto alle voci di cospirazioni e di crisi non le credo possibili.
Ho appoggiato ed appoggio il Governo, nulla importandomi delle insolenze di chi gli si professa amico ed invece è forse il suo peggior nemico.
Gradisca i più cordiali saluti.
Aff.mo: Giovanni Giolitti

A novembre del 1918 finisce la prima, ma dopo poco più di due decenni inizierà la seconda guerra mondiale.
La prima guerra mondiale si conclude con la disfatta degli Imperi Centrali e in quel crepuscolo del 1918 si trovano di fronte, deposte le armi, vinti e vincitori: sia chi aveva a lungo perseguito trionfi, infine fallito, sia chi partecipava ora alla spartizione del bottino, non senza rimpiangere quel qualcosa in più, che si vedeva conteso. Ma, se il conflitto militare cessava, si aprivano prospettive di rivoluzioni politiche e sociali con l’affrontarsi dell’ ideologia marxista-leninista e delle nuove istanze fondate sul culto di un uomo di forte vocazione autoritaria e del totalitarismo dello stato etico. Il tutto traeva origine dalla guerra che Giovanni Giolitti avrebbe voluto evitare, come si evince, tra svariate altre testimonianze, dalla sua lettera a un amico, pubblicata su “ La Tribuna” di Roma: “Potrebbe essere, e non apparirebbe improbabile che, nelle attuali condizioni dell’Europa, parecchio possa ottenersi senza una guerra”.
Senonché, subito dopo, l’ex Presidente del Consiglio dei ministri ammetteva: “Ma su di ciò chi non è al governo non ha elementi per un giudizio completo”.
E così, il 24 maggio del 1915 anche l’Italia entrava in guerra e si avviava a pagare l’intervento, che avrebbe causato un numero enorme di morti e tracciato un solco profondo tra interventisti e neutralisti, questi rappresentati dai socialisti e dai popolari di Don Sturzo, divisione che si sarebbe protratta a lungo e con l’effetto di favorire l’ascesa del fascismo.
Da allora l’Italia, l’Europa e il mondo intero entrano in un tunnel da cui usciranno solo nel 1945, con la fine della seconda guerra mondiale.
Fortunatamente, l’Italia conservava la sua Monarchia, sottraendo il Paese legittimo all’autorità nefasta del nazionalsocialismo di Hitler. Si schiererà, pertanto, a fianco degli alleati inglesi e americani fin dal 1943, concludendo la seconda guerra mondiale contestualmente alla vittoria delle democrazie e alla liberazione immediata di quasi tutto il suo territorio.
Lasciamo immaginare, se l’Italia non avesse avuto il baluardo legale e morale del Regno, largamente condiviso, quale maggior tragedia le sarebbe toccata, tra morti e distruzioni senza fine.

Vincenzo Pich
Unione Associazioni Piemontesi nel Mondo, Torino

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